Il borgo dei Vergini e “l’anima dannata”

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“Lava d’ e’ Virgini” nel 1943

Il borgo dei Vergini è da sempre considerato la porta d’accesso al quartiere Sanità. Variopinto, pittoresco, molto amato dai turisti che, tra le bancarelle del mercato e le chiese barocche, trovano quello spirito oleografico tanto caro a chi visita la nostra città: un folkloristico scenario di transito prima di avviarsi verso siti più “famosi”, come il Museo Nazionale o le Catacombe di San Gennaro. Ma il centro antico della nostra città è paragonabile ad un palinsesto, un antico libro dove, sulle stesse pagine, la storia veniva scritta e cancellata per scriverla di nuovo e, a guardare bene, si possono rileggere brani non del tutto cancellati, che arrivano fino ai tempi della fondazione di Neapolis. La causa di queste “cancellazioni” è da ricercarsi nella stessa conformazione orogeografica del quartiere: la pianura era un alveo di raccolta delle acque piovane che scendevano dalle colline sovrastanti (Capodimonte, lo Scudillo e Antignano), inondando la zona di detriti e fango dando origine al cosiddetto fenomeno della “Lava d’ e’ Virgini” (fino al 1871, anno dei lavori di canalizzazione). Addirittura tre chiese di età angioina giacciono sepolte sotto il livello della strada (Sant’Antoniello sepolta sotto la chiesa di Santa Maria Succurre Miseris, San Pietro dei Carbonai mai più ritrovata, Santa Maria dei Vergini vecchia sotto il livello della chiesa attuale).

Il toponimo “Vergini” fa riferimento ad una Fratria della Neapolis greca che abitavano questo vallone: gli Eunostidi, dediti al culto del “dio vergine” Eunosto, praticavano la temperanza e soprattutto la castità. La zona in questione era destinata ad accogliere le spoglie mortali degli abitanti. Molte infatti sono le catacombe esistenti nella zona (San Vito, Santa Eufemia, San Severo, San Gaudioso ecc.).

L’aspetto attuale del borgo è un trionfo del barocco tipico napoletano: il Palazzo dello Spagnolo col suo scenografico cortile, la Chiesa nuova di Santa Maria Succurre Miseris, opera di Ferdinando Sanfelice, la chiesa e il convento di Santa Maria dei Vergini con la bellissima facciata di Giuseppe Astarita, la Chiesa di San Vincenzo de’ Paoli, progettata da Luigi Vanvitelli nel 1753. Pochi sanno che, nella cappella delle reliquie di questo edificio di culto, sono ospitati preziosi e misteriosi oggetti devozionali: una terza ampolla contenente il sangue di San Gennaro, scoperta soltanto di recente e ufficialmente certificata dalla Santa Sede. In questa terza ampolla, contenente il sangue del Santo Patrono, si svolge ugualmente il prodigio della liquefazione.

“Gesù dell’anima dannata”

Gli altri oggetti con una particolare storia sono rappresentati da un quadro che raffigura Cristo crocifisso e l’inginocchiatoio sottostante, chiamati dell'”anima dannata”. Sulla tela si possono ammirare due impronte lasciate da mani incandescenti e anche sull’arredo liturgico si notano ampi segni di bruciatura. Marcello Stanzione e Carlo Di Pietro, nel libro “Santi e diavoli”, ce ne raccontano la storia. Un cavaliere di nobile famiglia aveva una relazione con una nobildonna sposata. Dopo breve tempo questa donna morì senza potersi pentire del male fatto. L’amante, distrutto per la perdita, decise di seguire un cammino di conversione con i frati della congregazione di San Vincenzo de’ Paoli. Una sera il cavaliere non si presentò alle orazioni. Preoccupati del fatto, i frati andarono a cercarlo nella sua cella. Arrivati sul posto si allarmarono perché dalla cella provenivano fumo e puzza di bruciato. Entrati trovarono il nobile a terra svenuto. Diradatosi frattanto il fumo, ispezionarono la cella e si accorsero che sul quadro del crocefisso appeso alla parete c’erano le impronte di due mani roventi: non solo la tela era bruciata ma anche il telaio che fungeva da supporto e parte dell’inginocchiatoio. Il cavaliere, riavutosi dallo shock, raccontò che gli era apparsa l’amante, accusandolo di scontare le pene dell’inferno a causa sua e, per lasciargli una prova tangibile del fatto, aveva appoggiato le mani roventi sul quadro. Si racconta che, nel 1726, Sant’Alfonso Maria dei Liguori in visita alla chiesa dei Vergini, vedendo il “quadro dannato” si convertì e lascio la carriera di giurista per prendere la tonaca.

Storie edificanti e magiche che ci raccontano di un passato che diventa remoto solo se dimenticato.

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