Il 14 maggio, il giorno dopo la conferenza stampa del Governo, siamo “usciti”. Siamo stati incerti se portarci o meno l’ombrello per aprirlo e metterlo al contrario e recuperare così qualcosa della pioggia di soldi prevista dal decreto legge “Rilancio”. E qualcuno ha osato paragonare l’emergenza sanitaria e il lockdown a uno stato di guerra. Magari le guerre fossero così e invece di bombe dal cielo piovessero soldi!
Per un Governo dalla maggioranza incerta, in una condizione di oggettiva emergenza con quel che ne deriva nel sistema delle relazioni sociali, politiche e sindacali fermatosi ai vertici delle rispettive piramidi, la mediazione realizzata è un’impresa incredibile per la quantità di risorse messe in campo.
Date le circostanze il provvedimento non ha ambizioni politiche da “grande svolta” se non su due punti, essenziali e significativi: l’intervento sul sistema sanitario e quello sui migranti. Per il resto si pone l’obiettivo di sorreggere il sistema economico sociale dato. Chi si considera escluso o insoddisfatto, non tiene conto dell’estrema condizione dettata dall’emergenza sanitaria e del fatto che i problemi da affrontare non sono tutti di natura economica ma strutturali al sistema Italia.
Sui migranti, incomprensibile è stata la posizione di Crimi del M5S, che ha confermato di essere un gruppo politico fortemente eterogeneo senza la pur minima parvenza di un progetto politico trasparente e consistente.
Brava la ministra Teresa Bellanova che ci ha emozionati. Un provvedimento limitato per numero di persone coinvolte e per il suo carattere temporaneo, anche perché non è chiaro cosa accadrà dopo a chi avrà ottenuto la regolarizzazione, segna un punto di svolta, da un indirizzo persecutorio contro i migranti a un processo di regolarizzazione e accoglienza. Significativo anche il riferimento alle condizioni di lavoro e di vita nelle campagne, alla necessità di provvedere a sistemazioni civili per queste migliaia di lavoratori stagionali oggi abbandonati ma, come sempre in questo nostro strano Paese, molto dipenderà dalle Regioni e dai Comuni.
Le Regioni, l’altro grande dilemma che ha dovuto affrontare anche il ministro Roberto Speranza. L’intervento sulla Sanità pubblica è massiccio e si interviene anche sul percorso formativo dei medici aumentando le borse di studio per le specializzazioni. Ma in Italia abbiamo 20 sistemi sanitari che dovranno realizzare la medicina territoriale con autonomia e responsabilità gestionale, questione tutta politica, che non è una prerogativa del governo centrale e che solo in parte ha a che vedere con le disponibilità finanziare che comunque sono state fortemente aumentate.
Ripetiamo, per il resto si interviene sostenendo la ripresa del preesistente: si finanziano le imprese garantendo le loro libertà di scelte produttive, siano manifatturiere o di servizi, così come sono concessi temporanei aiuti economici alle persone danneggiate economicamente dalla pandemia. Sono state previste risorse per incentivare la ripresa dei consumi, orientando in alcuni casi la domanda verso il risparmio energetico come nel caso dell’ecobonus nell’edilizia.
Uno sforzo sul quale non si può sparare a zero come anche una certa opposizione ha capito, primo tra tutti il pragmatico imprenditore Berlusconi.
A noi preoccupano due cose. La prima è che, nella necessità di spuntare le armi degli altri, si sono inseriti dei provvedimenti non convincenti come il bonus vacanze. Pochi lo useranno e se lo faranno è perché hanno una situazione reddituale tale che forse ne avrebbero potuto fare a meno. Allora meglio sarebbe stato finanziare altro. Mancano all’appello interventi sull’edilizia scolastica e non solo.
Altra questione riguarda l’indebitamento. Come queste enormi spese verranno recuperate? Troppa detassazione e ancora disordinata. Non si è affermata una chiara e generale linea volta alla sobrietà e alla riconversione dei consumi green sul lungo termine ma su questo un grande ruolo spetta all’impresa.
Non crediamo sia compito del Governo ma anche delle forze politiche che lo sostengono, al centro come in periferia, fare chiarezza e utilizzare le risorse messe in campo in maniera oculata.
Nei fatti le risorse economiche rese disponibili passeranno alla gestione operativa delle Regioni, e si confida che andrà meglio rispetto ai ritardi nell’erogazione della Cassa integrazione, dove abbiamo assistito ad un vergognoso scaricabarile tra Regione e Inps.
Un decreto di “Rilancio” che confida sul ruolo e sulle funzioni delle tante autonomie. Rimane sospesa l’essenziale questione che per governare al centro come in periferia è necessario avere un progetto politico che vada oltre l’esigenza di dar conto alle richieste di breve periodo dei propri eventuali elettori.
La pandemia non è finita e dovremo abituarci a conviverci ancora per molto. Dopo la “fase 2” seguirà la “fase 3” e tante altre che saranno non meno complesse da gestire. E c’è il solito pericolo: truppe d’assalto con le baionette affilate, le armi automatiche ben oliate e una ben fornita scorta di munizioni, pronte a sferrare l’attacco per appropriarsi del bottino, dei tanti soldi messi a disposizione. Come correggere le scelte sbagliate compiute nei decenni precedenti e come adeguarci a un nuovo stile di vita è ancora tutto da definire. Siamo preoccupati, inutile nascondercelo.
Chi decidiamo che deve governare, a Roma o nella nostra Regione e Comune, dovrà dirci come concretamente vuole limitare il potere di una burocrazia paludosa che immobilizza da troppo tempo la nostra Penisola, che produce incongruenti comportamenti e alimenta, con la sua inefficacia e inefficienza, il debito pubblico e i sistemi di malaffare. Farlo e non pronunciarlo come minaccia per dissolvere lo Stato ma per renderlo sempre più la nostra cosa pubblica primaria. Siamo in un paese dove la semplificazione dell’attività amministrativa è un groviglio di norme e regolamenti; la trasparenza dell’azione amministrativa è diventata un mare magnum dove diventa arduo e complicato cercare documenti e richiederne, usufruire di quanto pubblicizzato nelle carte dei servizi.
L’ambiguità delle scelte ha dissimulato i danni provocati dalla privatizzazione della sanità in Lombardia come in Campania.
Ancora una volta torna centrale la modifica dell’articolazione periferica dello Stato oggi obsoleta e una rivisitazione dei rapporti Stato, Regione e Comuni improntata alla fiducia e alla fattiva collaborazione. La politica vuole scegliere i suoi dirigenti nelle pubbliche amministrazioni? Lo faccia ma con criteri che rispondano agli interessi della collettività e non della propria fazione.
È oggi il tempo della responsabilità, individuale e collettiva. È necessario allora ricominciare davvero. La politica non può essere ridotta ad un gioco da tavolo, richiede riflessioni e proposte, un continuo confronto, una ricerca di alleanze sociali e culturali sulle quali puntare per realizzazione progetti di miglioramento del vivere civile. Creare “stanze” che non logorino per la continua ricerca di consenso ma luoghi dove si elaborano strategie ambiziose per ricostruire le tante connessioni spezzate.
Si ricomincia a giocare e la palla non è al centro, ma passa alle tante periferie, alle Regioni, ai Comuni e alle tante strutture tecnico-amministrative distribuite in tutta la Penisola, anche alle università, alle scuole, alle associazioni politiche e sindacali.