A cosa serve il Presidente della Repubblica? La vulgata comune ci ha abituato all’idea che questa carica serva a poco o niente. Nulla di più sbagliato. È proprio in periodi di crisi delle istituzioni e, pertanto, di governo che il suo ruolo diventa fondamentale per la tenuta della democrazia e, per estensione, per il rispetto di ciò che la Costituzione sancisce. Non è anomalo che Sergio Mattarella avvii delle consultazioni per trovare una nuova maggioranza. E neanche una forzatura, è quello il suo compito in questa fase per evitare che (in modo sconsiderato) si rotoli al voto in piena pandemia.
Nella situazione di stallo venutasi a creare non era più possibile che Conte si ostinasse a non dare le proprie dimissioni senza la garanzia di tornare con un terzo incarico di governo. La “responsabilità” della massima carica della Stato italiano prevede infatti l’individuazione di una maggioranza tra i parlamentari e i senatori in carica, che il popolo ha votato nell’ultima tornata. Quindi viene meno anche la pretestuosa polemica delle forze estreme della destra che invocano il voto come diritto, un diritto mai negato poiché ci si sta muovendo in piena legalità e applicazione delle leggi che ci governano.
In un sistema proporzionale e senza una legge che obblighi alle dimissioni quando si cambia partito e o corrente, è legittimo cambiare colore e quindi fare “salti” in altri partiti o movimenti. E se le persone elette sono quelle che conosciamo (o non conosciamo come ha dimostrato la “chiama” della fiducia al Senato), non ci si può lamentare basando la propria idea sul principio che “è colpa dello stato, ci stanno manovrando”. La democrazia richiede tempi lunghi per il suo esercizio. Tutto ciò che va troppo in fretta, e con la decisione di uno solo, bypassa sedi e confronti (il metodo “Giuseppi” lo fa temere con commissari straordinari e task-force).
E così quali sono gli scenari che ci aspettano? I mandati esplorativi conferiti da Mattarella sono il necessario campo di inizio per sbrogliare la matassa, ma quale sarà il risultato finale? Ce ne sono vari, ma esaminiamo quelli possibili. Conte è difeso strenuamente dal Movimento 5S in quanto la sua uscita di scena determinerebbe una probabile perdita di consensi. Italia Viva non ha preso una posizione netta: nessuna chiusura purché si cambi passo (e premier), vale a dire numeri identici di maggioranza allargata, ma il metodo “Giuseppi” non lo si vuole. Il PD conferma la linea di un Conte III stando alle dichiarazioni di Zingaretti, ma i capigruppo parlamentari dello stesso PD strizzano l’occhio a Renzi e ai fuoriusciti del Senato, e così aprono all’ipotesi di un presidente del consiglio interno al partito (Gentiloni, o persino Orlando). Il centrodestra, spaccato, perde pezzi richiamando ora la disponibilità ad entrare nell’esecutivo per non restar fuori dai giochi fino al 2023, ora richiede che si vada al voto (per non perdere l’elettorato, ma sapendo che questa opzione è vuota di concretezza). Resta la maggioranza con Cottarelli, targata Europa/Ursula, o quella, data in maggior sicurezza rispetto a ogni sperimentalismo, che va sotto il nome di Mario Draghi. Un puzzle che sembra in ogni caso confermare sempre più una verità che fa scomodo al M5S ma che ormai nessuno più sussurra soltanto: Conte non è più la giusta guida di navigazione, l’avvocato del popolo (che infine non si è sottratto all’apertura di una crisi litigando con il Senatore fiorentino) comincia a pagare la sua popolarità dal sorriso seducente.
La palla, e l’ultimo rimbalzo, spetta in ogni caso al giudizio di Sergio Mattarella.
Per approfondimenti sul tema trattato si vedano: