Dal cinema di ieri allo streaming di oggi

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Poltrone vuote di una sala cinematografica (foto di www.unspalsh.com)

La XII edizione del Festival del cinema dei diritti umani di Napoli mette in evidenza storie lontane di un mondo che quasi non conosciamo, immersi come siamo nell’era digitale. America latina, Asia, Medio Oriente, le opere presentate sono varie e riescono a toccare i grandi temi dell’attualità. Dalle migrazioni che viviamo, ai problemi di genere passando per le “nuove discriminazioni”. Così il cinema da Napoli mette al centro le priorità degli esseri umani, lontani quindi dai meccanismi dominanti del mercato, si proiettano sul grande schermo le storie degli ultimi e si viene messi in guardia contro i nuovi autoritarismi che minacciano la democrazia. In questo contesto – è paradossale affermarlo – il merito della pandemia è stato di riportare nell’orbita dell’interesse comune la storia di molti “ultimi”. Il Covid-19 ha reso più evidenti le differenze sociali e dunque la povertà diffusa. Il Festival del cinema dei diritti umani di Napoli ci ha ricordato anche quest’anno che quello che una volta in Italia veniva chiamato cinema politico non è scomparso, semplicemente si barcamena in un contesto sociale completamente differente rispetto al passato.

Se in America latina, ad esempio, si sfornano opere cinematografiche coerenti con i problemi di quella società, questo sicuramente è dovuto a percorsi storici completamenti diversi dai nostri. Il Cile e l’Argentina escono da recenti dittature e la voglia di denuncia e di analisi persiste ancora nella società. La situazione italiana appare diversa. Se negli anni ‘60 e ‘70 eravamo abituati ad opere quali Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, dove si denunciavano apertamente le ingiustizie sociali, già dalla metà degli anni ‘80 la società cambia bruscamente pelle ed anche il cinema italiano ne risente. Basti pensare che nel 1985 vengono prodotti solo 80 film, cala vertiginosamente anche il numero di spettatori, da 525 milioni del 1970 a 123 milioni. In questo contesto ha influito negativamente l’esplosione della televisione commerciale. Il cinema italiano da una parte si ispira ai modelli statunitensi, dall’altra favorisce programmi tv che non hanno nulla di politico se non un banale intrattenimento, che è quello che continuiamo a vivere oggigiorno. Se dunque prima, dinanzi ad un televisore, c’era la fila per guardare un film che nella maggior parte dei casi non si sceglieva, oggi la possibilità di ricerca è resa alla massima potenza. L’ampliamento della scelta, per quanto positivo possa essere, ha anche portato ognuno di noi a rinchiudersi nelle proprie camere, dotati ognuno di un laptop ci si sceglie i film in base ai nostri interessi senza la possibilità di vedere qualcosa che esca dai nostri canoni di bellezza e interesse. Dal film-dibattito si è passati al film-individuale. Le piattaforme streaming hanno così contribuito all’isolamento dello spettatore e ad acuire quella crisi del cinema che dal grande schermo si proietta direttamente nelle stanze da letto. Selezionando così i nostri interessi ci si è chiusi in un mondo tutto nostro, in cui siamo noi a decidere e filtrare. Nel contesto moderno in cui intere generazioni si trovano orfane di quello che una volta si chiamava impegno politico non mancano però opere contemporanee che sarebbe opportuno venissero proiettate in contesti pubblici per favorire dibattiti e analisi comuni. Opere come Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, Diaz – don’t clean up this blood, Alì ha gli occhi azzurri di Giovannesi e tantissimi altri, rispolverano quei temi che spaccano l’attuale società italiana e rappresentano in chiave moderna quello che eravamo abituati a chiamare cinema politico o impegnato. Insomma più che guardare, nostalgici, ai giganti della cinematografia del passato, servirebbe uscire dall’auto-isolamento che ci siamo “imposto”, per riportare, attraverso un mezzo potentissimo come il cinema, le persone a dialogare nuovamente.

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