Maradona per me

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Uno dei tanti murales nei pressi dello stadio Bombonera in Argentina (Foto di Francesco Fusi)

Era il 26 ottobre 2017, atterravo a Buenos Aires per il mio viaggio zaino in spalla. Per le viscere della capitale argentina la lancetta dell’orologio segnava le 6.15 del mattino. Le stradine argentine adiacenti al quartiere Boca, esattamente dove avevo prenotato una camera in ostello, non erano affatto sicure. Camminavo spaesato, a tratti impaurito, così un panettiere mentre abbassava la serranda del suo negozio sgarrupato intravide quella maglietta che avevo addosso. “Chi ama non dimentica” recitava la scritta sulla maglietta, con tanto di volto di Maradona. Il panettiere mi fermò: “viajero de donde sos? Viva el Diego” (viaggiatore da dove vieni? Viva Diego). “Soy napolitano”, esclamai a gran voce, manco avessi incontrato un amico di vecchia data. La serranda si rialzò, il signore nonostante la stanchezza del lavoro, mi offrì delle empanadas e un cornetto. Quel viaggio fu indimenticabile e quella maglia mi aprì una serie di fortunati eventi che ad oggi banalmente collego a Diego Armando Maradona.

Diego per i napoletani è stato e sarà sempre uno di famiglia. Un idolo che ognuno di noi porta nel cuore con vanto e fierezza. La città incastonata tra le sue bellezze mozzafiato da sempre sembra vivere in un clima oscuro. Quando il 5 luglio 1984 Maradona mise il piede sinistro sull’erba dello Stadio San Paolo, la città fu avvolta da una luce forse mai vista prima. I racconti di mio padre e dei suoi coetanei si riempiono di gioia quando si narrano le sue gesta, quasi come se fosse un’entità suprema, un condottiero dalle mille battaglie. La Napoli delle disgrazie e delle mille difficoltà improvvisamente poteva finalmente vantare qualcosa: avere il giocatore più forte al mondo che indossava quella casacca. Napoli ha trovato in quello scugnizzo povero e sregolato un uomo in cui identificarsi. Le vittorie in trasferta in quel nord che ci urlava “terroni” riempivano di gioia milioni di napoletani sparsi per il mondo, che per 90 minuti potevano finalmente sognare di arrivare lì dove i poveri e gli ultimi difficilmente possono accedere. Al contempo Diego ha trovato in questa città, così complicata e mortificata, una casa, un luogo sicuro, lontano dai giudizi. Lui, che è sempre andato in direzione ostinata e contraria, ha incontrato durante il suo cammino pochi amici e tanti arrivisti. Ma la poesia del binomio Maradona-Napoli è stata che mentre le sue debolezze fuori dal campo venivano sfruttate per distruggere l’uomo-mito, a Napoli quelle fragilità venivano cullate, esattamente come fa una mamma con il suo bambino. Questo idolo tanto generoso quanto letale è stato capace di racchiudere nei suoi gol sempre un significato profondo. Lui che in appena 5 minuti ha siglato le due reti più contraddittorie di tutta la storia del calcio. La mano de Dios, prima vera consacrazione da uomo a divinità, è stata interpretata come uno schiaffo a quegli inglesi che fuori dal campo lottavano per sottrarre agli argentini le isole Malvinas. Il secondo gol è storia e arte contemporanea. Maradona però non è stato venerato solo per le sue prodezze sul rettangolo da gioco, in lui tantissimi hanno apprezzato le difficoltà di un uomo apparentemente indistruttibile. Maradona è un dio controverso, qualcuno negli anni l’ha definito: il più umano tra tutte le divinità. Chiunque di noi in lui può riconoscere debolezze, vizi e fragilità. Ma proprio la sua capacità di cambiar pelle trasformandosi da umano a supremo l’ha reso apprezzato dalla gente. Diego non è mai potuto tornare all’anonimato, la stessa fama che l’ha salvato dalla povertà lo ha reso a volte prigioniero.

In un mondo che senza conoscerti vuole renderti un modello, affidandoti responsabilità importanti a tua insaputa, lui non voleva rispecchiarsi. Maradona ha urlato a tutti che i grandi possono perdere, sbagliarsi; ma ha anche insegnato che l’impensabile può accadere. I suoi trofei vinti tra nazionale e maglia azzurra lo dimostrano. E così gli umani negli anni l’hanno omaggiato dedicandogli chiese, campi da calcio, canzoni, documentari. Dalla povertà di Villa Fiorito, luogo in cui è nato, non ha mai dimenticato la battaglia degli ultimi, si è sempre schierato incurante delle conseguenze, nato in uno dei luoghi più difficili dell’Argentina, facendosi carico delle difficoltà economiche della sua famiglia. Lui che alle televisioni di mezzo mondo gridò: “Non mi hanno fatto entrare in Giappone perché ho sniffato cocaina, ma lasciano entrare gli statunitensi che gli hanno sganciato due bombe atomiche”. Lo stesso Maradona oltre che calciatore è stato un attivista politico. Ha difeso a più battute molti presidenti latinoamericani, da Fidel Castro a Chavez passando per Maduro e Morales. Diego, beffardo come sempre, se n’è andato nella stessa data della morte di Fidel Castro, il suo idolo indiscusso. Lui che ha provato a imitarlo nel suo essere anti-imperialista, conosceva bene le difficoltà di una società che lascia indietro qualcuno. Intanto, mentre scrivo, le luci dello stadio San Paolo di Napoli sono accese, e tanti napoletani commossi e scossi si recano come in pellegrinaggio verso questo luogo. E ora che non sei più qui tra noi, divertiti nella tua nuova partita che si chiama eternità. Grazie Diego

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