Il tempo per pensare non manca (anche se sorprendentemente anche la reclusione impegna) e quindi ti coglie la curiosità di trovare le differenze tra la tua segregazione forzata e, ad esempio, gli arresti domiciliari di truffatori e di corrotti. E, riflettendo, ti accorgi che la tua posizione è molto più sacrificata: per quanto la casa in cui abiti non sia piccolissima, certamente non avrà le terrazze e i giardini di cui con ogni probabilità è dotata la villetta del truffatore o del corrotto. Diversamente, ti domandi, che senso avrebbe truffare o farsi corrompere? Di rimbalzo la tua condizione di recluso ti fa finalmente scoprire perché il fabbricato in cui è collocata la tua abitazione viene spesso chiamato “Isolato”. L’isolato nel quale vivo è all’interno di un parco con 460 condomini, in teoria una piccola comunità. In pratica con gran parte dei miei vicini ci ignoravamo già prima: dovessimo incontrarci adesso, ma la cosa è assai improbabile, saremmo costretti ad ignorarci a distanza di sicurezza.
Lo stato di isolamento si estende ovviamente anche ai fornitori. All’inizio della quarantena il “guaglione” del fruttivendolo, proveniente dallo Sri Lanka (qualche nostro concittadino chiama i giovani di questa etnia “sirlanchini”, come fossero una nuova razza di cagnolini da salotto) bussava e protendeva le buste con frutta e verdure tenendole il più lontano possibile dall’uscio e noi ce la tiravamo dentro con l’asta uncinata che si usa per spostare gli abiti da un piano all’altro dell’armadio. Rimaneva però il problema del pagamento: lo scambio inevitabile di banconote e monetine ci ha subito dissuaso dalla linea del rigore e quindi mangiamo la frutta con qualche preoccupazione.
Ma a conti fatti il distanziamento sociale è ancora tollerabile perché intratteniamo rapporti telematici quotidiani con parenti (troppi) e amici (pochi) e soprattutto coltiviamo i nostri hobby. Nell’era precoroniana uno dei miei hobby era fare la spesa, attività nella quale potevo dispiegare non poca competenza in materia eno-gastronomica. Questo mi manca. Mia moglie continua invece a cucinare, ad avviare lavatrice e lavastoviglie, a stendere panni e a lavare il pavimento. E lo fa con piacere: forse per lei è un hobby. Quando gliel’ho chiesto, mi ha mandato garbatamente “affanculo”. La notizia più sorprendente di questi giorni è il contagio di massa sviluppatosi a seguito degli incontri tenuti ad Atena Lucana da un gruppo di neocatecumenali, militanti di una costola un po’ oltranzista della chiesa cattolica, accusati in primo momento di aver bevuto tutti nello stesso calice. I neocatecumenali, diversamente dai comuni fedeli cattolici, ritengono infatti che l’eucarestia debba comportare oltre che la condivisione del pane (l’ostia) anche quella del vino. L’insinuazione è stata però immediatamente respinta dalle autorità ecclesiastiche che hanno chiarito come tutto il rituale si sia svolto nel pieno rispetto delle norme di sicurezza: quindi niente scambio del canonico segno di pace e soprattutto niente contatto col calice comune ma anzi rigoroso rispetto della distanza di sicurezza. Come possa essere avvenuto il contagio rimane dunque un mistero. Che la cosa sia avvenuta, come si diceva un tempo, “per opera e virtù dello Spirito Santo”?