America: benvenuta nel mondo

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Panoramica del Campidoglio, Washington (Foto di Wikimedia Commons)

L’assalto alla sede del Congresso americano di una parte agguerrita ed armata dei sostenitori di Trump dovrebbe aprire una riflessione globale sul modello statunitense e sulla democrazia parlamentare.

Noi europei rimaniamo prigionieri del dogma che quello USA sia il modello democratico per eccellenza tanto da averne legittimato tante guerre per la sua esportazione. Un dogma la cui forza deriva più dal sistema di alleanze, verrebbe da dire di sudditanza, alla superpotenza che da una vera convinzione politica ed istituzionale. Ciò è tanto più vero se si confrontano i diversi sistemi: alcuni aspetti del sistema americano, in particolare quello elettorale e quello assistenziale, sono del tutto estranei alla logica universalistica cui le democrazie europee tendono e non avere piena consapevolezza di queste differenze favorisce una visione distorta della democrazia USA.

Ma veniamo al punto dolente: ciò a cui abbiamo assistito in cosa è simile e in cosa è diverso da quanto è avvenuto ed avviene in altri paesi?

Esempi di tentativi più o meno riusciti di imposizione della propria volontà da parte di minoranze ricche, che armavano la plebaglia, nella storia delle democrazie, recente e meno recente, ce ne sono tanti. La marcia su Roma dei fascisti di Mussolini chiese ed ottenne da parte del re la destituzione del legittimo capo del governo e la conseguente assegnazione di poteri speciali al duce. Uno scenario impossibile da prefigurarsi nel sistema americano: non c’è un re che designa il Presidente. In questo la mossa di Trump è stata azzardata e stupida tanto da rischiare di travolgerlo definitivamente.

Anche se è stata da tanti criticata come segno di debolezza, l’assenza di un cordone di sicurezza militarizzato a difesa della massima istituzione democratica del Paese va invece, a nostro avviso, letta come un segno di forza. La sostanziale differenza tra quella democrazia e quelle molto fragili di tanti altri paesi, come quelli sudamericani ad esempio, è che le forze armate non sono soggetti politici in gioco, come non lo sono più da decenni nelle democrazie consolidate europee. Il rispetto per le istituzioni democratiche negli Usa assume quasi un carattere di sacralità. Lo spiegamento di forze armate è concepibile, ed ammesso, per uno statunitense solo per la difesa da nemici esterni e in territorio straniero, mai nei propri confini nazionali e contro cittadini americani. L’esercito non può intervenire, tant’è vero che hanno inventato la Guardia Nazionale. È pur vero che abbiamo visto un dispiegamento di forze enorme contro le manifestazioni di protesta per l’uccisione di George Floyd e del movimento Black Lives Matter (BLM, letteralmente “le vite dei neri contano”), ma la polizia dipende dai sindaci e dagli stati non dal governo centrale. C’è stato sicuramente un errore di valutazione in un Paese che ha visto ben sette presidenti assassinati e si è sottovalutato che l’intento dei manifestanti era attaccare i luoghi simbolo dell’esercizio democratico e non semplicemente sostenere Trump.

Sono differenze importanti che rendono il paese multietnico per eccellenza dotato di una incredibile unità nazionale. La bandiera a stelle e strisce ha un valore simbolico molto maggiore che negli altri paesi del mondo, è segno e simbolo sventolato da poliziotti e contestatori, conservatori e liberal con la stessa forza e convinzione. Difficile immaginare un simile orgoglio tra gruppi organizzati della sinistra italiana, oggi come negli anni della grande contestazione operaia e studentesca, cosa che invece avveniva anche tra i gruppi più estremi, come il movimento hippy, i figli dei fiori, negli anni Sessanta del secolo scorso. Allora cos’è che deve preoccupare gli americani e noi tutti?

Prima di tutto il potenziale distruttivo detenuto da una sola persona. Trump possiede ancora la valigetta e i codici per sferrare un attacco nucleare. Nessun paese, nessun governo può detenere un così enorme potere. Siamo tutti troppo fragili. È indispensabile rilanciare una vera e consapevole battaglia per la denuclearizzazione e per la messa al bando di armi di distruzione di massa, negli USA come in ogni altro paese del globo.

Provati tutti dalla pandemia rischiamo di abituarci all’idea della possibilità di una autarchia produttiva, consumistica e socio culturale. Negli USA come in Europa e nel resto del mondo è necessario sperimentare modelli di governo e di produzione che considerino le differenze e contemplino una diversa modalità del produrre e del consumare. Lo spettacolo messo in atto nei giorni scorsi nelle sale del Congresso americano ha mostrato un protagonismo rivoltoso di gruppi di uomini e donne dalla pelle bianca che rivendicano solo per sé livelli di benessere e di autosufficienza contro il resto del mondo, americani compresi, se non hanno il loro stesso colore della pelle, non bevono birra e non si ingozzano di salsicce e tacchini. Quell’America che abbiamo conosciuto in tanti film dell’orrore, nelle storie drammatiche del KKK, che impiccava e linciava uomini e donne colpevoli solo di avere la pelle nera, e nella ferocia del comportamento di bifolchi della provincia americana ben rappresentata in Easy Rider, film del 1969 diretto e interpretato da Dennis Hopper con Peter Fonda e Jack Nicholson, dove la diversità viene pagata con la vita dai protagonisti.

La profonda tristezza che le immagini dell’assalto al Campidoglio di Washington ci ha trasmesso è che alla fine, nel Paese tecnologicamente più avanzato, più potente e liberal del mondo, ciò che tiene insieme una gran parte di cittadini americani è il principio di esclusione, un senso di appartenenza tribale che smentisce il mito del sogno americano del self-made man alla portata di tutti. Una tribalità ad oggi gestita in un confronto/scontro America contro tutti, in una permanente logica di primato planetario. Le scelte autarchiche di Trump hanno fatto collassare il Paese. Impossibilitati a trasferire all’estero arroganza e volontà di sopraffazione, il sentimento tribale si è riversato contro i nemici interni, contro il proprio stesso Paese. Questa parossistica e reazionaria affermazione di identità, perseguita facendo ricorso alla violenza e attaccando i simboli del potere istituzionale, deve preoccuparci per la sua risonanza antidemocratica, allarmarci e farci riflettere uscendo dalla semplicistica visione che vede contrapposti filo o anti americani. In questo mondo ormai senza confini, la storia di ogni paese ci riguarda, ogni idea nazionalistica non può che portare al collasso, alla guerra e al conflitto permanente. Una prospettiva che l’umanità non può permettersi.

2 commenti su “America: benvenuta nel mondo”

  1. Maddalena marselli

    Condivido ma solo su un punto sono perplessa. Ho letto che fonti della NATO considerano l’accaduto un “colpo di Stato”. Il non intervento della Guardia Nazionale diretta dal Dipartimento della Difesa è un fatto voluto e dunque politico. Non è pensabile che in previsione di una tale manifestazione le forze dell’ordine non fossero preparate ad intervenire!

  2. L’assalto al Congresso Americano ha fatto rabbrividire e impaurire, secondo me, il mondo intero. Tramp ha fatto solo danni agli Stati Uniti,
    ed era prevedibile quello che è successo, visto il comportamento di Tramp sia durante la campagna elettorale che dopo la sua sconfitta e l’elezione di Biden.
    Comunque non è pensabile che un solo uomo detenga la valigetta e i codici per sferrare un attacco nucleare, è democrazia questa?

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