Da qualche tempo diversi comitati di cittadini in varie zone, non solo campane, hanno sollevato il problema dell’illegittimità del tributo sulla depurazione dell’acqua. Questo tributo è avvertito dagli utenti come una “tassa” vera e propria, versata nelle casse di Enti, che non conoscono, e che dovrebbero garantire controprestazioni che spesso e volentieri restano pura astrazione.
In sintesi il consumatore riceve, con cadenza periodica:
– sia richieste di pagamento di contributi consortili per il trasporto dei reflui urbani verso l’impianto di depurazione e la relativa depurazione da parte del Consorzio di bonifica nel cui ambito ricade il proprio immobile;
– sia bollette relative alla fornitura d’acqua per lo stesso immobile, già comprensive della voce “depurazione dell’acqua”. Quindi paga due volte per i medesimi servizi!
A poco vale aver introdotto una nuova terminologia del tributo in questione, ossia “assicurare difesa idraulica e tutela ambientale”, in realtà, si tratta dello stesso ingiusto contributo per acque reflue, camuffata nella sua richiesta, che, in effetti, risulta già pagato ai Comuni o, comunque, alle società che per essi gestiscono il servizio idrico (es. GORI spa, Sogert ecc.), che addebitano ai cittadini costi di depurazione dell’acqua.
Nell’attuale quadro normativo i Consorzi di bonifica sono tenuti a coordinare gli interventi di settore, espletando l’attività di bonifica del territorio e la relativa manutenzione. Purtroppo la cronaca ha portato alla ribalta situazioni in cui questi consorzi hanno presidenti, direttori generali, impiegati, consulenti, insomma un bel po’ di personale che assorbe circa la metà dei fondi che amministrano. Parecchi, qualcosa come 500 milioni di euro l’anno (stando a un’inchiesta di l’Espresso), metà dei quali, appunto, finiscono in stipendi e costi di funzionamento. Per questo sono entrati nel mirino della spending review a livello nazionale con il cosiddetto “Sforbicia Italia”; per giunta la cronaca giudiziaria attira talvolta l’attenzione sui Consorzi di bonifica, come quello di Sarno, in Campania, dove la Guardia di Finanza ha accertato un danno erariale (consulenze, costi maggiorati, sprechi vari) di oltre 9 milioni di euro, determinato dalla cattiva gestione dell’ente, e ora chiede il risarcimento a 24 persone ritenute responsabili del danno economico.
Queste vicende contribuiscono a rendere più veementi le proteste degli utenti che si sentono ingiustamente tartassati, arrivando a costituire dei comitati per promuovere delle class action finalizzate a porre fine ad un sistema vissuto come vessatorio. In questo contesto si colloca l’iniziativa degli avv. Riccardo ed Emma Vizzino e Claudia Contenti, i quali stanno procedendo a esposti alle Autorità nazionali e a contestuali diffide affinché le richieste di pagamento della componente tariffaria relativa alla fornitura dei servizi di depurazione delle acque reflue vengano annullate con conseguente restituzione degli importi indebitamente riscossi.
Il ragionamento dei predetti Avvocati è il seguente: il contributo in esame, pur regolato dalla legge, è un obbligo che deriva dall’esistenza del bene e da un conseguente beneficio; determina l’obbligo per i proprietari dei beni situati entro il perimetro del comprensorio di contribuire alla spesa necessaria per l’esecuzione, la manutenzione e l’esercizio delle opere di bonifica, in ragione del beneficio che traggono dalla bonifica; viene quindi in rilievo la necessità che il Consorzio di bonifica e/o enti similari, che richiedono il pagamento dei relativi contributi, provino effettivamente quale vantaggio diretto e specifico sussiste per il singolo cespite. Quindi la legittimazione del pagamento del contributo è connessa al fatto che l’immobile gravato tragga dalle opere predette un vantaggio particolare, un beneficio “speciale” incidente in via diretta sull’immobile, comportandone un incremento di valore in rapporto causale con l’esecuzione delle opere di bonifica e con la loro manutenzione; tale beneficio non può derivare, sic et simpliciter, dalla pura e semplice inclusione dell’immobile nel perimetro del comprensorio, appunto per la natura corrispettiva del tributo; né tanto meno può risultare indiretto o generico, perché altrimenti sarebbe perduta l’inerenza al cespite, ma deve risultare concreto, “effettivo”, dovendo essere accertato con riferimento a ciascun bene e valutato anno per anno sulla base dei reali benefici ed incrementi di valore dell’immobile, determinati dalle opere di bonifica e/o dalla loro manutenzione. Per giunta, la Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, con sentenza n.2241 del 6 febbraio 2015, ha accolto il ricorso proposto da un contribuente la cui difesa si era incentrata sulla mancata elaborazione, da parte del consorzio, del piano generale di bonifica e sulla mancanza di un beneficio diretto e specifico per i beni di sua proprietà; in altre parole, si era tentato di imporre un vero e proprio tributo legato alla mera proprietà dell’immobile, senza valutare se lo stesso fosse effettivamente legato ad una reale controprestazione.
La linearità di tale ragionamento è sostenuta dalla pronuncia n.335 del 2008, con la quale la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 14 della legge n.36 del 1994 nella parte in cui prevedeva che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi», sancendo così che l’applicazione della «tassa» fognaria e di depurazione, da parte dei quei comuni che non dispongono di un tale servizio, è da considerarsi illecita ed illegittima. “E io pago”, direbbe Totò!