Le mani sul Paese

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“Storia dell’Italia corrotta” è l’ultimo lavoro pubblicato, per i tipi di Rubettino editore, da Isaia Sales e Simona Melorio. Da quando è nelle librerie, estate 2019, il libro ha ricevuto molti riconoscimenti, non ultimo quello dell’onorevole Rosy Bindi, Presidente della Commissione parlamentare antimafia dal 2013 al 2018. In questo libro il lettore non troverà nessuna rivelazione particolare, ma un tentativo di dare una spiegazione compiuta della serialità, terminologia usata dal magistrato Piercamillo Davigo, degli eventi corruttivi nella storia d’Italia dal 1861 ad oggi, ben noti e documentati da indagini della magistratura e da atti parlamentari. Gli Autori sono espliciti: il fenomeno corruttivo è un dato mondiale, ma in quello italiano è possibile individuare delle peculiarità. “Lo Stato in Italia lo si è usato, ma non ci si è mai identificati. Lo Stato non è diventato mai l’agente principale di organizzazione della comunità, l’unico punto di riferimento ordinamentale della società e dei comportamenti sociali”; e questo nel corso di tutta la storia dalla sua costituzione ad oggi, scrivono gli Autori. Tutta un’altra storia rispetto alla retorica risorgimentale, insegnata nelle nostre scuole. Incontriamo il professor Isaia Sales nella splendida cornice dell’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, dove insegna Storia delle mafie, insegnamento inserito nel corso di laurea in Scienze della Comunicazione.
Domanda: Professore, nel testo impressiona la continuità istituzionale e delinquenziale tra le vicende dei primi anni dello Stato sabaudo ampliato, quale fu l’Italia nei primi decenni della sua esistenza, il fascismo e l’Italia repubblicana. Eppure, si tratta di forme statuali completamente diverse tra loro e la società, il sistema produttivo, è profondamente cambiato in questo secolo e mezzo di storia unitaria. L’Italia prefascista e fascista era essenzialmente un Paese agricolo abitato da milioni di poveri e di analfabeti. L’Italia repubblicana conquista in pochi anni una posizione importante nell’economia globale, gli italiani tutti, senza differenza di censo, di istruzione e di sesso, possono esprimere il proprio voto, eleggere i loro rappresentanti. Lo Stato non appartiene più a una élite, ma vi hanno accesso ampi strati della popolazione. Eppure, voi dite, la corruzione si ripresenta quasi nelle stesse forme se non in modo anche peggiore. Come lo spiega?
Risposta: Il fascismo è stato un’esperienza traumatica per tutto il Paese e le forze politiche uscite vincitrici dalla Resistenza erano consapevoli che l’unico modo perché non si riproponesse era allargare la base sociale dello Stato. Un compito questo che, al di là delle enunciazioni di principio scritte nella Costituzione, fu demandato nei fatti ai partiti, ai quali si concesse molto, in primo luogo il potere di selezionare una nuova classe dirigente in modo autonomo, seguendo propri criteri condivisi solo al loro interno. Ovviamente questo ha significato accettare una spartizione di aree di influenza territoriali, le Regioni, l’occupazione di ruoli chiave nei tanti meandri dello Stato con la conseguente legittimazione del sistema delle tangenti quale sistema di finanziamento di queste organizzazioni con la crescita e la diffusione di un sistema corruttivo.
D: È ciò che affermò Craxi nel suo ultimo discorso alla Camera prima di lasciare per sempre il Paese, quando affermò che la politica ha un costo e che solo l’ipocrisia benpensante poteva definire illecito il finanziamento dei partiti?
R: Anche Aldo Moro nel 1977 pronunciò un discorso dai toni simili, quando si trattò di difendere il ministro democristiano Gui coinvolto nello scandalo Lockheed: secondo le dichiarazioni di questi due statisti i dirigenti dei partiti non perseguono un interesse personale, anche quando sono corrotti, ma un interesse generale anche se limitato al proprio gruppo di appartenenza politica.
D: In sostanza lei ci dice che la diffusione della corruzione è il frutto di un sistema dove non c’è posto per la libera attività economica, per l’affermazione di personalità autonome, magari altamente professionalizzate, al di fuori della vita dei partiti, almeno quando questi c’erano e funzionavano. Ma la storia del nostro Paese, e in essa quella del Sud, non è una storia lineare, senza scossoni. A partire dalla metà degli anni Settanta, almeno a Napoli, si apre una stagione nuova, c’è l’avanzata delle sinistre, la prima giunta comunista con Valenzi sindaco. I primi decenni dello sviluppo industriale sono sostenuti da un processo di migrazione interna con il conseguente spopolamento delle regioni meridionali e la crescita impetuosa dei centri industriali al nord. C’è stata poi la scolarizzazione di massa, l’accesso all’università di ceti popolari prima esclusi. Com’è possibile che tutto ciò non sia riuscito ad arginare il diffondersi del malaffare?
