Il termine francese flâneur, coniato dal poeta simbolista Charles Baudelaire, indica “chi vaga oziosamente per le vie cittadine, senza fretta, sperimentando e provando emozioni nell’osservare il paesaggio, immergendosi nella metropoli e diventando un conoscitore analitico del tessuto urbano.” Baudelaire creò questo termine ispirandosi agli abitanti delle uniche due città che, secondo lui, avevano quel tipo di ambiente che lascia spazio all’esplorazione non affrettata e libera da programmi, cioè i parigini e i napoletani. In tempi pre-Covid mi piaceva comportarmi da flâneur ed aggirarmi per la mia città, lontano dai percorsi frequentati dai turisti, per “perdermi nel suo ventre generoso e materno”.
Percorrendo i vicoli di Pontenuovo, della Sanità o del Cavone capita d’imbattersi, ogni pochi metri, in antiche edicole dedicate alla Madonna e ai vari Santi protettori. Pur conoscendo l’immensa religiosità del popolo napoletano, pensavo fosse improbabile che tanti sacelli fossero stati eretti senza uno scopo che andasse oltre la fede. Incuriosito iniziai un lavoro di ricerca su internet. Il risultato della ricerca mi restituì un nome: Gregorio Maria Rocco, frate domenicano nato a Napoli nel 1700. Personaggio molto influente alla corte di Carlo III e molto amato dal popolo. La creazione delle edicole sacre le dobbiamo ad una sua idea.
Come racconta lo scrittore Alexander Dumas nell’opera “I Borboni di Napoli“, nel 1754 re Carlo III aveva deciso l’istallazione, in alcuni quartieri della città, di pali per l’illuminazione pubblica (allora inesistente). Tale servizio si rendeva necessario a causa delle numerose rapine e aggressioni che si verificavano nelle strade al calare della notte. I ladri, infatti, approfittando del buio, tendevano una fune alle due cantonate della strada facendo cascare i malcapitati passanti per derubarli di ogni avere (la celeberrima “funa ‘e notte”). I primi lampioni di quell’embrionale esperimento di illuminazione stradale venivano sistematicamente distrutti dai malviventi. Vista l’impossibilità di piantonare ogni punto luce con una guardia, re Carlo pensò di rivolgersi a padre Rocco, definito “uomo del popolo presso il re e uomo del re presso il popolo“.
Il frate ebbe una geniale idea: fece acquistare trecento immagini sacre ed altre centinaia di croci di legno. Con l’aiuto dei messi reali piazzò gli oggetti di culto in ogni quartiere, specialmente nei punti preferiti dai grassatori. Finita l’istallazione pose un lume davanti ad ogni immagine sacra ed affidò la cura degli altarini ai popolani che risiedevano sul posto. I lumi erano salvi, nessun ladro avrebbe mai osato distruggerli. Ancora Dumas ci racconta questo particolare frate descrivendolo “d’aspetto alto e nerboruto“, sempre pronto alla carità verso gli ultimi ed alla “redenzione dei tanti sventurati“. Dove non arrivava con la parola e le opere, per convertire non disdegnava di “usare un poderoso bastone che recava sempre con se”; tanti furono infatti i “guappi” convertiti a legnate da padre Rocco.
In una città messa in ginocchio dalle carestie, dalle eruzioni del Vesuvio, dalle epidemie di “febbre putrida”, Gregorio Maria Rocco ebbe il merito di ispirare al re la costruzione di un luogo di accoglienza per i poveri ed i malati: il Real Albergo dei poveri. Amico di sant’ Alfonso Maria de’ Liguori, animato dallo stesso spirito di carità verso gli ultimi, condusse una crociata contro i giochi d’azzardo che tante famiglie aveva ridotto alla disperazione. Vi riuscì convincendo Ferdinando IV a promulgare un editto in cui venivano banditi i giochi “clandestini” dal regno e, con parte dei ricavati delle lotterie lecite, si istituiva e finanziava un “Banco di prestito per i bisognosi“.
Sempre a padre Rocco dobbiamo la diffusione del presepe nelle case dei napoletani. La sacra rappresentazione della Natività ha in sé origini molto antiche, ma il presepe napoletano nacque e visse il suo periodo d’oro nel Settecento. Il frate domenicano aveva la convinzione che, attraverso la costruzione di presepi domestici, il popolo si sarebbe potuto avvicinare con maggiore fede al culto religioso e alle celebrazioni natalizie. Una vera passione lo animò nella costruzione di ardite scenografie presepiali. Una passione che riuscì a trasmettere non solo al popolo ma che contagiò Carlo III, la regina Maria Amalia e, di conseguenza, tutta la corte reale. Il presepe, fino a quel momento appannaggio degli edifici di culto, arrivò nelle case dei patrizi e quella che era una semplice capanna si trovò al centro di una vera e propria città, non la Betlemme di Gesù, ma la Napoli post barocca, con le sue architetture e i suoi popolani dai mille mestieri. Lo spirito creativo finì per prevalere su quello religioso. La forte richiesta di manufatti di alta qualità fece nascere una scuola di scultori e architetti che si dedicarono alla realizzazione dei “pastori e degli scogli” (Giuseppe Sammartino, Giacinto Diana, Francesco Solimena, solo per citarne alcuni). A questa scuola si formarono diverse famiglie di artigiani che trovarono la loro patria nelle botteghe di San Gregorio armeno e che, a distanza di secoli, ancora ci incantano con le loro opere.
Padre Rocco morì sazio di giorni nel 1782 vegliato dall’amore dei suoi lazzaroni e della corte. Un uomo di grande personalità e ingegno che sfruttò la sua popolarità per rendere migliore la vita dei suoi concittadini … altruismo di altri tempi.