Credere, obbedire, combattere

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Che differenza vi è fra una religione e una setta? Volendo semplificare, forse eccessivamente – ma per poter comprendere meglio – si può dire che la religione è apertura, la setta è chiusura. Anche i motivi dell’adesione sono profondamente diversi in quanto l’adesione a una setta ha poco o nulla a che vedere con la fede in un dio o con una ricerca interiore di ordine e di equilibrio spirituale. Inoltre in una religione, di solito, ci si nasce, e ad una setta, di solito, si aderisce. E vi si aderisce perché questa – in un mondo sempre più disorientato – offre certezze a buon mercato e risposte ai grandi interrogativi irrisolti sui quali, da millenni, si rompono la testa legioni di filosofi e teologi. A ben vedere, aderire a una setta religiosa o a una setta politica è pressoché la stessa cosa. E la vita al loro interno presenta numerosi punti di contatto.

A chi aderisce a una setta (per chi si dovesse turbare per questa etichetta si può scegliere qualunque altra definizione alternativa) viene immediatamente promessa la fuoruscita dalla marginalità; l’adepto adesso diviene “un vivo in un mondo di morti”, definizione fascista del terzo millennio per indicare i loro adepti; lui farà parte di un’élite di privilegiati che “non morranno mai”, come prometteva il secondo presidente dei Testimoni di Geova già una novantina d’anni fa. A chi entra nel gruppo viene insegnato che egli adesso fa parte di una nuova “società”, prescelta da dio, grazie alla quale potrà apprendere la “verità” che gli è stata sempre celata dalle fedi tradizionali o dai sistemi politici corrotti. Ovviamente, poiché tale verità non gli viene rivelata da dio in persona, egli potrà apprenderla dagli intermediari, cioè da quelle persone che dio ha scelto come suo “canale” per veicolare i suoi voleri, le sue leggi, le sue norme al resto della comunità; quella persona o quelle persone sono, a tutti gli effetti, i portavoce di dio, dio stesso. Pertanto, il solo pensare di non ubbidire al “canale”, al capo o ai capi della setta o del partito, diviene un reato di lesa maestà. E se vi è qualcosa che incute un terrore sconvolgente è proprio il timore di esserne cacciati via. Fra i Testimoni di Geova questa sanzione ha un nome che dev’essere pronunciato sottovoce: disassociazione, cioè espulsione con infamia e disonore dal gruppo e perdita, oltre che della vita eterna, anche dei parenti, degli amici, ai quali è fatto divieto assoluto di frequentarlo, perfino di rivolgergli un saluto se non vogliono subire la stessa sorte. Lui, adesso, è “morto” per tutti loro. La stessa cosa accade nelle sette politiche. Molto appropriata è la descrizione che ne fa Paolo Berizzi in L’educazione di un fascista: “Se tradissi, sarei uno zero. Sono le prime parole d’ordine del giovane militante. Chi lascia il percorso dell’ultradestra paga doppio. Come in una setta (corsivo mio). Un messaggio intriso di cameratismo, di senso di appartenenza a una comunità forte: emozione, creazione di un’identità, adesione a un modello che si propone come attuale e moderno. Ma che in realtà – sotto la vernice subdola dell’azione e del fascismo gentile – sa di vecchio, è drammaticamente antistorico … I gruppi fascisti ti fanno sentire protagonista di una storia … appartieni al branco comunitario, a un “noi!” contro un “loro”: contro il nemico di turno”. Nemico dalle molteplici facce; nel caso dei fascisti: gli zingari, gli immigrati, i neri, i gay, gli ebrei; nel caso della setta religiosa: la chiesa cattolica in primis, poi tutte le altre religioni, satana il diavolo, le Nazioni Unite, l’evoluzionismo, la filosofia, la cultura in generale.

Quello descritto da Berizzi è quasi esattamente ciò che accade quando si aderisce a una setta. Si esce dal “mondo” morente e destinato a breve a sparire, per entrare a far parte dei manipoli di una società nuova – un “ordine nuovo” (per i fascisti), un “nuovo ordine” (per i geovisti) – formata da individui che hanno una sola parola d’ordine: “credere” (nel capo politico o religioso), “obbedire” (al capo politico o religioso), “combattere” (per il capo politico o religioso). L’adepto dovrà imparare anche una nuova lingua (neolingua, la definisce Orwell) che è il segno identificativo della sua nuova appartenenza. Basta frequentare una setta o uno dei tanti gruppuscoli della galassia neofascista per rendersene conto. Come dice Berizzi, “il branco ha dei caratteri distintivi, un carattere identitario, un codice, regole, capi, gregari”, che si riconoscono fra di loro. I Testimoni si chiamano “fratello” e “sorella”, i fascisti “camerata”, i comunisti “compagno”.

