Le malattie infettive sono dappertutto. Rappresentano una sorta di collante naturale che lega un individuo all’altro. Sono un argomento triste e terribile, certo, ma in condizioni ordinarie sono eventi naturali, come un gatto che insegue e uccide un uccellino o un gufo che ghermisce un topo. Però le condizioni non sono sempre ordinarie. Come i predatori, anche i patogeni hanno le loro prede preferite. E proprio come un leone può uccidere una mucca al posto di uno gnu o un essere umano, anche i patogeni possono scegliere un altro bersaglio. Sono incidenti ma, come possiamo vedere in questi giorni, accadono. Le circostanze ecologico-ambientali possono cambiare, e con loro le esigenze e le opportunità. Quindi non si tratta di meri accidenti ma di conseguenze non volute di nostre azioni. Sono lo specchio di due crisi planetarie convergenti: una ecologica e una sanitaria. Da un lato la devastazione ambientale sta creando nuove occasioni di contatto con i patogeni, dall’altro la nostra tecnologia e i nostri modelli sociali contribuiscono a diffonderli. Molti virus, ad esempio, sono rimasti in Africa limitando il loro raggio di azione e la loro abbondanza, finché il loro territorio è stato devastato creando nuove opportunità e nicchie ecologiche dove possono sopravvivere (per esempio, in altri animali selvatici) o estinguersi. È quello che è successo con l’AIDS e col coronavirus.
Quando un patogeno fa il salto da un animale a un essere umano e si radica nel nuovo organismo come agente infettivo, siamo in presenza di una zoonosi. Ebola è una zoonosi, come la peste bubbonica. Lo era anche la cosiddetta influenza spagnola del 1918-19 che si originò in una specie di uccello acquatico selvatico e che, dopo esser passata per vari animali domestici intermediari (anatre, maiali), finì per uccidere 50 milioni di persone, per poi sparire nel nulla. L’AIDS è in origine una zoonosi. Ora passa da uomo a uomo con un salto interspecifico che è più comune che raro, come si sta verificando di recente nel 60% circa delle malattie infettive dell’uomo oggi note, coronavirus compreso.
Per fare un controesempio, il vaiolo non è una zoonosi. È causato da un virus che infetta solo gli esseri umani, perciò è stato possibile eradicarlo completamente (1980) con una campagna di vaccinazione planetaria. Un’altra malattia non zootica è la poliomielite che ha flagellato l’umanità per millenni. I patogeni delle zoonosi, invece, possono nascondersi ed è questo che li rende complicati e portatori di problemi. La strategia di più basso profilo è di annidarsi in un ospite serbatoio, un organismo che gli dà asilo permanente senza riceverne alcun danno. Passata l’epidemia infatti, l’agente che ne è la causa scomparirà e rimarrà in anonimato nascosto in qualche ospite intermedio (un roditore, un uccello o un pipistrello, come nel coronavirus), per poi ricomparire quando ci sarà un cambiamento favorevole dell’ecosistema.
I virus sono gli agenti patogeni che danno più problemi perché si evolvono (mutano, cambiano) con rapidità, sono insensibili agli antibiotici, sono versatili e portano a tassi di mortalità a volte molto alti e, per isolarlo e studiarlo, non basta trovarlo, metterlo in coltura e osservarlo. Per fare ciò è necessario osservarlo al microscopio elettronico, data la loro ridotta dimensione, ma bisogna prima ucciderli. Si ricorre allora a un metodo indiretto: si parte, nel caso del Covid-19, da un tampone che contiene un campione di sospetto materiale infetto, nella speranza che comprenda il virus, e si aggiunge una coltura di cellule vive immerse in un mezzo nutriente, si mette tutto in incubatrice e si aspetta. Se il virus che si ricerca è presente e si è replicato a sufficienza, si troveranno placche o buchi nella coltura, che corrispondono ai danni visibili della cellula. Ha una struttura interna fatta di RNA o DNA e una proteina che lo avvolge, detta capside, sulla quale si trovano una serie di protuberanze assomiglianti ad aculei che fanno sembrare il tutto simile a una mina navale vecchio stampo. La loro funzione è quella di aprire specifici lucchetti (come chiavi) sulle membrane delle cellule bersaglio ed entrare per moltiplicarsi a scapito del materiale genetico ospite. La loro forma differenziata dunque limita il tipo di cellula che infettano (tessuto nervoso, apparato respiratorio, digerente) e quindi il tipo di malattia che possono causare.
Il coronavirus è un virus a RNA che muta spesso e per questo è insidioso, sfuggente e imprevedibile. La ricerca degli anticorpi è ben diversa dall’isolamento del virus, allo stesso modo in cui un’impronta non è una scarpa. Gli anticorpi sono le molecole del sistema immunitario che vengono sintetizzate in risposta alla presenza di materiale biologico estraneo (ad esempio, i virus). Ecco perché la compresenza di altre malattie indebolisce il sistema e rende l’organismo più vulnerabile, come nel caso degli anziani. Dunque le zoonosi di origine selvatica rappresentano la più consistente, crescente minaccia alla salute della popolazione mondiale e questa nuova pandemia è una zoonosi. Insomma bisogna tenere d’occhio gli animali selvatici perché, mentre li stiamo assediando, accerchiando, sterminando e macellando, ci trasmettono le malattie. Si pensi solo che in Cina nutrirsi della carne di animali selvatici (serpenti, zibetti, pipistrelli, manguste, scimmie etc.) è un segno di prestigio e prosperità. Per queste scorribande gastronomiche nella sola città di Canton ci sono 2000 ristoranti dove si cucinano queste prelibatezze! Purtroppo, in attesa di una cura farmacologica, a tutt’oggi si può ricorrere solo a rimedi “medioevali”: quarantena, isolamento, evitare i contatti e cure sintomatiche. Trattando ovviamente le complicanze con le apparecchiature che la moderna tecnologia ha permesso di realizzare.
Per porre quesiti al dott. Salvatore Mazzeo (specialista in ortopedia, traumatologia, medicina dello sport), scrivete a drsmazzeo@libero.it
Un grazie di cuore per aver ravvisato la necessità di divulgare notizie di preoccupante attualità con una chiarezza encomiabile.