R: È vero, ma bisogna riflettere su una cosa. Il sistema del consenso al sud si è sempre basato sulla disponibilità di grandi quantità di denaro pubblico che sostituivano gli investimenti privati. Le sinistre, prima con Valenzi e poi più tardi con Bassolino, vanno al governo della città quando il sistema economico entra in crisi, si blocca il processo di industrializzazione, chiudono piccole e grandi fabbriche, diminuisce fino quasi a scomparire il finanziamento pubblico. Non si tratta di giustificare dei fallimenti, ma va detto che sono mancate alle sinistre giunte al governo locale le risorse necessarie per invertire un processo storico, obbligate, come furono, a gestire crisi radicali. L’ultima grande occasione è stata quella dei finanziamenti seguiti al terremoto del 1980. In quel caso si è persa la grande occasione di intervenire sul centro storico di Napoli, di risanare veramente la città.
D: Quindi, quando arrivano i soldi, quelli pubblici, si attiva subito il sistema tangentizio e corruttivo?
R: Il problema è che in fondo nel Mezzogiorno si è quasi esclusivamente puntato ad un sistema di sviluppo incentrato sull’edilizia. Un grave errore anche perché è indubbio che questo è solo indirettamente un sistema produttivo, non crea vera ricchezza ma rafforza solo posizioni di rendita, privilegi e parassitismi.
D: Ma quelli non furono anche anni di un grande fervore culturale, di grandi trasformazioni nel costume, nella mentalità degli italiani, meridionali compresi?
R: La questione non è di poco conto. Secondo me il problema è che nel nostro Paese, e nel sud in particolare, i tempi dello sviluppo culturale sono sempre stati diversi da quelli dello sviluppo economico. Insomma, quando c’è uno, l’altro viene a mancare. È così quasi da sempre, il che ha fatto aumentare il divario tra le diverse aree del Paese e il resto dell’Europa.
D: Nel Mezzogiorno il sistema della formazione e in essa le università, così come il sistema dell’informazione, sembra proprio che abbiano rinunciato ad un ruolo attivo, propulsivo, innovativo e che da questi sistemi emergano sempre più messaggi negativi: corruzione e nepotismo. Che ne pensa?
R: Siamo usciti in ritardo dal medioevo e ne paghiamo le conseguenze ancora oggi. Nelle fasi economiche espansive, quando le risorse aumentano, c’è spazio per tutti, quando si restringono, i vecchi potentati si riprendono tutti gli spazi.
D: Nel vostro racconto l’Italia si presenta unificata sotto il segno della corruzione. Però al centro-nord i servizi pubblici funzionano, per tanti versi si vive decisamente meglio che al sud. Perché, a parità di corruzione, le città meridionali sono sommerse dal degrado e c’è quasi una assuefazione al peggio, si continua a vivere in una condizione di permanente promiscuità?
R: I servizi al centro-nord funzionano perché c’è una pressione da parte dei settori produttivi privati. Gli asili nido devono esserci perché le donne servono all’apparato produttivo. Non ci si può permettere interminabili liste di attesa nella sanità pubblica perché i lavoratori devono essere curati e guariti per ritornare presto a svolgere la propria attività produttiva. Al sud un ospedale conta molto di più per i 500 stipendi che eroga mensilmente che per i servizi che garantisce. Il valore di un servizio pubblico al sud si misura in termini di occupati, di livelli salariali, non in termini di quantità e qualità del servizio offerto.
D: Torniamo per un attimo a questioni nazionali. Quando tutte le forze della sinistra, anche se strutturalmente riformate dopo la caduta del muro di Berlino, hanno finalmente accesso al sistema di governo centrale, mettono in campo delle riforme tecnico-amministrative che, secondo le migliori intenzioni, avrebbero dovuto rendere trasparente, lecito il rapporto tra apparati politici e quelli amministrativi. Ci riferiamo alle varie leggi progettate e firmate dall’onorevole Bassanini. Tra queste quella che ha introdotto lo spoil system: ogni nuovo governo, ogni presidente di regione, ogni sindaco ha il “diritto” di cambiare i vertici delle pubbliche amministrazioni. Un disastro, un indebolimento del sistema amministrativo che bisognava invece difendere dall’ingerenza della politica per favorirne uno sviluppo autonomo, efficace ed efficiente nell’interesse di tutti. È d’accordo?
R: Sì, ma la sinistra non aveva altro modo per intaccare una macchina amministrativa cresciuta sotto il grande mantello democristiano. Ciò non toglie che condivido che quello fu uno sbaglio di cui continuiamo a pagare le conseguenze.
D: Professore, lei ha avuto un ruolo importante come dirigente politico, ricoprendo ruoli istituzionali di governo nazionale e regionale e oggi svolge un ruolo fondamentale nella ricerca oltre che nel formare le nuove generazioni. Cosa direbbe ad un giovane talentuoso, appassionato e onesto per cercare di convincerlo a non lasciare Napoli o una qualsiasi città meridionale andando a cercar fortuna altrove?
R: Sinceramente non proverei a fermarlo. Andare all’estero o semplicemente lasciare la propria città può essere un’occasione importante di formazione, un modo per allargare i propri orizzonti. Ciò che direi e dico ai giovani è: andate con lo spirito di ritornare, importando esperienze innovative. In particolare noi meridionali abbiamo sempre avuto un rapporto di odio-amore con le nostre terre. Allontanarci per poco dalle nostre origini può aiutarci a essere meno rancorosi, più disponibili ad impegnarci per realizzare un cambiamento.
Ma siamo in grado di favorire il loro ritorno, saremo in grado di accoglierli di nuovo? Il nostro Professore alza le spalle con un gesto che dice più di mille parole.

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