Mentre Quito, la capitale dell’Ecuador, si appresta a combattere la secondo ondata di Covid-19 a causa di un rilevante aumento dei casi (4.800 dalla fine di gennaio), il popolo ecuadoriano sì accinge al voto di domenica 7, una data che sarà ricordata, se non altro, per il fatto di vivere le prime elezioni presidenziali nel bel mezzo di una pandemia. Dopo le immagini agghiaccianti di marzo scorso, dove i morti per Covid-19 venivano abbandonati nelle strade del Paese, in questi mesi, nonostante le precauzioni prese dal COE (Comité de Operaciones de Emergencia), gli ospedali sono al collasso. L’amministrazione dell’attuale Presidente Lenin-Moreno non finisce di incassare colpi e la gestione dell’emergenza sanitaria è stata criticata ampiamente dalla popolazione che già non lo aveva nelle sue grazie per le rivolte di ottobre 2019, quando Moreno, firmando un accordo con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) per ricevere un finanziamento di 4,2 miliardi di dollari (finanziamento che poi è stato annullato per l’impossibilità dell’Ecuador di attenersi alle richieste del FMI), aveva scatenato l’ira dei manifestanti che con il supporto delle popolazioni indigene marciarono verso la capitale.
Quito in quei giorni ha vissuto dure violazioni dei diritti umani, scontri violentissimi con la polizia in cui si sono registrati almeno 30 morti. Il rapporto tra popolazione e istituzioni si è rotto esattamente in quel momento e da allora Lenin-Moreno ha ricevuto solo una pioggia costante di critiche. Non ha aiutato a placare gli animi la guida politica del Presidente durante i mesi di quarantena o, come viene chiamato nel Paese andino, Toque de queda; lo scorso maggio l’amministrazione Moreno ha incalzato aumentando il costo della benzina, permettendo ai datori di lavoro tagli ai salari e la possibilità di licenziamenti, e infine ha tagliato fondi per l’istruzione pubblica già di per sé carente.
All’orizzonte si prospetta un cambio di rotta in quanto il candidato di sinistra sarà Andres Arauz già ministro durante gli anni di Rafael Correa. Arauz è stato direttore generale della Banca Centrale, una vera e propria continuazione del suo “mentore” Correa. L’Ecuador è cambiato totalmente con Correa, che ha dato stabilità sociale ed economica risollevando il Paese dalla durissima crisi del 1999. Un Paese che precedentemente in 10 anni aveva cambiato 8 presidenti. Anche i suoi nemici non gli possono negare i passi in avanti fatti: un miglioramento nell’istruzione, nuove infrastrutture in grado di unire meglio Il Paese, ha ridotto il tasso di povertà passando dal 36,7% al 22,9% in dieci anni. Correa ha portato in Ecuador quella spinta socialista in grado di sbalordire i grandi della finanza e sostenitori del modello Yankee un po’ più a nord nel continente. È stato osservato che: “Come ogni governo di matrice socialista anche con il governo Correa gli investimenti statali hanno ricoperto un ruolo centrale: la spesa pubblica, infatti, è raddoppiata in percentuale al PIL, passando dal 4.3% del 2006 all’8.6% nel 2016. I settori in cui si è investito particolarmente sono l’istruzione, la sanità, lo sviluppo urbano e il piano case.”
Ad oggi la situazione è un po’ diversa. L’immagine di Rafael Correa si è offuscata, le accuse che pesavano su di lui erano di avere una forte impronta “dittatoriale”, accuse (mai comprovate) di spionaggio e manipolazione dei mass media, così da quel momento anche il progresso ecuadoriano si è arrestato. Lenin Moreno ha avuto gioco facile per prendere il controllo della nave e riavvicinare un po’ di più il Paese agli interessi degli egemoni Stati Uniti. D’altronde quello che non si perdona al probabile presidente uscente è il suo cambio di casacca proprio quando vinse le elezioni esattamente con l’appoggio del partito di Correa, Alianza País. Successivamente ha adottato le linee guida del FMI, ha revocato l’asilo politico a Julian Assange, ha iniziato una campagna diffamatoria contro Correa e una lista di altri scivoloni politici. I dati di crescita durante i suoi mandati si sono arrestati, ma la catastrofe Covid-19 alleggerisce un po’ di più il suo fardello in quanto la frase: “non è facile governare un Paese nel bel mezzo di una pandemia” pare valere per tutti i capi di Stato.
Insomma la politica è come una partita di calcio: fino al 90’ c’è sempre tempo per un cambio di scena, ma le previsioni ci dicono che il probabile Presidente entrante Andres Arauz ha un bel po’ di lavoro davanti a sé. Continuerà con l’impronta di Correa? Questo è probabile, sicuramente dovrà scrollarsi di dosso le inadempienze di Lenin Moreno, il tutto iniziando il suo percorso “a pandemia in corso”.