Collegialità come dimensione vincente

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Riceviamo dalla prof. Lucia Veneruso e volentieri pubblichiamo.

In una recente informativa al Senato la Ministra dell’Istruzione ha dichiarato che su 8 milioni e trecentomila studenti, 6 milioni e settecentomila stanno usufruendo della didattica a distanza (DaD). La rassicurazione sugli stanziamenti per impedire che il “digital divide” diventi una nuova forma di esclusione per gli alunni appartenenti alle fasce più deboli si è concretizzata nella Nota n°562. In essa, in applicazione del D.L.18/2020, si prevede lo stanziamento di 70 milioni di euro per mettere a disposizione degli studenti meno abbienti, in comodato d’uso gratuito, dispositivi digitali individuali, anche completi di connettività, per la migliore e più efficace fruizione delle piattaforme per l’apprendimento a distanza. Non si possono non riconoscere gli sforzi sia del Ministero che di tutta la comunità scolastica per mantenere viva e stabile la relazione educativa tra docenti e studenti, nel far fronte ad una situazione emergenziale, tanto grave quanto imprevedibile. L’utilizzo di questa nuova modalità di insegnamento appare l’unica possibile in questo momento anche se il modello a cui fa riferimento, come chiaramente e convintamente espresso da numerose ed autorevoli voci, non può rappresentare l’unico paradigma della scuola del futuro, né potrà sostituire in larga parte le attività in presenza.

Occorre, tuttavia, riflettere sul tema dell’equità particolarmente delicato per il mondo della scuola e tanto importante da essere di frequente richiamato dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Un tema che induce a chiedersi cosa stia facendo quel milione e seicentomila studenti che, fino a questo momento, non hanno avuto la possibilità di usufruire della DaD. È un numero alto che corrisponde al 20% circa della popolazione scolastica, percentuale che presumibilmente coincide con quella fascia di alunni culturalmente e socialmente più deprivati. Per costoro potrebbe configurarsi una possibile e nuova forma di abbandono, un ulteriore fenomeno che, purtroppo, si andrebbe ad aggiungere alla dispersione scolastica “implicita”, individuata di recente dall’interessante analisi del professor Ricci dell’INVALSI. Ci troviamo di fronte ad un abbandono “involontario”: non sono i ragazzi a scegliere di non frequentare, ma è la scuola a non avere i mezzi per raggiungerli. Se tale percentuale si somma a quella dell’abbandono scolastico precoce o ELET (Early leaving from education and training), che in Italia si attesta al 14,5%, ci si rende conto di quanto sia rilevante attenzionare tale criticità, al fine di monitorare l’attuale equità del sistema scolastico. Ed è corretto immaginare che l’impossibilità a coinvolgere nella didattica a distanza un significativo numero di studenti, stia accentuando le diseguaglianze territoriali e il divario già esistente tra il Mezzogiorno e le altre Regioni, oltre che ridurre le occasioni formative per gli studenti appartenenti ad alcuni ordini e gradi di istruzione. Di certo, va tenuto conto delle risorse finanziarie previste per superare tale gap, messe in campo dalla Nota n°562, mediante le quali si presume che nei prossimi mesi sarà data accessibilità alle attività a distanza a coloro che finora non ne hanno potuto usufruire. Ma ci si chiede se ciò potrà bastare e se il problema sia esclusivamente quello della mancanza degli strumenti tecnologici. La situazione di eccezionalità ha prodotto un capovolgimento dell’”ambiente di apprendimento”, fino ad oggi identificabile in un’aula scolastica, che di norma è idonea a garantire pari opportunità per tutti. In questo periodo non si può non considerare le eterogenee problematiche riguardanti le situazioni familiari e gli ambienti domestici, in cui i ragazzi stanno lavorando e che, probabilmente, influiscono negativamente sulla qualità della recezione delle proposte formative a distanza. Molti studenti stanno vivendo contingenti situazioni di difficoltà connesse all’emergenza sanitaria, alla non agevole condivisione di spazi e strumenti a causa delle nuove modalità di lavoro in smart-working dei genitori, al disordine e sconvolgimento dei ritmi quotidiani, ad un fragile equilibrio della vita familiare. Pertanto, appare ragionevole pensare che accanto al milione e seicentomila alunni che, a tutt’oggi, non accedono alla DaD vadano considerati anche coloro che presentano altre condizioni di vulnerabilità sociale.