Nella religiosità, quella vera, vi è la ricerca di un contatto più stretto con dio, una comunione intima, privata, della quale non si deve rendere conto a nessuno, e della quale nessuno ti chiederà conto. Nella setta, invece, ogni tua mossa è controllata, il tuo parlare, il tuo vestire, ciò che mangi, chi frequenti, le tue cure mediche, il tuo tempo libero. Così come nel mondo di Orwell c’erano le sessioni di indottrinamento (i minuti dell’odio), nella setta avviene la stessa cosa. I Testimoni, per esempio, sono indottrinati per tutta la vita in apposite “scuole” dove vengono addestrati nel parlare come vuole il “corpo direttivo” o il “generalissimo”, come si faceva chiamare un loro capo, finché il loro modo di esprimersi non sia conforme a quello del resto del gruppo, una sorta di “logopedia teocratica”, la potremmo definire. Accadeva nella Cina di Mao, accade nella Corea di Kim Jong-un, e accade nelle sezioni fasciste di oggi come in quelle di una volta dove si formavano i “figli della lupa”, i “balilla”, gli “avanguardisti” e dove oggi si formano i “fascisti del domani”. Lo stesso accade fra i Testimoni di Geova, dove ci sono gli “anziani”, i “servitori di ministero”, i “proclamatori”, i “pionieri ausiliari”, i “pionieri regolari” e i “pionieri speciali”. Una gerarchia rigidissima che vuol conoscere cosa fai fuori dal lavoro, quanta attività di propaganda svolgi, quanto materiale di propaganda distribuisci, se osi ascoltare musica “del mondo”, se leggi libri messi all’indice dal “corpo direttivo”, se accetti una terapia medica non conforme ai “sacri dogmi” della “società”, se sprechi il tuo tempo frequentando l’università – luogo di corruzione intellettuale – se ti azzardi a entrare in una chiesa dove magari si celebra il funerale di qualcuno che conoscevi; se vai al cinema a vedere un film che esalta i valori di un mondo condannato da dio, se compri un panettone a Natale o una colomba a Pasqua (peccati gravissimi). È esattamente ciò che Orwell descrive con agghiacciante lungimiranza: “Un membro del Partito vive, da quando nasce a quando muore, sotto l’occhio vigile della Psicopolizia … Nessuna delle sue azioni può essere trascurabile. Le sue amicizie, le sue relazioni, il suo comportamento verso la moglie e i figli, l’espressione della sua faccia quando è solo, le parole che mormora nel sonno … così che non soltanto una vera e propria deviazione del suo comportamento esterno, ma anche qualsiasi eccentricità, anche la meno appariscente … verranno certamente scoperti … Egli non ha alcuna libertà di scelta, in nessuna direzione”. E, “se il peso delle contraddizioni finirà per schiacciare clamorosamente i dogmi, non fa niente. Tu sarai già un soldato politico, un legionario, un guerriero, un patriota. Ti sarai già trasformato nell’uomo di domani” (Berizzi). Così nella setta. Se il corpo direttivo dice che due più due fa cinque, allora fa cinque, e non quattro, e tu devi credere con tutto il tuo essere che è così, non solo per condiscendenza, perché il partito (o, il generalissimo) ha sempre ragione e non c’è vita al fuori di essi. I Testimoni di Geova, se dio glielo chiedesse, “lapiderebbero anche i loro figli che si dovessero allontanare dalla setta”, i neofascisti sono pronti a seguire il programma di Heinrich Himmler che pensò di “trasformare il gregge umano frugivoro in branco carnivoro” che sporca con le croci uncinate tutto ciò che può, e che, come Luca Traini, testa rasata e svastica sul viso, ritiene di aver reso un servizio alla patria sparando e cercando di ammazzare tutti i neri che incontrava per strada. È un confine molto sottile, quello sul quale agiscono i fanatismi e gli estremismi, siano essi religiosi o politici. Entrambi ci costringono a “guardare nell’abisso” di nietzschiana memoria e a stare in guardia per non caderci dentro.

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