Quella traccia ematica sul finestrino era l’unica prova visibile del misfatto che si era appena consumato nella sua auto.
I resti organici di ciò che lei era stata giacevano sul tappetino di fianco al guidatore: lui se ne era disfatto scagliandola via con violenza.
Tutto era cominciato qualche minuto prima.
Era da poco alla guida quando quella sosta gli aveva fornito l’occasione che stava aspettando.
Quella presenza, disponibile a farsi toccare e plasmare secondo i suoi desideri, si era rivelata una piacevole sorpresa che l’aveva stuzzicato fin quasi a provocarlo: e lui non era certo il tipo da farsi pregare.
Appena fermo, muovendosi a memoria, con la mano aveva cominciato a esplorare quei meandri nascosti, ma già attraversati tante altre volte. Mentre le sue dita, rapide e sapienti, seguivano itinerari noti e sempre prodighi d’inaspettate sorprese, si domandava se dalle altre auto qualcuno lo stesse osservando.
Preso com’era da quella manipolazione che gli stava procurando una soddisfazione al limite dell’osceno, non era interessato più di tanto al fatto che quei suoi gesti potessero disturbare un involontario spettatore e far storcere il naso a chi si trovasse a passare di lì per caso.
L’appagamento momentaneo era tale da fargli superare ogni inibizione dettata dalla decenza; e oltretutto sapeva che nulla avrebbe potuto compensare la soddisfazione procurata dall’epifania finale con cui lei si sarebbe rivelata, svelandosi in tutta la sua materialità corporea.
Con la sua sapiente manipolazione, voleva farle perdere quella rigidità che la rendeva stucchevole per poterla modellare, fino a farle assumere la più morbida delle forme.
Ma fu proprio al compiersi della metamorfosi che gli eventi precipitarono, prendendo una brutta china. Quelle dita, che fino a un attimo prima avevano ispezionato in lungo e in largo le due narici, alla fine riuscirono a tirare fuori dal naso una caccola di tutto rispetto e a gettarla via, mandandola a schiantarsi sul finestrino.