Ho scoperto un altro mondo cosmico, Instagram.
In fondo a noi non era andata tanto male, abbiamo saputo di attacchi informatici più aggressivi e devastanti, ma le ragazze erano letteralmente terrorizzate dal possibile furto delle loro immagini per un eventuale utilizzo da voltastomaco poiché c’è Instagram. Avevano ragione, ovviamente. Solo che non ce l’ho fatta e ho chiesto loro, a tutti, maschi e femmine, scusate perché queste foto? Niente foto, niente pericoli. Di nessun genere. Non l’avessi mai detto. Non mi hanno preso a male parole, perché sono il loro prof, ancora oggi, stanno in quarta, e mi vogliono bene, suppongo. Ma era evidente che avevo dato loro la più cocente delle delusioni. Così ho definitivamente capito che la società dell’immagine e dell’apparire aveva fatto danni irreversibili, al di là di ogni nefasta immaginazione possibile. Non c’è nessuno, in nessuna classe, ho fatto una piccola indagine personale, dei miei ragazzi che rinuncerebbe, per nessun motivo al mondo, ai follower su Instagram. Nessuno. Mi hanno addirittura spiegato che con questa storia dei follower si può guadagnare molto. Altro che la cinetica del secondo ordine di una reazione con catalisi eterogenea o di una reazione di sostituzione elettrofila sul doppio legame di un anello aromatico! Follower, e tanti soldi.
Uno dei più intraprendenti e svegli dei miei mi ha parlato della possibilità di un incremento sostanziale di follower e di guadagno con il “sapiente” ― non commento, è meglio ― commercio delle scarpe. Quelle che costano quanto un ragazzo del sud-Sudan per una intera campagna di pomodori nella piana di Brindisi. Con pazienza si è dedicato a me, devo dirlo. Pazienza che però andava scemando con legge esponenziale e proporzionalità diretta al mio stupore significativamente ottuso, a suo, del mio allievo, insindacabile giudizio.
La mia ira furibonda è montata, che neppure la marea a Mont Saint-Michel, fino ad esplodere incontenibile. Ho minacciato di tutto, dalla garrota ad una media di voti finali inferiore allo zero assoluto. Non mi ha creduto alcuno dei miei studenti, peggio, non mi hanno proprio preso in considerazione. Quando si dice la credibilità di un prof! A quel punto, mi sono lanciato da par mio, cioè senza freni né inibitori né di altra natura, qualunque essa potesse essere, in un pippone sull’importanza degli studi, del lavoro e della conoscenza e, visto che ero lanciatissimo, perfino delle competenze.
Dopo l’attacco, come spesso succede in questi casi, un pandemonio di chiacchiere, ricerche e discussioni ci ha quasi sommerso come uno tsunami maligno, alla fine delle quali, più o meno convinti, sicuramente stremati, abbiamo deciso per una piattaforma questa volta americana. Per giungere successivamente ― finalmente! ― alla piattaforma istituzionale.
Mi è di dovere precisare che i Dirigenti, come tutti alle prese con un problema epocale e totalmente nuovo, all’inizio, comprensibilmente frastornati e confusi, hanno preso strade differenti, e diversificate, per organizzarsi e organizzarci.
C’è stato chi ha dato ampia fiducia ai propri docenti e chi ha dato la stura a tutta la propria insoddisfazione dirigenziale con un controllo accanito. Su chi lavorava, si capisce. A volere dare retta a racconti, metropolitani e non, in alcuni casi, il presenzialismo del Dirigente è stato, non solo insopportabile e ingombrante, ma al limite della correttezza sindacale e del rispetto dell’autonomia di professionisti liberi nell’insegnamento. L’uno e l’altro caso ― certo nel secondo se rispondente al vero, non può che esserci, da un lato, riprovazione per il comportamento del DS e, dall’altro, solidarietà per i colleghi ― possono essere intesi come parentesi estreme di tante situazioni intermedie. La verità è che abbiamo tutti cercato una risposta. Sicuramente sincera e altrettanto confusa.
Con la piattaforma istituzionale abbiamo raggiunto la perfezione: nessuna intrusione, docenti e studenti profilati con apposita mail e dunque classi virtuali, le mitiche classroom, dove poter svolgere tranquillamente le lezioni in DaD che adesso si chiama DDI, Didattica Digitale Integrata.
Dalle scuole completamente chiuse e un anno con i soli Esami di Stato in presenza, siamo passati a scuole aperte. Mo’ sì, mo’ no. Per cui il digitale non sostituisce, integra, e lo fa sia in sincrono sia in asincrono. Una vera sciccheria. E non datemi retta che ancora sono alle prese con la comprensione dell’asincrono: è una vita che non sono sincronizzato. Quindi lasciate perdere, ugualmente quando vi dico che, secondo me, l’asincrono altro non è che il tempo dell’assegno. Dei compiti da svolgere. Per non sbagliare, confesso, sto sempre in modalità da altri autorevolmente definita sincrona, così con i ragazzi parliamo anche di noi e delle nostre vite, che sempre interessanti sono, certamente le loro. E speriamo bene.