Attualmente nel mondo si sta vivendo una situazione di disagio senza precedenti, la confusione e il panico dominano le reti virtuali, le persone costrette a stare a casa si rifugiano nei social network per non sentirsi sole e, non potendo uscire, si lavora da casa. La nostra Italia, soprattutto il sud, è un paese sempre indietro rispetto alle nuove tendenze tecnologiche, ma la nuova generazione di giovani già da tempo si muove nella rete di internet per lavoro, infatti nuove figure professionali sono nate come ad esempio la figura del Social media manager e molte ancora sicuramente ne vedremo nel prossimo futuro. Le nuove comunicazioni informatiche stanno rivoluzionando il lavoro del 21esimo secolo, questo nuovo approccio sta crescendo già da molto tempo in molti paesi del mondo: in Giappone, ad esempio, viene incoraggiato il lavoro a distanza per ridurre gli spazi negli uffici; gli smart worker lavorano molto anche durante il weekend, in quel Paese circa il 30% lavora 6/7 giorni a settimana. Nelle grandi città brasiliane viene utilizzato e incoraggiato il telelavoro per risparmiare tempi di spostamento lunghissimi. Negli Usa la percentuale di smart working è arrivata al 37%; qui è stato accertato che il 78% delle ore di lavoro svolte in più (tra il 2007 e il 2014) sono da attribuire al lavoro svolto da casa.
Ora, costretti dalle circostanze, ci stiamo adattando a questo nuovo stile di vita anche in Italia. Il lavoro agile (o smart working) è una modalità di svolgimento del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività.
Secondo Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio smart working, Politecnico di Milano, “smart working significa ripensare il telelavoro in un’ottica più intelligente, mettere in discussione i tradizionali vincoli legati a luogo e orario lasciando alle persone maggiore autonomia nel definire le modalità di lavoro a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Autonomia, ma anche flessibilità, responsabilizzazione, valorizzazione dei talenti e fiducia diventano i principi chiave di questo nuovo approccio.”
La premessa deve essere chiara per non cadere in confusione: lo smart working non è telelavoro, spesso si tende ancora a fare confusione e a sovrapporre queste due modalità di gestione del rapporto lavorativo, ma la differenza è sostanziale. Lo smart working è anche una modalità di svolgimento della prestazione lavorativa di tipo inclusivo, poiché favorisce l’assunzione delle categorie di lavoratori che hanno particolari esigenze di flessibilità oraria per malattia o esigenze personali, per i neo-genitori e gli studenti lavoratori. Telelavoro e smart working differiscono molto l’uno dall’altro, non solo sul piano teorico, ma specialmente nella normativa che regola i rapporti tra le aziende e i dipendenti che in pianta stabile lavorano al di fuori della sede aziendale. Il telelavoro vincola a lavorare da casa e l’azienda trasferisce le medesime responsabilità del posto di lavoro a casa del dipendente. Nello smart working, invece, il dipendente svolge la propria attività fuori dall’azienda ma decide in piena autonomia i tempi e il luogo di lavoro, senza una postazione fissa.
Ma questo nuovo stile di lavoro che effetti ha sull’individuo? Ci sono effetti positivi e negativi. Gli effetti positivi dello smart working di solito includono una riduzione del tempo di pendolarismo, una maggiore autonomia dell’orario di lavoro, un migliore equilibrio complessivo tra lavoro e vita privata e una maggiore produttività. Allo stesso tempo, gli svantaggi includono la sua tendenza ad allungare l’orario di lavoro poiché si perde la cognizione del tempo, la difficoltà nel dover avere di principio un bagaglio organizzativo ben studiato, perché non si tratta più di passare le otto ore lavorative in ufficio ma di saper distribuire e gestire autonomamente la propria giornata lavorativa, ciò potrebbe portare a livelli elevati di stress con conseguenze negative per la salute e il benessere dei lavoratori.
Uno studio recente, basato sui dati raccolti in tre anni di osservazione e che ha coinvolto 250 persone operanti in 21 imprese, piccole medie e grandi, riporta i seguenti dati medi per dipendente: 2.400 chilometri percorsi in meno, sette giorni guadagnati e 270 chili di anidride carbonica non immessi nell’aria con un risparmio di circa 1.300 euro a dipendente. Quindi i dati dimostrano come questo stile di lavoro riduca i livelli di inquinamento.
È ovvio, però, che si devono considerare sempre i singoli casi, poiché i benefici o gli svantaggi derivanti dal lavorare da remoto dipendono anche dalle peculiarità caratteriali individuali: bisogna sempre individuare ciò che funziona meglio per ogni persona. In fondo si tratta di responsabilità e capacità organizzativa, tutto ciò che normalmente uno studente universitario deve d’obbligo avere per riuscire al meglio nei suoi risultati finali. Il percorso che ha portato all’approvazione della normativa sullo smart working in vigore è stato avviato nel 2014 con la proposta di legge finalizzata a dare maggiore flessibilità al mercato del lavoro, ma durante l’emergenza Covid-19 il Governo ha emanato delle disposizioni per favorire l’adozione dello smart working semplificando alcune delle disposizioni previste nella legge n°81 del 2017. Con il decreto legge 2 marzo 2020, n°9 per le Amministrazioni Pubbliche sono state snellite le procedure di acquisizione di beni informatici, ed il lavoro agile, con la modifica all’art.14, comma 1, della legge 7 agosto 2015, n°124, ha cessato di essere una misura sperimentale. L’Italia è ora pronta ad entrare nel nuovo futuro smart insieme agli altri Paesi.