Dedicato a una signora di questo secolo

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Erano i primi anni Settanta del secolo scorso quando presi il vizio, un vizio utile e illuminante che mi catapultò in un mondo totalmente diverso da quello delle tragicomiche vicende dell’adolescenza: iniziai a leggere tutti i giorni “il manifesto, quotidiano comunista”. Un vizio perso dopo tanti anni quando alla guida di quel giornale non c’erano più Luigi Pintor, Valentino Parlato, Rossana Rossanda, Luciana Castellina, Lucio Magri. Un vizio che resistette anche alla lacerante rottura che si determinò tra i fondatori, tra Magri e Castellina e tutti gli altri perché nei primi prevalse la caparbietà di costruire un partito di sinistra che raccogliesse il “meglio” di una tradizione sindacale dissenziente, Vittorio Foa e altri, gli ortodossi dei gruppetti della sinistra, l’area “liberal” rappresentata da quelli che allora erano del gruppo di “lotta continua”, e “certi” ex socialisti e molti cattolici che si autodefinivano del “dissenso”.

Luciana Castellina con i suoi editoriali andava subito al punto, si schierava, dava valore politico a questioni che interessavano la vita di migliaia di noi. Era chiara, forse semplicistica, ma chiara. I suoi editoriali durante la campagna referendaria per il divorzio, che nei fatti ha segnato un momento di rottura nella storia della società italiana dominata da un opprimente cattolicesimo perbenista e piccolo borghese, sono pietre miliari del giornalismo politico e militante. Lei andava al sodo e affrontava nel merito tutta l’ipocrisia che regna nelle famiglie. E poi gli editoriali sul Lavoro come quando il primo maggio tuonò: i lavoratori celebrano il lavoro con una festa perché vogliamo lavoro ma sono contro il lavoro che è schiavitù. E poi Luigi Pintor, il suo appassionato utopismo, che giunse a scrivere che “un’organizzazione rivoluzionaria deve prefigurare nei rapporti che costruisce al suo interno la società che vuole edificare”. Ma Pintor era anche un coraggioso e malinconico pessimista, che abbiamo imparato a conoscere leggendo i suoi straordinari piccoli grandi libri e che ebbe il coraggio di prendere atto della strutturale sconfitta di un cambiamento sostanziale della società italiana e il suo giornale uscì con il titolone “Moriremo democristiani”. E poi Valentino Parlato a spiegarci l’economia, lui che economista non era, ma che voleva che imparassimo a capire il sistema nel quale vivevamo, le sue regole, le sue trappole, le mille possibili vie di scampo.

E poi c’erano loro due, che riuscivano a tenere insieme tante diversità, tante storie, il passato con il presente proiettandoci nel futuro: Lucio Magri e Rossana Rossanda. Il loro modo di scrivere era sempre complicato e problematico. Ci obbligavano a ragionare. Ci spiegavano la loro diversità che volevano che fosse la nostra: essersi battuti contro il monolitismo e l’oscurantismo delle organizzazioni politiche e statuali comuniste, subendone l’ostracismo, senza diventare anticomunisti, anzi continuando a credere che il comunismo non fosse un’utopia ma l’unica possibilità che avevamo contro l’incombente barbarie capitalistica. Rossana Rossanda, elegante sin dal nome e dalla sua sigla “r.r.” scritta con i caratteri unici del giornale. Elegante nei gesti, nel tono di voce, nel modo di vestire. Relazioni con i grandi della terra, quei grandi che per noi contavano di più, da Fidel Castro ai dirigenti di tutti i partiti comunisti, e poi con gli intellettuali. Il suo rapporto con la Francia e i francesi e di tutto il mondo del dissenso comunista. Non ci viene a mente un solo suo articolo che fosse indulgente con una qualsiasi espressione del potere di “destra” o di “sinistra”. Erano tempi in cui i giovani, i militanti di base, termini che oggi faranno sorridere, nella nuova sinistra, nelle scalcagnate assemblee che si tenevano lungo tutta la Penisola, incontravano, discutevano, dialogavano, litigavano con i massimi dirigenti delle loro organizzazioni sentendosi alla pari. Forse era apparenza, perché in fondo le decisioni a prenderle erano sempre in pochi, ma questo rimescolamento continuo arricchiva la vita, anche se a volte, per alcuni, ha significato un coinvolgimento che ha avuto dei risvolti drammatici. Una storia questa da tempo finita.

Lucio Magri ci lasciò con un atto volontario, che merita un doloroso silenzio, come fu quello di Rossanda che lo accompagnò in quel suo ultimo viaggio. Con Lucio Magri, Rossana Rossanda condivise tante battaglie e tante sconfitte tutte rese sopportabili dalla capacità di osservare il mondo alla ricerca di segnali, di esperienze collettive, politiche e sociali, che lasciassero spazio alla speranza a alla testardaggine di voler cambiare lo stato delle cose. C’è però stato un momento in cui le cose sono cambiate al punto tale da costringere tutti a un ripensamento netto e definitivo. Lucio Magri il suo percorso lo interruppe. Rossanda a quella débâcle ha provato a resistere e, nel cercare di rivendicare coerenza ad oltranza, ha rischiato di snaturare il senso di una esperienza di vita luminosa e libera, come per certi versi fece Lucio Magri quando decise di riportare il suo gruppo nelle fila del Partito Comunista Italiano. Lei, al quesito se era possibile disgiungere la drammatica storia del socialismo reale, la storia dei partiti comunisti dall’idea di comunismo come augurabile e possibile futuro, rispose: “io non vado in chiesa a dire che Dio non esiste”. Un tentativo estremo per riproporre l’attenzione sulla necessità che ogni idea politica, soprattutto se è un’idea di cambiamento radicale, ha bisogno di una organizzazione di donne e uomini in grado di farla vivere.

Da Lei, signora Rossana Rossanda, è doloroso e difficile accomiatarsi, anche perché è anche da Lei che abbiamo imparato a non essere ciechi e sciocchi seguaci di chicchessia, compreso di chi abbiamo amato e contestato in vita. Ad un improbabile arrivederci!

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