Il convitato di pietra

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Il dibattito politico nel nostro Paese è da qualche decennio un flusso continuo. Non conosce pause ma solo momenti di accesa intensificazione. Alimentate sia da fatti di poca che di molta importanza, spesso trattati con lo stesso impegno, le situazioni vengono sviscerate sui giornali e in TV, soprattutto nei talk show.

L’informazione sulla stampa quotidiana si articola in due schieramenti contrapposti. Il primo è quello vivacizzato ossessivamente dai giornali di dichiarata fede destrorsa, come Il Giornale, Libero e La Verità che sono i più seguiti ma che totalizzano una tiratura complessiva inferiore a quella del Corriere della Sera o di Repubblica. La storia di questi quotidiani è relativamente recente: al Giornale, acquistato nel 1992 da Berlusconi che ne affidò la direzione a Indro Montanelli, hanno fatto seguito Libero e, in tempo più recenti, La Verità. Venuta meno la professionalità indiscussa di Montanelli, sono entrati in scena Vittorio Feltri, Alessandro Sallusti, Maurizio Belpietro e Pietro Senaldi. Questi quattro cavalieri dell’Apocalisse, che spesso si sono alternati alla direzione e alla vicedirezione dei predetti quotidiani quasi a conferma della assoluta intercambiabilità delle loro voci, si comportano, quanto a faziosità, peggio dei giornali di partito ormai spariti come l’Avanti e l’Unità, i quali polemizzavano anche aspramente con gli avversari senza però perdere il senso della realtà e della misura. Qualità totalmente estranee alla formula dei quotidiani innanzi richiamati, che puntano al sistematico discredito degli avversari di Berlusconi, della Lega e di Fratelli d’Italia. Inutile richiamare i titoli in prima pagina che dileggiano con grande disinvoltura ogni comportamento del Governo e degli esponenti della maggioranza, anche su questioni del tutto secondarie o su fatti privati.

L’altro filone è quello della stampa più o meno libera la cui proprietà se pur politicamente orientata antepone, almeno all’apparenza, l’indipendenza della missione informativa alla propaganda. Stiamo parlando dei quotidiani più venduti, come il Corriere della Sera, la Repubblica, La Stampa ed anche, in parte, Il Sole24ore, organo di stampa della Confindustria.

Ebbene, da qualche tempo a questa parte la stampa libera, progressista, europeista, antifascista non risparmia critiche né al Governo né alle forze politiche che lo sostengono ed alle quali dovrebbe sentirsi più vicina. Che queste critiche, spesso fondate perché provocate da errori, omissioni o leggerezze, siano portare all’attenzione dei lettori, è giusto e non può essere contestato. Suscita invece fastidio l’acribia con la quale, specie negli ultimi mesi, in coincidenza con la seconda ondata dell’epidemia, si cerca il pelo nell’uovo anche in riferimento ad avvenimenti di modesta rilevanza. Alle volte, si sa, basta mettere in prima pagina un fatto o una circostanza di poco conto per accrescerne la risonanza. Anche i commenti sono diventati per lo più negativi come se il governo non faccia mai niente di buono. Non che il Corriere o la Repubblica abbiano risparmiato critiche al precedente governo giallo-verde ed alle intemperanze, chiamiamole così, di Salvini, ma si trattava di atti di una certa gravità, sia sotto il profilo politico che morale. Ciò che è certo è che i governi di centro sinistra, compreso quello in carica, diventano un bersaglio sul quale si scagliano sia la stampa organica alla destra, virulenta e denigratoria, che quella di area progressista con critiche più pacate ma spesso ingenerose.

Per quanto poi riguarda le reti televisive, ne abbiamo più volte stigmatizzato da queste pagine l’asservimento al padrone unico, che è la pubblicità, l’orecchio teso agli indici di ascolto e la necessità di mantenerli alti, di attizzare risse senza tanti scrupoli. Quei pochi conduttori, più che altro conduttrici, che si sottraevano a questa prassi vanno piano piano incanalandosi verso il gregge. E da questa terribile spirale non si salva nessuno, neppure i talk show delle reti pubbliche o di quelle private, come La7, lontane dalla linea di fuoco delle reti sovraniste.

Quindi, se si sommano gli esiti dei messaggi televisivi a quelli che vengono dalla carta stampata, si vede emergere uno sbilanciamento verso destra allarmante e forse insanabile. Anche in Parlamento le opposizioni sovraniste hanno la meglio quanto ad incisività, con l’uso spregiudicato di parole d’ordine spesso totalmente infondate ma di sicura presa nella loro semplicità. Il lettore o il telespettatore che si oppone al sovranismo, al razzismo, al neofascismo e, infine, alla rozzezza che caratterizza la destra italiana si sente destinato a soccombere.

