Nella variegata cornice del Festival del Cinema dei diritti umani di Napoli abbiamo incontrato un documentario particolarmente interessante del regista Camilo Pauck. Siamo negli anni ’70 in Honduras, precisamente a Juticalpa, Olancho, dove tra il 1972 e il 1975 sono state combattute numerose battaglie per una riforma agraria equa da parte dei contadini delle comunità locali.
Attraverso le testimonianze di numerosi personaggi che presero parte alle proteste viene ricostruita la storia dei massacri di La Talanquera, Santa Clara e Los Horcones. “Quando abbiamo iniziato a lottare per un’equa ripartizione della terra, quello che abbiamo ricevuto è stato essere perseguitati e incarcerati”. Queste le parole di Miguel Ortiz, oggi avvocato, uno dei sopravvissui della Marcia Contadina del 1972.
Con l’aiuto della Chiesa Cattolica, la UNC (Unione Nazionale Contadina) chiedeva al governo una riforma della proprietà terriera. Non solo. La stessa Chiesa iniziò un programma educativo e di sviluppo delle comunità rurali, dando vita a programmi di alfabetizzazione per i contadini attraverso la radio, creando cooperative sociali ed organizzazioni femminili. Uno dei luoghi principali di questo programma fu il Centro Santa Clara di Olancho. I contadini rivendicavano dunque non solo una riforma agraria, ma anche programmi di educazione, salute, riforme sociali. Per questo motivo furono accusati di comunismo. Da quel momento iniziarono le occupazioni terriere da parte di famiglie contadine, che furono represse nel sangue per mano dell’esercito nazionale. Nel 1975 la UNC organizzò una Marcia Contadina, con 50.000 contadini che si riunirono al Centro Santa Clara che poco dopo fu assaltato dall’esercito, con torture ed uccisioni dei contadini coinvolti nella protesta.
Il documentario è un importante spunto per approfondire la situazione che tuttora vive il popolo dell’Honduras, dove le violazioni dei diritti umani per una riforma agraria nazionale continuano a perpetrarsi, specialmente dopo il colpo di stato militare del 2009. Le principali vittime continuano ad essere proprio i difensori della terra, con centinaia di attivisti assassinati. Ancora oggi, dunque, il Paese vive una grave crisi alimentare, acuita dai terribili effetti della pandemia da Covid-19, ed inoltre non dispone ancora di politiche pubbliche efficaci in campo agricolo, che possano dar vita ad una reale trasformazione e democratizzazione agraria del Paese. Secondo il CESPAD (Centro di Studi per la Democrazia), più del 60% della popolazione rurale vive in condizioni di estrema povertà, cioè è a rischio alimentare, “perché la povertà estrema non garantisce la dieta di base di cui una famiglia ha bisogno per garantire una sussistenza dignitosa“. A ciò si aggiungano i danni causati dal cambiamento climatico nei settori agricolo e forestale.
Ciò che il documentario vuole sottolineare è l’impunità dei responsabili dei massacri degli anni ’70, principalmente i grandi proprietari terreri appoggiati dalle forze militari dell’esercito nazionale. Il regista, a tal proposito, ha dichiarato: “La mia responsabilità come regista è andare alla ricerca della memoria dei nostri popoli, salvarla, mostrarla e salvaguardarla in modo da poter costruire i ponti che ci separano. Oggi che vengono ricordati, li accompagniamo.”
Un modo per ricordare dunque le vittime di quelle stragi ma allo stesso tempo un monito per il presente e soprattutto per il futuro dell’Honduras, dove l’equa distribuzione della terra rimane uno dei principali motivi di violazione dei diritti umani, affinché si continui a parlare e a sostenere le lotte in quegli angoli del mondo meno coperti dalla stampa mondiale, ma non per questo meno importanti per essere difesi.