Europa: una disamina

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Sono un fiero cittadino italiano e un orgoglioso cittadino europeo. Sentire spinte disgreganti non solo mi rattrista, ma mi spaventa molto. Nell’attuale, fragile situazione, il valore dell’Unione Europea è ancor più nella cooperazione, nel sostegno reciproco, nella concordia, perché agire come un corpo solo non cancella l’identità dei singoli stati, ma li rafforza. La retorica del sovranismo è scellerata, non possiamo che restare coesi. E lo abbiamo visto solo pochi anni fa, quando durante la pandemia tutti ci siamo sentiti più vicini, solidali, riscoprendo molti valori e un desiderio: diventare migliori. Poi è come se avessimo dimenticato tutto. Oggi che la tensione internazionale potrebbe facilmente sfociare in uno scontro più grande, è urgente e necessario ritrovare la cooperazione e proteggere la democrazia da ogni attacco. E questo perché l’Europa non è soltanto un coacervo di nazioni, essa è una culla nella quale ha cominciato a vagire un sogno. Essa riassume in sé la porzione più importante di arte, cultura, storia, politica, economia e tante altre cose che i paesi extraeuropei neanche si sognano. Per me la storia d’Europa comincia nella sua parte mediterranea, in primis in Grecia. È da quel piccolo Paese che ebbe inizio l’avventura europea, quando per la prima volta si sentì il termine “democrazia”, e quando una folta schiera di filosofi — mai eguagliata — ci ha insegnato a pensare, a riflettere, a guardare in noi stessi, a gettare le basi per la crescita delle scienze, della cultura e di tutto ciò che appartiene all’ingegno umano.

È anche vero, ed è necessario dirlo per onestà intellettuale, che l’Europa — da sempre — è stata teatro di conflitti senza fine, e che nemmeno un secolo della sua lunga storia è stato caratterizzato dalla pace totale. Ed è proprio a partire dagli ultimi due, i due conflitti mondiali del secolo scorso, che cominciò a maturare nella mente di alcuni uomini illuminati l’idea di un’Europa diversa, nella quale si individuassero i tanti tratti che la univano, piuttosto che quelli che la dividevano. Abbiamo più volte menzionato il cosiddetto “Manifesto di Ventotene”, con il quale fu gettato il seme di quella che oggi è conosciuta come l’Ue, l’Europa Unita o l’Unione Europea. Fu da quell’intuizione che oggi, malgrado il progetto non abbia ancora raggiunto tutti i suoi obiettivi, che 27 Paesi europei convivono in pace, hanno una moneta comune, non sono divisi da barriere o confini, formano un tutt’uno: l’Europa! Bisogna, però, attingere dalla storia e non trascurare le sue lezioni. E questo può farsi non ripetendo gli errori del passato. L’Europa è chiamata a fare quell’ultimo, ma decisivo passo unitario che si è testardamente rifiutata di fare in questi anni. Chi dei nostri lettori è incanutito e vive gli ultimi anni della sua vita, non può non ricordare un’Europa che si è piegata alla logica della sopraffazione del più forte sul più debole, a un neoliberismo feroce che usa le fragilità come merce di scambio, all’ignoranza usata contro la scienza, alla faccia tosta spacciata per autenticità. Non vorremmo più vedere queste cose — e non dovrebbero volerle vedere anche le giovani generazioni — perché la mia, la nostra di anziani, idea di mondo, la stessa che sognavamo da giovani, non è questa.

Purtroppo, però, la situazione mondiale, caratterizzata da una forte instabilità, da guerre sanguinose che vedono teatri di guerra in varie parti del pianeta, oltre che in un paese centroeuropeo, sta mettendo in crisi questo organismo sovranazionale, minacciandone perfino l’esistenza. Un importante filosofo tedesco, Peter Sloterdijk nel suo ultimo libro, “Il continente senza qualità”, riflette sull’essere europei e sulla crisi di identità dell’Europa. È un tema attualissimo alla luce delle recenti vicende politiche, economiche e geopolitiche che in queste settimane ci toccano da vicino, non ultima, lo schiaffo morale di Trump a Zelensky con le divisioni e le debolezze che hanno contraddistinto le reazioni dei Paesi del Vecchio Continente all’arroganza senza precedenti del nuovo inquilino della Casa Bianca. La risposta di Sloterdijk è un’analisi spietata che pone domande cruciali sul futuro dell’Europa, oggi epicentro di una crisi identitaria profonda, aggravata dalle tensioni generate dalla guerra in Ucraina. Le mire espansionistiche della Russia di Putin hanno messo a nudo le fragilità strutturali di un’Europa che, nonostante il lungo cammino verso l’Unione, fatica a trovare una voce unica e soprattutto una forma di difesa unica. L’idea di un’Europa unita appare in questo momento un’illusione sfuggente: le divergenze tra gli Stati membri risaltano in modo drammatico confermando la mancanza di una strategia comune, e la riprova l’abbiamo avuta proprio in questi giorni nei quali è stata messa ai voti la proposta di Ursula von der Leyen del ReArm Europe che, pur essendo stata approvata, ha mostrato quanto profonde siano le divisioni su questo tema e, per quanto riguarda noi italiani, quanta confusione imperi all’interno delle formazioni politiche nazionali, in particolare fra quelle che si definiscono di sinistra che hanno dato di sé uno spettacolo penoso.

