Lasciamo per un po’ da parte il sinfonismo beethoveniano per fare una prima incursione nel “concerto per strumento solista e orchestra” ottocentesco. La struttura di questa forma musicale non è diversa da quella sinfonica ma generalmente è in tre movimenti invece dei quattro che caratterizzano la sinfonia classica fino a Bruckner e Brahms: un Allegro iniziale preceduto talvolta da un’introduzione lenta, un Adagio centrale e un finale Allegro o Presto.
Anche la struttura interna di ciascun movimento non si discosta molto dalla sinfonia, con la consueta alternanza di un tema propositivo, dinamico, e di uno lirico più disteso che si intersecano l’uno con l’altro, come nella sinfonia, creando momenti di grande tensione e zone di abbandono romantico.
Ciò che rende diverso un concerto da una sinfonia è la presenza dominante dello strumento solista in tutti e tre i movimenti. A questo riguardo un breve accenno storico può essere utile. Durante tutto l’arco temporale dell’Ottocento gli strumenti solisti per eccellenza furono il pianoforte e il violino. Il pianoforte, in particolare, godette di un successo ineguagliato perché costituiva, grazie alle nuove tecniche di costruzione che ne amplificavano il suono in maniera sensibile, lo strumento principe per le esibizioni in ambienti più estesi di quanto non lo fossero in passato. Si può dire che più miglioravano le prestazioni del pianoforte più si allargavano le sale da concerto. La maggiore ampiezza delle sale consentiva di ospitare un pubblico più numeroso che si apriva anche ad ascoltatori meno esigenti e più sensibili al fascino del virtuosismo. Questa circostanza, unita alle accresciute capacità dello strumento, induceva gli autori, oltre che a sperimentarne tutte le potenzialità, ad evidenziare gli aspetti più spettacolari che poi gli esecutori perseguivano con altrettanto zelo. Spesso le due figure coincidevano, come nel caso di Franz Liszt, autore di uno dei concerti per pianoforte che meglio esemplificano questo passaggio storico. Poiché di durata complessiva “ragionevole” propongo di ascoltare interamente il Primo concerto per pianoforte e orchestra di Liszt. Pubblicato ed eseguito per la prima volta nel 1849, il concerto rappresenta certamente una delle opere più riuscite di Liszt e si inserisce, grazie anche al suo brillante virtuosismo, nel solco dei concerti per pianoforte romantici, subito dopo le analoghe composizioni di Chopin (due concerti pubblicati nel 1830 e 31) e di Schumann (1849) e prima dei capolavori creati in seguito da Ciaikovsky, Grieg, Brahms e, nel secolo successivo, da Rachmaninov, Ravel e Bartok.
Di Franz List vi ho già proposto l’ascolto del celeberrimo “Sogno d’amore” e mi sembra opportuno arrotondare la conoscenza del suo pianismo, che all’epoca appariva strabiliante e che resta tuttora tra quelli più ostici per gli studenti di conservatorio, invitandovi all’ascolto di un brano arcinoto, la Rapsodia Ungherese n.2, nel quale un pianoforte pirotecnico richiama temi etnici magiari: non dimentichiamo che Liszt era nato in Ungheria, all’epoca parte dell’impero asburgico.
Nell’augurarvi un ascolto emozionante vi invito ad esprimere ogni tipo di valutazione critica sull’efficacia e il gradimento di questa rubrica: ogni suggerimento in ordine alla frequenza della pubblicazione, alla qualità e alla quantità dei brani musicali commentati permetterà di aggiustare il tiro e di proseguire con criteri più condivisi e quindi più appropriati (chi vorrà offrire il proprio contributo, potrà scrivere a Elio Mottola: info@zonagrigia.it ).
Bello l’articolo, preciso ed essenziale. Mi sarei soffermato un attimo in più anche sui concerti per violino, ricordando quelli di Ciaikovsky, Mendelsshon e Bruch, che sono pietre miliari nella storia della musica sinfonica.
Adriano Ferrara