Durante un corso universitario ci fu chiesto di preparare un lavoro in gruppi per l’esame di Theory of Economic Development. Il gruppo in cui fui sorteggiata doveva occuparsi del tema dell’agricoltura in Africa. Di cui, ammetto, non avevo chissà quali conoscenze. In particolare, la parte assegnatami, trattava la condizione delle donne agricoltrici in Kenya.
Approfondendo l’argomento, ho scoperto delle cose sorprendenti, appartenenti forse a quella categoria di piccoli sognatori ed utopisti, di cui, in tutto questo grigiore, abbiamo estremamente bisogno.
Come sarà noto ai più, le donne sono particolarmente importanti nel settore agricolo, soprattutto nell’Africa subsahariana. In genere, però, i “programmi per l’estensione agricola” sono destinati quasi esclusivamente alla formazione degli uomini, e le motivazioni sono molteplici: vincoli religiosi e culturali, soprattutto una segregazione delle donne in varie parti dell’Africa e dell’Asia, dove sono percepite solo come “mogli di agricoltori”. Ma cosa sono i “programmi per l’estensione agricola”? E quali sono i punti rilevanti per le donne?
Gli “Agricultural Extension Programs” offrono consulenza tecnica agli agricoltori e forniscono loro gli input e i servizi necessari per sostenere la loro produzione agricola: danno informazioni agli agricoltori sulle nuove tecniche da utilizzare e trasmettono nuove idee sviluppate nel settore della ricerca agricola. Questi programmi presentano però delle differenze di genere, per alcuni motivi. In primo luogo il capitale umano: le donne hanno meno istruzione degli uomini nella maggior parte delle zone di sviluppo rurale in Africa; il secondo elemento è invece legato alla tecnologia: le donne svolgono attività diverse in modo da avere esigenze tecnologiche diverse, ma la maggior parte dello sviluppo tecnologico riguarda le attività degli uomini.
Anche riguardo la riforma agraria, vi è una distribuzione disuguale della terra: le donne coltivano spesso terreni meno fertili, senza contare che oltre a lavorare in attività agricole devono anche svolgere un lavoro domestico, ed hanno scarso accesso al microcredito finanziario rispetto agli uomini. Dunque il controllo delle colture è quasi completamente appannaggio di questi ultimi: si stima che le donne ricevano solo il 5% dei servizi dei programmi di estensione, pur lavorando tra le 16 e le 18 ore al giorno.
Così, nel 1983, è stato istituito in Kenya il programma “Formazione e Visita” (Training&Visit): un programma di formazione specifico per le donne agricoltrici per raggiungere un livello uguale di efficienza nelle pratiche agricole. È interessante sottolineare il legame esistente tra il progresso economico delle agricoltrici e la promozione della sostenibilità ambientale: in Kenya, come in molti Paesi del mondo, le donne sono “guardiane” delle risorse naturali come l’approvvigionamento idrico. Secondo la FAO, grazie a una campagna di informazione nazionale per le donne, i tassi di produzione di mais in Kenya sono aumentati del 28%, le patate dell’80%. Se tutte le donne agricoltrici completassero la scuola elementare, i rendimenti potrebbero aumentare del 24%. E, a tal proposito, è notizia di pochi giorni fa che proprio la FAO (Agenzia dell’Onu per l’agricoltura ed alimentazione) e United Nation Women hanno avviato un progetto da 7 milioni di scellini kenioti volto a rafforzare la capacità delle donne di impegnarsi in modo significativo nell’agricoltura sostenibile per il clima (CSA).
Il progetto sarà di durata quadriennale inizialmente in 3 contee: Laikipia, West Pokot e Kitui e vuole promuovere una trasformazione agricola nelle regioni cosiddette ASAL (aride e semiaride) del Kenya che risponda ai nuovi scenari dei cambiamenti climatici.
Il settore ha un elevato potenziale occupazionale ed è in grado di assorbire molte donne che attualmente devono far fronte a tassi di disoccupazione elevati, poiché proprio esse rappresentano il 60% dei giovani disoccupati e sottoccupati del Kenya.
“Gli obiettivi del programma cercano di far avanzare i progressi compiuti verso l’emancipazione delle donne, l’uguaglianza di genere, la resilienza climatica e la crescita economica, il tutto tramite la creazione di posti di lavoro e per la sicurezza alimentare “, queste le parole di Margaret Kobia, Segretario di Gabinetto del Ministero dei Servizi Pubblici e di Genere del Kenya.
Con questo progetto, si spera dunque che più giovani donne siano incoraggiate ad adottare l’agricoltura come occupazione o attività commerciale. La rappresentante della FAO in Kenya, Carla Mucavi, ha dichiarato che, entro 4 anni, il progetto aumenterà il know-how tecnico degli agricoltori e migliorerà la loro capacità di partecipare alla gestione produttiva del suolo e dell’acqua, oltre ad aumentare l’accesso delle donne ai finanziamenti nel settore agroalimentare.