Grande fu la sorpresa del capo del governo di Culonia quando atterrò l’aeroplano che riportava a casa, dopo un anno e mezzo di prigionia, il volontario rapito in Africa.
Non tanto per il kufi poggiato sulla testa o per la dishdasha bianca lunga fino alle caviglie: “L’aver vissuto così a lungo in quelle zone – pensò l’ingenuo premier – l’avrà portato ad adattarsi all’abbigliamento locale”.
Piuttosto il suo stupore fu dettato dall’inatteso seguito del cooperante liberato che rientrava in patria.
Sulla scaletta dell’aereo, infatti, apparvero quattro donne vestite con splendidi abaya e con il capo coperto dall’hijab e avevano tutta l’aria di stare insieme all’ex sequestrato.
Il ministro degli esteri, convocato all’ultimo momento per evitare che poi facesse i capricci, dando sfoggio del suo proverbiale acume spiegò, all’imbarazzato presidente del consiglio, che doveva trattarsi delle hostess della compagnia aerea araba.
A quel punto, solo la mezza boccettina di valium, prontamente offerta da un assistente e trangugiata di nascosto, impedì al capo del governo di Culonia di stringere le mani intorno al collo del suo ministro, lì, davanti a tutti e di porre fine a quello strazio che lo tormentava da troppo tempo.
Con la pupilla ormai dilatata dai tranquillanti guardò il responsabile della diplomazia estera e, sottovoce, gli fece notare che il rimpatrio era avvenuto con un velivolo dei servizi di sicurezza culonese, che non prevedono la presenza di hostess arabe a bordo.
Chiuso l’ennesimo siparietto a beneficio delle tv di mezzo mondo, il rassegnato primo ministro andò incontro al volontario appena sbarcato sul suolo di Culonia e, dopo i convenevoli di turno, gli chiese chi fossero le quattro signore che lo accompagnavano.
Con fare ascetico, l’uomo gli rivelò che durante la prigionia si era convertito a una religione diversa da quella tradizionale dei culonesi e l’aveva fatto con convinzione, senza alcuna costrizione; anche perché trovava quel credo più vicino alle sue naturali inclinazioni.
E poiché la fede abbracciata glielo consentiva, in quei diciotto mesi aveva contratto matrimonio con le quattro donne che ora erano con lui.
A quel punto, dimenticando il distanziamento imposto dalla pandemia in corso, il ministro degli esteri riacquistò la scena e con una gran manata sulle spalle del connazionale convertito si complimentò per il geniale escamotage cui era ricorso per sopravvivere al rapimento e allo stesso tempo spassarsela con quattro belle figliole.
Furono gli agenti dei servizi segreti, abituati a reagire d’istinto, a sollevare di peso l’incauto ministro e a portarlo via, giusto un attimo prima che il premier di Culonia gli balzasse al collo per mordergli la giugulare.
Stremato dalla situazione surreale che stava vivendo, il primo ministro si congedò sommessamente da tutti. Sulla via del rientro fu scosso da un brivido pensando al putiferio che si sarebbe scatenato se a essere rapita prima e a convertirsi poi fosse stata una donna invece di un uomo.