Sono partiti da L’Avana tra i fieri applausi del proprio popolo e sono arrivati a Malpensa accolti sì dagli stessi applausi ma di un altro popolo: quello italiano, emozionato e grato. É formata da circa 50 medici ed infermieri la delegazione cubana che ha scelto di dare il proprio contributo nella dura battaglia che il nostro Paese sta affrontando contro il Covid-19.
La loro destinazione – o destino come dicono in spagnolo – è stata Crema, la città più colpita dall’epidemia, che si spera i medici cubani, in collaborazione con gli specialisti italiani, possano riuscire a debellare.
Brigata Henry Reeve, questo il nome della delegazione di medici, che porta il nome del nordamericano Henry Reeve, uno degli eroi della prima guerra d’indipendenza cubana, avvenuta tra il 1868 e il 1878. A questo generale di brigata dell’”Ejercito Libertador” morto a soli 26 anni, Fidel Castro intitolò il gruppo di medici che da più di sessant’anni gira il mondo, dando il proprio contributo nelle più gravi emergenze umanitarie.
L’appello lanciato dal Primo Ministro italiano Giuseppe Conte non è passato in sordina, e l’aiuto del popolo cubano è stato accolto con gratitudine ed onore dal presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana, per quanto le posizioni politiche di quest’ultimo siano in netto contrasto con l’ideologia che da sempre guida l’isola caraibica.
E una piccola dose di ironia è stata lecita dunque quando i medici cubani, entusiasti e sorridenti, hanno fatto ingresso in Italia sventolando le bandierine dei due Paesi, quasi come a voler sottolineare un’assenza di confini, di contrasti politici, di supremazia culturale; solo il puro e semplice spirito di solidarietà internazionale e di cooperazione che ha sempre contraddistinto il popolo cubano, in prima linea nell’affrontare crisi sanitarie di portata mondiale. Questo principio è sancito nella Costituzione di Cuba e rappresenta uno dei pilastri della sua politica estera. Ricordiamo, infatti, che fu proprio il suo personale sanitario a combattere strenuamente in Sierra Leone e Guinea contro l’epidemia di ebola nel 2014 e ad Haiti nel 2010, per alleviare dal colera la popolazione già provata dal terremoto. L’internazionalismo medico, su cui si fonda la Costituzione del popolo cubano, ha per l’ennesima volta valicato i confini del bene e del male, del noi e del voi.
La Scuola Latinoamericana di Medicina de L’Avana è un centro di eccellenza mondiale. Cuba, infatti, possiede uno dei sistemi sanitari più avanzati del mondo, in un Paese in cui sanità ed istruzione sono al primo posto nel welfare dello Stato, nonostante l’embargo economico da parte degli Stati Uniti, a cui il Paese è sottoposto da più di sessant’anni. Embargo o blocco, come i cubani sono soliti chiamarlo: bloqueo. A differenza del primo, il blocco rappresenta un divieto assoluto da parte di uno Stato di intrattenere relazioni economiche, finanziarie e commerciali con altri Stati, pena sanzioni e ritorsioni, sottoponendo di fatto il Paese in questione ad uno stato di isolamento quasi totale. Una sfumatura che porta con sé un connotato quasi bellico.
Nonostante ciò, i medici cubani sono impiegati in missioni in tutto il mondo, e non solo nei paesi in via di sviluppo: circa il 50% dei medici cubani sono inviati all’estero, la maggior parte nel vicino Venezuela, a cui Cuba fornisce manodopera specializzata in campo medico in cambio di approvvigionamento energetico, principalmente di petrolio.
Ma è la prima volta che l’isola dei Caraibi invia un contingente d’emergenza in uno dei paesi più ricchi dell’Occidente: l’Italia, a dimostrazione della potenza della sua diplomazia medica. Il farmaco utilizzato dai medici cubani è l’interferone cubano alfa 2B. Secondo molti medici questo farmaco combinato ad un antiretrovirale è fino ad ora il più efficace contro il Covid-19, ed è stato perciò utilizzato anche in Cina ed in Corea del Sud.
Per quanto riguarda il Venezuela, sebbene ci sia stata inizialmente la notizia che numerosi medici del paese latino americano sarebbero arrivati in Italia insieme agli esperti cubani e cinesi, in realtà poco dopo l’assessore al welfare della regione Lombardia, Giulio Gallera, ha precisato che “i medici venezuelani sono operatori sanitari, esuli o autonomi appartenenti alla onlus Venezuela, la piccola Venezia, nata a Roma nel 2017.” Ci ha tenuto inoltre a specificare che non sono legati all’attuale governo di Nicolas Maduro, con cui non è in corso nessuna trattativa. Un parziale dietro-front dunque rispetto all’annuncio iniziale.
In soccorso dell’Italia oltre a Cuba, Cina, Russia ha fatto notizia la grande solidarietà mostrata dal presidente albanese Edi Rama, che ha inviato il 29 marzo scorso un contingente di 30 medici ed infermieri, “perché il nostro Paese non è ricco, ma neanche senza memoria”. Una grande lezione di umanità e di empatia che ha fatto sorridere (e forse anche un po’ imbarazzare) il nostro Paese e l’Europa intera, ma che dimostra quanto in occasioni di emergenza e crisi a livello planetario, la collettività debba essere anteposta a qualsiasi bandiera o divergenza politica. Ciò assume un particolare rilievo in un contesto in cui l’Italia – che, va ricordato, è stata tra i sei paesi fondatori dell’Unione Europea – sta vivendo una situazione di parziale chiusura da parte di alcuni di questi, come l’Olanda. Quest’ultima infatti, insieme alla Germania, si è fermamente opposta alle politiche di espansione del debito pubblico congiunto, i cosiddetti coronabond, e alla sospensione del Patto di Stabilità, appoggiati invece da Paesi come Spagna, Francia e Portogallo. Forse questa crisi sarà davvero un momento catartico, anche per ridisegnare gli equilibri politici ed economici senza più filtri e mani sugli occhi. Se l’Unione Europea fallisse nella sua missione di unità e compassione, nel senso latino del termine di soffrire insieme, ci si chiede quale sarà dunque la direzione dell’Europa. O meglio il destino, questa volta con l’accezione spagnola, di destinazione. Nel frattempo ci si emoziona ancora di fronte alla solidarietà incondizionata di piccoli giganti, baluardi di umanità, come Albania e Cuba: “Chi dice che non è spaventato è un supereroe, ma noi non siamo supereroi, siamo medici rivoluzionari”.