L’epilogo della vicenda presidenziale di Trump lascia irrisolti alcuni interrogativi. Il primo riguarda la sanità mentale di un uomo disposto a scardinare il sistema democratico del più grande Paese del mondo pur di non cedere il potere. Secondo settanta milioni circa di elettori statunitensi Trump è di sana e robusta costituzione (diversamente da quella degli USA alla luce degli ultimi eventi) ed è anzi un uomo mandato dalla Provvidenza per riportare gli States all’antico splendore.
Secondo John Gartman, coautore del documentario dal titolo “Unfit (Inadatto n.d.r.) – La psicologia di Donald Trump”, il Presidente uscente (che sta ancora uscendo mentre scriviamo) sarebbe affetto dalla sindrome del narcisismo maligno, patologia costituita da quattro componenti, uno più preoccupante dell’altro: egocentrismo, paranoia, antisocialità, sadismo. Da questo quadro psichico sembrano discendere i comportamenti anomali manifestati nei quattro anni di presidenza, sia nel linguaggio che nelle decisioni politiche. Di tutto questo pare si siano accorti i circa settantotto milioni di americani che gli hanno votato contro, molti dei quali ne erano convinti già alla vigilia delle passate elezioni.
Quindi nasce spontanea la domanda: è possibile che non se ne sia accorta la quasi totalità dei suoi colleghi di partito, senatori o deputati che fossero? Sarà sembrato normale a costoro, o magari utile o addirittura necessario, che Trump promettesse la costruzione di un muro lungo il confine col Messico e soprattutto che si desse da fare, una volta eletto, per costruirlo sul serio? Ignoravano questi signori, pur sorpresi dalla sua inattesa vittoria alle primarie, che il nostro uomo aveva mantenuto ed accresciuto il cospicuo patrimonio ereditato dal padre anche grazie ad intemperanze varie, qualche irregolarità ed una elusione fiscale di tanto in tanto adombrata con non poco compiacimento?
È evidente che una tale dose di ingenuità è inconcepibile in persone che aspirano a sedere in un parlamento e a governare la prima superpotenza mondiale, mentre può invece affliggere la parte più dabbene dell’elettorato repubblicano. Dobbiamo quindi concludere che il partito repubblicano era, nel suo complesso, nelle sue strutture e nei suoi vertici, consapevole del deficit psichico ed politico che il Tycoon si portava dietro, chi sa da quanto tempo, facendone anche oggetto di puerili esibizioni. Ciò malgrado, se ne sono serviti per quattro anni sostenendolo compatti, con qualche rara eccezione, anche nelle decisioni più esecrabili, convinti che avrebbe fatto gli interessi della classe egemone del Paese da essi rappresentata.
D’altra parte la complicità del potere economico con leader “unfit” non deve sorprendere: la storia, anche recente, ci insegna che l’appoggio del grande capitale non è mai mancato ai capipopolo carismatici capaci, come il pifferaio di Hamelin, di attrarre masse di elettori per poi portarle puntualmente alla rovina, insieme al resto del paese, salvo naturalmente la parte che se ne è servita per accrescere le proprie ricchezze.
Come i repubblicani, colpevoli di non aver estromesso Trump dalla corsa alle primarie e di aver perseverato nell’errore fino all’assalto al Campidoglio, così sono colpevoli i social, Tweet e Facebook in testa, che hanno sospeso l’account di Trump solo quando la sua posizione è diventata perseguibile con l’impeachment o col 25° emendamento: per almeno quattro anni hanno diffuso, con l’effetto di amplificazione che ben conosciamo e senza batter ciglio, tutte le smargiassate, le ingiurie ma anche le fake news messe in giro dal Presidente in carica. Solo alla fine dunque, quando si andava profilando la sua sconfitta e la sua rabbia crescente dava luogo a dilaganti e virulenti sproloqui, si sono decisi a intervenire.
Cogliamo poi l’occasione per segnalare, com’è ormai d’abitudine, l’opportunismo dei nostri mezzi di informazione incapaci di “estorcere”, anche in questa evenienza, ai sovranisti nostrani un giudizio netto sulla sciagurata e rischiosa deriva del loro omologo d’oltreoceano. A parte l’esultanza manifestata al riguardo da Roberto Fiore, ex terrorista nero, pregiudicato, fondatore del movimento eversivo Terza Posizione e poi di Forza Nuova, recentemente confluito nel nuovo soggetto politico di estrema destra Italia Libera, vicino sia a Fratelli d’Italia che alla Lega, non risulta che qualcuno abbia avuto il coraggio di rivolgere a Salvini e alla Meloni la seguente, irriguardosa domanda: “Secondo lei nelle elezioni americane ci sono stati o no brogli in danno di Trump?”. Se qualche lettore ne fosse a conoscenza, è pregato cortesemente di segnalarlo.