Doppiata senza gravi danni la seconda Pasqua col Covid, è subentrata una pausa di relativa tranquillità che spinge alle più curiose ed improbabili riflessioni. La notte tra la Pasqua e il lunedì in Albis, complice una comprensibile ma leggera pesantezza di stomaco, mi è capitato di osservare quanto ricorrente sia il numero sette nella cultura e nel costume di noi occidentali. Ho quindi raccolto mentalmente una quantità di fatti, di luoghi e di personaggi contrassegnati dal magico “sette”, il numero perfetto. Dopo di che li ho pazientemente annotati, fatte le debite verifiche, ed in serata ne ho dato lettura con grande eccitazione a mia moglie che sedeva di fronte al televisore.
Ho cominciato con le cose più ovvie: i sette giorni della settimana, le sette note, i sette colori dell’arcobaleno, i sette pianeti (prima delle nuove scoperte), le sette (vaghe!) stelle dell’Orsa, le sette meraviglie del mondo (in gran parte andate distrutte dal tempo ma poi reintegrate con Salvini e Renzi, le nuove meraviglie che tutto il mondo ci invidia), i sette mari di cui scrisse Erodoto, i sette savi ricordati da Platone, i sette contro Tebe creati da Eschilo e anche i sette metalli alchemici.
Poi le ho elencato elementi più prossimi alla nostra storia, come i sette colli e i sette re di Roma, seguiti dalla ricchissima fioritura della religione giudaico-cristiana che inizia con i sette giorni della Creazione e prosegue con i sette sigilli dell’Apocalisse, i sette peccati capitali, le sette virtù teologali, i sette sacramenti, i sette doni dello Spirito Santo, le ultime sette parole di Cristo, le sette opere di misericordia che ispirarono Caravaggio, solo per citare i più comuni. Senza dimenticare “I sette pilastri della Saggezza”, citati nel “Libro dei Proverbi” e adottati anche come titolo all’autobiografia di Lawrence d’Arabia. Alla saggezza popolare risalgono invece le proverbiali sette camicie che tuttora molti sono costretti a sudare per tirare avanti.
Così come il sette nelle carte da gioco: il tre-sette e il sette e mezzo e, nella scopa, il famoso Settebello che dette il nome a qualcosa cui hanno fatto ricorso tanti di noi, da quando le Ferrovie dello Stato ne inaugurarono l’adozione sulla linea Milano-Napoli.
Il passo successivo ha riguardato tempi più recenti: le sette sorelle (compagnie petrolifere che detenevano il monopolio del petrolio dopo il secondo conflitto mondiale), i sette nani collegati sia al mondo della fiaba che a quello del cinema. Le fiabe ci hanno campato non poco sul numero sette: gli stivali delle sette leghe calzati dal gatto creato da Perrault, al quale si deve anche la terribile favola delle sette mogli di Barbablù (archetipo del dilagante femminicidio), “Sette in un colpo”, fiaba dei fratelli Grimm trasposta nel film “L’ammazzasette”, i sette viaggi di Sinbad il marinaio, personaggio delle “Mille e Una notte”, protagonista di numerosi film, anche di animazione.
E quindi sono passato al cinema tout court che non ha lesinato omaggi al numero sette: “I sette samurai”, riproposto in versione western con “I magnifici sette”. Ma in precedenza c’era stato anche un “Eravamo sette sorelle” (1939), seguito da un “Eravamo sette fratelli” (1955) e tra i due si era insinuato nel 1954 il film musicale americano “Sette spose per sette fratelli” (ma le sette spose non erano tutte sorelle). Gli anni ‘70 ci dettero poi “Sette uomini d’oro” e il western “Sette pistole per i McGregor”, poi addirittura “Sette volte sette”. E James Bond? Vi siete mai chiesti perché il suo nome in codice fosse 007?
Avrei proseguito, in un impeto di irragionevole entusiasmo, con “I tre moschettieri” e “I quattro cavalieri dell’Apocalisse” che in totale fanno sette, così come “I due marescialli” e “I cinque dell’oca selvaggia”, ma mia moglie mi ha stoppato: “Se-tte ne vai, cerco di capire cosa dicono in TV.” Ho taciuto un attimo, poi il colpo di genio: “Stai guardando La Sette, o mi sbaglio?”