Questa breve analisi andrebbe completata da una riflessione sull’efficacia delle attività di apprendimento che, in molti casi, appaiono sviluppate secondo una modalità di gestione che duplica il modello dell’insegnamento in presenza. Inoltre, l’emergenza inaspettata e repentina ha favorito una certa “spontaneità” delle azioni, che ne ha indebolito il significato pedagogico e l’incisività didattica ed ha reso possibile una sorta di “improvvisazione” che poco ha in comune con l’omonima pratica musicale, in quanto non fondata su una solida base di conoscenze e competenze pregresse. Pertanto appare chiaro quanto la dimensione della collegialità in questo momento sia fondamentale per confrontarsi sui tempi, sui contenuti e sui metodi da individuare per la DaD, al fine di costruire una proposta formativa equilibrata e coerente. Ancor più, dopo il rientro in classe, occorrerà concordare modalità efficaci non solo per recuperare gli eventuali risultati di apprendimento non raggiunti, ma anche per ricostruire processi di conoscenza che per alcuni potranno sembrare non del tutto comprensibili. Andrebbe avviata una seria riflessione nei consigli di classi che analizzi con attenzione quanto avviato e prodotto in questo periodo e individui costruttivi percorsi per evitare che nuove esclusioni si aggiungano alle preesistenti.

Va comunque sottolineato che la positiva sperimentazione sul campo e il fitto scambio di pratiche innovative a cui stiamo assistendo in questi giorni, oltre che la grande generosità di chi offre la propria esperienza e l’apprezzabile disponibilità di chi cerca di adottare un modello di insegnamento poco conosciuto, potrebbero già aver contribuito alla realizzazione di una forma di collegialità “virtuale”, secondo la quale una comunità educante “allargata” si dimostra capace di condividere, sostenere, partecipare le scelte formative. Una collegialità che riscatta in buona parte i comportamenti superficiali di quei docenti che di frequente hanno espresso diffidenza, e a volte anche ostilità, nei confronti della DaD.

L’impegno costruttivo di oggi sollecita la riflessione di domani sulla necessità che questo confronto, questo scambio debbano accompagnare costantemente la quotidianità dell’azione didattica, in quanto necessari ad arricchire e completare l’agire educativo. E ciò vale sia in tempi “ordinari” che “eccezionali”. Occorre che la riflessione pedagogica, individuale e partecipata, diventi una pratica consolidata e senza soluzioni di continuità, una dimensione imprescindibile della professionalità docente poiché utile a rendere la comunità scolastica viva, proattiva, consapevole dell’importanza del proprio ruolo. La concessione di tempi più distesi e la diminuzione del carico burocratico vanno accompagnate alla rinuncia di una confortevole autoreferenzialità, ad una formazione ripensata circa i tempi e più centrata riguardo ai contenuti, e soprattutto completata da continue occasioni di confronto. Perché ciò avvenga è fondamentale la ricostruzione di una leadership educativa, il cui esercizio e la cui responsabilità non siano affidati solo al dirigente scolastico ma anche a figure intermedie, la cui professionalità sia riconosciuta e valorizzata. Tante le definizioni del tempo che stiamo vivendo: “sospeso”, “dilatato”, “riconquistato”. Di certo questo è il tempo della riflessione, un tempo che se ben utilizzato potrà dare i suoi frutti e aprire una nuova fase, in cui collaborazione, partecipazione e cura diventino le parole chiave per trasformare l’attuale situazione di crisi in opportunità di rinnovamento, nella direzione di una maggiore equità ed efficacia dell’azione didattica.

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