Si ha l’impressione che la stampa mainstream difficilmente vada oltre dei trafiletti quando si tratta di politiche che rappresentano un rischio per il modello neoliberista. Questo ovviamente è anche il caso della Bolivia che propende per il socialismo. La Bolivia dei campesinos, degli indigeni, degli ultimi della società, che partecipano però attivamente alla vita politica del Paese, cambiandone addirittura le sorti. In America latina forse più che in qualsiasi altra parte è difficile governare autonomamente un Paese, nazionalizzare le proprie ricchezze e decidere senza il fiato sul collo. In America latina si ha sempre la sensazione che ogni nuovo governo debba avere una sorta di lasciapassare dal poderoso vicino: gli USA.
Un anno fa un vero e proprio golpe militare ha messo fine al governo di Evo Morales, un governo che ha guidato la Bolivia per 13 lunghi anni. Il primo presidente indigeno salito al potere il 22 gennaio 2006 ha cambiato il Paese, prima nazionalizzando le principali imprese boliviane, successivamente diminuendo drasticamente la percentuale di abitanti che vivevano in povertà assoluta, dal 38% al 18%. Come riferisce l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), “Il paradosso della crisi boliviana è tutto qui: dal 1990 al 2017, l’aspettativa di vita dei boliviani è passata da 56 a 71 anni.” Un vero e proprio miracolo socialista che negli anni si è inimicato le potenze più a destra del continente. Il conto gli è stato servito esattamente il 20 ottobre 2019. Dopo che nei giorni precedenti le forze di polizia si ammutinavano, i militari sostenuti da mercenari stranieri si apprestavano a girare la faccia al presidente Morales. Così l’OAS (Organizzazione degli Stati Americani) con la scusa di presunti brogli elettorali aveva avviato il ritorno alle urne. La votazione è stata scandita da attacchi mirati a Evo Morales, tanto che le forze di polizia avevano reso pubblico un suo mandato di arresto. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il patto tra i suprematisti bianchi del Paese che, ripudiando le loro origini, hanno però prima tratto in inganno le organizzazioni indigene del settore minerario di Potosi, stringendo quindi un’alleanza beffarda. Alla fine è bastato poco alla senatrice di estrema destra Jeanine Añez per autoproclamarsi presidente. Il tutto è stato compiuto senza raggiungere il quorum necessario, neanche gli audio diffusi da El Periodico, in cui si evinceva la mano della destra brasiliana in questo golpe, sono riusciti a creare scalpore. I media mondiali, mettendo in prima pagina l’appoggio di Trump, di Bolsonaro e del miliardario Elon Musk padrone di Tesla, hanno accreditato il governo di Añez.
I giorni dopo l’autoproclamazione le strade del Paese si sono macchiate di sangue. I campesinos, in lotta per difendere gli anni di successi di Morales, sono stati spazzati via sotto i colpi dei fucili dei militari. La resistenza popolare è stata descritta come “guerriglia urbana”, in realtà si trattava di omicidi in piena regola. Morales, dapprima scappato in Messico accolto da AMLO, ha poi chiesto aiuto a Fernandez in Argentina, dove risiede ancora oggi. Alle urne pochi giorni fa il MAS (movimento al socialismo) ha fatto un altro miracolo. Il candidato di opposizione Carlos Mesa aveva buone probabilità ma il MAS ha sorpreso tutti conquistando addirittura la maggioranza assoluta. Questa volta i golpisti non hanno potuto nulla. “Mi congratulo con i vincitori e chiedo loro di governare pensando alla Bolivia e alla democrazia”, ha twittato Jeanine Añez che in 365 giorni ha saputo solo racimolare denunce di corruzione e un bilancio disastroso nell’emergenza Covid-19. Il MAS, indebolito a causa delle spaccature già negli ultimi anni di Morales, ha stranamente beneficiato di questo golpe per riunirsi ancora più forte, mettendo da parte tutte le polemiche del passato. Adesso la palla passa al neo Presidente Luis Alberto Arce Catacora, economista, politico e professore universitario. Possiamo affermare che Arce ha ideato la politica economica di Morales durante tre mandati prendendo in carico il Ministero dell’Economia e delle Finanze. I primi provvedimenti per il futuro, presentati da Arce, saranno ridistribuire la ricchezza in eccesso aiutando i settori in calo, ma soprattutto ritornare ad investire nel settore agricolo polmone economico, utile per la creazione di posti di lavoro e fonte di reddito. Una cosa è certa: la vittoria di Arce fa crollare la “fiction politica” inscenata l’anno scorso dagli USA, dai media europei e soprattutto dall’OAS. Iniziando un mandato con uno slogan ben preciso: “para el pueblo lo que es del pueblo” (“per il popolo quello che appartiene al popolo”). Parole che qui, nel Vecchio Continente, risuonano oramai anacronistiche.