Intelligenza artificiale: cercasi intelligenza umana

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Immagine di Gerd Almann per Pixabay

Quanto sia essenziale avere prontezza e capacità di gestire a fini comuni oltre che a fini privati lo spazio digitale, misura il livello di sviluppo democratico di un determinato Paese e Stato, che deve preoccuparsi di mettere in atto tutte le azioni indispensabili affinché le informazioni non siano manipolabili ma utili, chiare, trasparenti e tempestive, caratteristiche spesso emendate in questa emergenza di diffusione della pandemia da Covid-19.

Siamo stati bombardati da messaggi contraddittori e assurdamente in competizione: dalla totale e inebetita negazione al malcelato intento di controllo totale, con la motivazione di garantirci la protezione il più estesa possibile dall’infezione. La contrapposizione sull’uso di alcuni strumenti di protezione personale (mascherina si mascherina no), le terrificanti immagini del controllo con i droni sulla popolazione di Wuhan in Cina e l’elogio del sistema coreano confermano queste altalenanti confuse e disastrose forme di comunicazione. Noemi Neiviller ci ha raccontato fino a che punto le autorità possono spingersi in questo campo per attuare un controllo totalitario sulle persone.

Anche l’utilizzo di mezzi informativi per propaganda e visibilità personale, dimostrando per chi ne fa uso un basso profilo etico ma con gravi conseguenze sul piano della tenuta sociale, fa intendere quanto la qualità e la gestione delle informazioni siano materia delicata e di non facile soluzione.

Fare i conti con i propri limiti ci impone di non fare fughe in avanti e di guardare al passato profondo dove sono individuabili le tracce dell’attuale Sistema Italia. Dobbiamo constatare che forse è la mancanza di una seria informatizzazione il punto dolente del nostro Paese, che lo rende meno libero e democratico proprio nel rapporto che instaura con i cittadini nella fruizione dei servizi: vengono chiesti e resi in maniera troppo obliqua, che nasconde una burocrazia sempre più opaca e inconsistente nella sua funzione, che deve essere primariamente amministrativa.

È diventato patrimonio culturale comune la richiesta di conoscere i dati relativi alla diffusione del virus e in questa fase abbiamo avuto conferma di quanto sia frammentato e diviso il sistema di classificazione e monitoraggio sul nostro stato di salute. Quanto i centri di cura, i territori nazionali, europei ed extraeuropei classificano in modo differenziato le patologie, l’anamnesi dei pazienti, l’esito delle cure, il tutto a grave danno della sicurezza e della fruizione delle cure sanitarie. In questa condizione contingente e straordinaria, con una ridotta mobilità territoriale e con controlli massivi sulle persone, ci siamo imbattuti in una burocrazia che non riconosce se stessa: ai tempi, i nostri, in cui è facile rubare le identità, l’autoreferenzialità di luoghi e funzioni amministrativi hanno reso palese e imbarazzante un uso delle informazioni sulle persone ridondante e inefficiente; molte amministrazioni posseggono, anche al loro interno, gli stessi dati e non li condividono: abbiamo la carta d’identità digitale che non comunica con la nostra patente elettronica, che non comunica con la nostra scheda sanitaria e con il codice fiscale. Ogni volta i nostri dati si ripetono ma non interfacciano, pur essendo unica l’identità della persona patentata, le autorità non possono accertarne la veridicità se non chiedendo di mostrare altri documenti di riconoscimento quando basterebbe che qualsiasi documento già in formato elettronico fosse collegabile a un lettore mettendo le autorità preposte in grado di accertare celermente i nostri dati essenziali. Abbiamo discusso e finanziato come Paese la realizzazione di applicazioni per “segnare” i movimenti e i contatti delle persone positive al virus, ma abbiamo creato l’ennesima banca dati che non comunica con il nostro medico di base, con l’ospedale o il centro diagnostico in cui siamo stati visitati e curati. E si discute ancora se imporre l’uso della moneta elettronica negli acquisti come sistema per il tracciamento dei redditi e la lotta all’evasione fiscale. Una informatizzazione mancata che ci rende deboli in tanti altri settori, si pensi alla gestione del territorio con piani regolatori dei comuni ancora solo in formato cartaceo e non accessibili in remoto, i piani regionali di tutela paesaggistica, i tanti provvedimenti di tutela culturale di aree naturali e di manufatti architettonici, il cui elenco non è disponibile in rete, non esistono cartografie puntuali, il catasto urbano dove tanti manufatti non sono registrati o non sono state registrate le modificazioni o il regime proprietario (a vote il demanio dello Stato o i Comuni non conoscono il proprio patrimonio immobiliare).  

La nostra richiesta di sicurezza travalica i concetti classici perché, per garantire le condizioni di vita e di salute, si impone una diminuzione delle eccessive incombenze burocratiche, a volte vere e proprie vessazioni, anche per salvaguardare il sistema economico nazionale messo a dura prova dal blocco delle attività produttive. Una richiesta quindi tutta inscritta nei confini nazionali, negli ambiti economico sociali prima che militari.

La Relazione annuale del SIS (Sistema Informativo sulla Sicurezza), presentata al Parlamento nel febbraio 2020, ha svolto alcune considerazioni, tra tante altre più complesse, che a nostro avviso richiamano l’urgenza di una sensibilizzazione su un uso accorto, appropriato e condiviso delle informazioni promuovendo con alcune sue specifiche attività “una forte interazione con altri attori istituzionali, con il mondo delle imprese e con quello dell’accademia e della ricerca. Si è trattato di un impegno a tutto tondo, che ha conosciuto pure significativi momenti di visibilità pubblica, a scandire altrettante, ulteriori tappe di un percorso evolutivo che, a fronte di un’oggettiva dilatazione della sfera dei beni e degli interessi da tutelare e della rapidità delle evoluzioni dei fenomeni di minaccia, è sempre più da declinarsi nel segno di una inclusiva proattività, affiancando alle attività che scandiscono il tradizionale “ciclo intelligence” disegnato dalla dottrina anche quelle volte a propiziare un “intelligente” ingaggio del Sistema Paese nel suo complesso”.

Un gioco complicato che in un sistema democratico necessita della massima trasparenza e visibilità, anche per venire incontro alle richieste di semplificazione amministrativa che abbiamo evidenziato. Un ampio e qualificato coinvolgimento è prioritario, altrimenti si rischia di riprodurre tanti piccoli o grandi Jago, antesignano di servizi segreti deviati, che detenendo in via privilegiata le informazioni, le usano, le distorcono e le maneggiano per il loro esclusivo tornaconto, aumentando il proprio potere e indebolendo la funzione di un Servizio predisposto per il vantaggio dello Stato, ente collettivo. Siamo di fronte all’accelerazione di processi non alla loro improvvisa comparsa. Ancora una volta si evidenzia che per utilizzare al meglio nuove tecnologie e innescare processi di reale cambiamento, oggi oltre al ricorso all’intelligenza artificiale è necessario mettere in campo le poliedriche intelligenze umane con la loro capacità selettiva insostituibile.

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