Il sogno

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Nella casa di riposo “Highlander”, Giovanni e Nicola, seduti sulle sdraio in giardino, sonnecchiavano riscaldati dal piacevole tepore del primo Sole primaverile.

Il quotidiano ancora stretto fra le mani, si erano appisolati, tranquilli, commentando la notizia della scoperta dell’ennesimo virus.

La direzione dell’ipertecnologica residenza per anziani aveva dato, di prima mattina, l’annuncio dell’imminente somministrazione del vaccino contro il nuovo virus a tutti gli ospiti della struttura e i due arzilli novantenni si erano messi in gran tiro per l’occasione.

Abituati ormai alle frequenti vaccinazioni per neutralizzare ogni nuovo virus in circolazione, avevano cominciato a discutere di profilassi, ma la conversazione aveva ben presto preso tutt’altra piega, virando sulla generosità delle forme della sessantenne Adelina, l’infermiera che nel pomeriggio gli avrebbe iniettato l’antidoto al virus; e così in un batter d’occhio i due vecchi marpioni erano passati dalle discettazioni scientifiche sull’immunità di gregge a una più ruspante conversazione da caserma sull’avvenenza di Adelina, in un susseguirsi di fantasticherie erotiche che manteneva, comunque, una sua latente affinità con il gregge, o meglio con i rituali d’accoppiamento tipici del mondo ovino.

Quel gaio e malizioso pensiero li aveva fatti sorridere prima, per poi accompagnarli in uno di quei frequenti sonnellini che tanto caratterizzano le giornate degli anziani.

E i loro sogni, per chissà quale misteriosa combinazione dell’universo onirico, avevano riportato entrambi a trent’anni prima, alla primavera del 2020 funestata da quel subdolo virus.

All’epoca vivevano con le loro famiglie che, grazie a Dio, erano scampate al contagio.

E quei giorni, a ricordarli oggi, erano stati i più strani che avrebbero vissuto durante la loro lunga esistenza.

La convivenza familiare forzata, ventiquattro ore su ventiquattro nel chiuso delle quattro mura domestiche, aveva richiesto un notevole sforzo di adattamento, da parte di tutti, a una situazione innaturale che sembrava volersi protrarre in una quarantena senza fine.

Lo stravolgimento repentino della tanto criticata routine quotidiana, che aveva scandito i tempi della loro precedente vita, il timore di un contagio casuale nonostante le mille precauzioni adottate, e il continuo e incessante stillicidio di notizie su quello che da poco più di un semplice raffreddore si stava trasformando in una sorta di pestilenza, aveva portato non pochi sull’orlo di una crisi di nervi.

Poi il tempo, come al solito, aveva rimesso le cose a posto e la specie umana aveva fatto tesoro di ciò che era accaduto.

Le storie dei singoli si erano caratterizzate per una maggiore propensione ai bisogni del prossimo e l’umanità aveva intrapreso la strada della coesione fra i popoli, archiviando la logica della sopraffazione dell’uomo sull’uomo e le spietate leggi dell’economia che lasciavano i più deboli ai margini di un sistema che finiva per travolgerli.

Non era certo l’Eden, ma la paura che potesse ripetersi ciò che era accaduto, ridestando le coscienze sopite, aveva spinto un po’ tutti a riconsiderare quali fossero le priorità da perseguire, se ancora desideravano avere un futuro per se stessi e per i loro figli.

Accantonata la corsa agli armamenti, i governi avevano concentrato ingenti risorse sulla ricerca scientifica e nel successivo decennio erano giunti a disporre delle contromisure necessarie per neutralizzare sul nascere ogni nuovo virus. Cullati dalla dolcezza di quel sogno, Giovanni e Nicola, nella primavera del 2020, intubati nel reparto di terapia intensiva, non si svegliarono più.

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