Nelle ultime sedute per il voto di fiducia al Governo Conte abbiamo ascoltato di tutto, non solo dall’opposizione tradizionale ma anche da quella inventata da Renzi. Gli interventi a favore del Governo sono apparsi scialbi e timidi, con rare eccezioni, rispetto alla valanga di improperi scaricati dalla destra. Qualcuno sostiene, ma è lecito dubitarne, che il tono pacato e disteso di Conte e di molti dei suoi ministri alla lunga pagheranno. Ma quando? I sondaggi dicono il contrario ma intanto Conte ha rassegnato le dimissioni. E questo perché nessuno, né la stampa più responsabile, né i conduttori televisivi più coscienziosi (ce n’è ancora qualcuno), né gli stessi deputati, senatori ed esponenti della sinistra hanno il coraggio di tirare fuori l’argomento principe per tentare di sconfiggere questa destra impresentabile: la paura. Si ha paura di confessare che la destra al governo fa paura. Abbiamo sperimentato la pochezza della politica di bilancio di Berlusconi, che ci portò sull’orlo del disastro economico nell’autunno 2011. Abbiamo sofferto la presenza della Lega di Salvini nel Governo Conte 1 che, oltre ai lutti ed ai dolori inferti a tanti migranti, ha causato al nostro Paese una perdita di immagine, per quel tanto che ce n’era rimasta.

E non dovremmo essere i soli, noi disperati progressisti, ad essere spaventati dal ritorno della destra, e di questa destra in particolare, nel caso di una sua probabile vittoria alle prossime elezioni, Dovrebbero esserlo i sindacati dei lavoratori che invece tacciono anche loro, forse preoccupati di mantenere un ruolo politicamente neutrale. Certo non Renzi che, come tutti i megalomani, non ha paura di nessuno mentre dovrebbe averne di se stesso. Spaventati a morte dovrebbero essere quei giornalisti e opinionisti “progressisti” che si sono divertiti a svolgere il loro compitino da bravi cronisti rilevando la “mancanza di una visione” del Governo: e che visione può avere un governo nato per paura delle elezioni? che hanno sottolineato gli errori certamente commessi ma astenendosi dal giustificarli. E gli argomenti non mancavano: la pandemia, l’intrinseca debolezza di un governo sostento da forze eterogenee, le strutturali deficienze amministrative del nostro Paese. Invece no, si sono occupati anche loro, come i loro colleghi dell’altra sponda, di fare dell’ironia sui banchi a rotelle, sui monopattini, sulla policromia delle regioni e tutto il resto. Non temono per il loro futuro di giornalisti liberi? Leggono i giornali, e ci mancherebbe, che raccontano come sta messa la stampa indipendente in Russia, in Bielorussia, in Ungheria, Polonia, Turchia e Cina? Come può inoltre un comune cittadino, specie se abitante in Lombardia, non essere terrorizzato dall’idea che la pandemia in atto possa essere fronteggiata da un governo di destra infarcito di negazionisti, classisti e razzisti? Un governo sostenuto da un partito che con i prepensionamenti a quota 100 ha sguarnito la sanità pubblica di circa 6.000 operatori, tra medici e infermieri.

Ed infine la paura, questo Convitato di pietra presente ma invisibile, dovrebbe apparire anche agli occhi rapaci ma non stupidi del mondo imprenditoriale e delle organizzazioni che lo rappresentano, Confindustria in testa. Possono gli imprenditori immaginare che la gestione dei 209 milioni di euro della UE sarebbero gestiti dalla destra sovranista meglio di come potrebbe fare il peggiore dei governi europeisti? Non temono che un governo antieuropeo possa suscitare nell’Unione sentimenti di avversione e di sfiducia che potrebbero determinare riduzioni nello stanziamento promesso al nostro Paese grazie ad un governo europeista? Tutte domande alle quali non c’è ancora risposta forse perché ciascuno dei soggetti chiamati a pronunciarsi s’illude di riuscire comunque a salvare il proprio orticello.

1 commento su “Il convitato di pietra”

  1. Sergio Pollina

    Come sempre, leggere Elio Mottola è per me un sollievo: mi fa sentire meno solo, trovando in lui piena corrispondenza di opinione e di … paura. Ha perfettamente ragione quando parla delle forze progressiste come scialbe e imbelli, ormai asservite a un trend che sembra portarci inevitabilmente sempre più a destra, non una destra intelligente, moderata e costruttiva, ma una destra sguaiata e (s)fascista, come quella di Salvini e Meloni. Anche il sindacato sembra ormai un ectoplasma. Sono finiti i tempi di Lama, Storti e Vanni, la famosa triplice; oggi ormai non ricordiamo quasi più chi è il segretario della CGIL. Per quanto paradossale possa sembrare, due personaggi agli opposti, titolari di forze politiche ormai esangui, Berlusconi e Renzi, sono diventati l’ago della bilancia, avendo in comune soltanto un ego ipertrofico che, ai tempi del primo, ci portò sull’orlo dell’abisso, e grazie al secondo ci stiamo già sprofondando. Credo che non basti più affidarsi all’italico stellone, come si diceva una volta, non ci rimane che stare a vedere come finità questa granguignolesca farsa delle consultazioni, e pregare – non so chi – di uscirne se non illesi, almeno con ferite guaribili. Sursum corda!

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