La pandemia di Covid-19 ci ha costretti a ripensare alla fruizione dell’arte e dei luoghi culturali: musei, mostre, concerti musicali ecc. Dopo la crisi i problemi da affrontare nel settore museale saranno molti, e non solo in Italia, come riportato dal Network of European Museum Organisations (NEMO). Ci saranno ingenti perdite finanziarie, ancor più una significativa diminuzione dei finanziamenti nel settore, per non parlare della drammatica situazione del lavoro nel comparto culturale.
Nonostante ciò, territorio e cultura cambiano continuamente e la nuova condizione in cui ci siamo ritrovati nostro malgrado a vivere potrebbe creare, proprio nei musei, esperienze di visita innovative in grado di esaltare la dimensione del museo: in grado, cioè, di qualificare i musei come veri e propri momenti spazio-temporali insostituibili per la socializzazione, condivisione e incontro dal vivo, presentandoli come un’esperienza ed opportunità di “viaggio”, anche se solo con la propria fantasia.
Un aspetto importante da considerare, parlando di musei, è la differenza tra pubblico virtuale e pubblico reale. Il pubblico virtuale è un pubblico distante, globale, multilingue, multiculturale, collegato a comunità e reti, che devono necessariamente accontentarsi di forme di turismo digitale e di visite online. D’altra parte, il vero pubblico è essenzialmente un pubblico locale, più domestico ed è l’espressione di comunità e reti di utenti a misura del territorio: il pubblico, dunque, che avrà più facilmente occasione per visitare il museo.
In questo contesto, non si tratterà di trasformare i musei in musei locali, ma di affidarsi ad essi su una solida base territoriale, di stabilire nuovi legami identitari e forme di dialogo aperte a diversi contesti sociali e culturali. Si dovrà permettere al visitatore di appropriarsi del proprio museo e diventare parte attiva di esso.
In “Sostenibilità e sviluppo locale” ICOM riconosce i musei come quei luoghi in grado di posizionarsi come agenti sociali vitali: è qui che si svolge l’intero dibattito sui beni comuni. Ma proprio di questi tempi sappiamo quanto debbano essere considerati veramente “comuni” anche quei beni che definiamo “culturali”: storia, conoscenza, arte.
Perciò, è interessante volgere lo sguardo agli ecomusei e ai musei comunitari: l’inventore del termine, Hugues de Varine, afferma che il patrimonio culturale può migliorare il tenore di vita, creare occupazione e soddisfare le esigenze della popolazione. Il pensiero va a quello che è chiamato Patrimonio Comune, vale a dire, il patrimonio che è identificato come “importante per la comunità locale: un villaggio, un distretto, un gruppo etnico, con la totalità della sua popolazione, di qualsiasi origine, stato amministrativo, età o contesto sociale” (de Varine).
Gli Ecomusei si configurano come processi partecipativi di riconoscimento, cura e gestione del patrimonio culturale locale al fine di favorire uno sviluppo sociale, ambientale ed economico sostenibile; sono dunque identità progettuali che mirano a collegare usi, tecniche, risorse di un territorio con il patrimonio culturale ivi contenuto. Sono percorsi di crescita culturale delle comunità locali, creative e inclusive, basati sulla partecipazione attiva degli abitanti e sulla collaborazione di enti e associazioni.
Tra le parole chiave di un Ecomuseo, infatti, ce ne sono soprattutto due: partecipazione e divulgazione. A differenza del museo tradizionale, l’Ecomuseo è un sito meno istituzionalizzato e più sperimentale, che si concentra sulla nozione di patrimonio come bene comune e ha un grande lavoro che coinvolge il cittadino. Tra i tanti Ecomusei in Italia possiamo citare l’Ecomuseo urbano “Mare Memoria Viva” di Palermo, che occupa gli spazi di un ex deposito di locomotive ottocentesche, e l’Ecomuseo Casilino di Roma, che si occupa della valorizzazione di agricoltura, aree naturali e archeologiche contro il progressivo aumento dell’edificazione. La cultura dopo il Covid-19 può cambiare completamente le idee e le esperienze di sostenibilità, stimolando lo sviluppo sostenibile e l’inclusione sociale nel settore museale e culturale anche in aree rurali remote o isole, attraverso il dialogo tra accademici, responsabili politici, musei e comunità locali.