Ed è sempre il filosofo tedesco che esprime questo commento sull’attuale situazione politica dell’Unione: “Ci siamo nati e cresciuti, ma entriamo ogni volta in crisi davanti alla domanda: che cos’è l’Europa? «Noi europei siamo un gruppo di perennemente inquieti, che ha trasformato un continente in un contesto di apprendimento». L’Europa è uno spazio inquieto, assetato com’è di sapere e di raggiungere sempre nuove mete, politiche e culturali”. È la tesi che Sloterdijk, autore della mastodontica trilogia delle Sfere e del saggio “Devi cambiare la tua vita”, sostiene nella sua ultima opera intitolata “Il continente senza qualità”. Un testo in cui uno dei più autorevoli filosofi tedeschi ricostruisce, a partire dalle fondamenta dell’Impero romano fino ai veleni dall’euroscetticismo e dei partiti d’estrema destra diffusi oggi, le matrici e le svolte di un Continente scosso da più crisi di identità. In questo contesto, le decisioni del nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, aggiungono ulteriori complicazioni. Le sue dichiarazioni e le sue scelte politiche, come quella di sospendere gli aiuti militari all’Ucraina, stanno sconvolgendo gli equilibri internazionali con toni che evocano il caos piuttosto che la stabilità. La lingua di Trump, spesso diretta e provocatoria, sembra volutamente intercettare una frustrazione profonda che attraversa le democrazie occidentali. In questo momento ci troviamo — noi europei — in una situazione veramente impensabile fino a qualche tempo fa. L’Unione è attaccata da Est, dalle mire di Mosca e di Pechino. Ma pure da Ovest, con l’America che punta a smembrarla e a sottometterla. Sfruttando l’opera di propaganda delle sue Big Tech.

Quella che un tempo era considerata una forza dell’Unione Europea, ovvero la capacità di dialogare e di trovare soluzioni unitarie, oggi sembra svanita, insidiata dai nazionalismi che tornano prepotentemente a galla, spinti — secondo Sloterdijk — da reazioni fobiche, mentre spiega che «l’alternativa oggi è a destra, perché lì si concentra la protesta contro chi è stato al potere. A sinistra si vota per programmi umanitari; a destra per mera entropia negativa». È, questa, un’analisi spietata che parte da lontano, dall’influenza culturale dell’impero Romano, attraversa il paradigma della meritocrazia, per arrivare, attraverso i secoli, all’aristocrazia dello spirito teorizzata da Thomas Mann. Ma innumerevoli sono gli intellettuali chiamati dal filosofo a interpretare la crisi dell’Europa, mentre ci invita a riflettere sull’essenza stessa dell’europeismo, su come esso si sia trasformato e su quali siano le sfide da affrontare per riscoprire una vera solidarietà tra i popoli del Continente basata su radici culturali comuni. Emerge qui con tutta la sua potenza il ruolo della cultura, quella europea, intrinsecamente legata a valori di umanità, democrazia e diritti umani, che devono essere costantemente rivitalizzati. La sua riaffermazione in un contesto globale, caratterizzato da populismi e nazionalismo è fondamentale. L’Europa ha la responsabilità storica di essere un faro di questi valori e proprio la cultura può svolgere un ruolo chiave per riaffermarli e per guidare la società verso una rinnovata coesione. Non sappiamo ancora come andrà a finire con l’approvazione, sebbene non plebiscitaria, del ReArm Europe, ma nessuno strumento potrà mai funzionare, se gli Stati e i loro cittadini non saranno convinti che senza l’Unione sarebbero più poveri e meno liberi. E se, anche a costo di escludere qualcuno, i 27 capi di governo non sintetizzeranno in fretta una visione comune su come finanziare la nostra difesa, su come terminare l’unione bancaria per creare un mercato finanziario capace di sostenere lo sviluppo di nuove imprese tecnologiche e su come completare una transizione verde e digitale senza indebolire la competitività europea. A conti fatti sono proprio gli europei i più grandi alleati, o i più grandi avversari, dell’Unione Europea. E fra i grandi avversari, come non menzionare Marine Le Pen, leader del Rassemblement National, che ha definito la Ue un “mostro burocratico che toglie sovranità agli Stati”; o Geert Wilders, che ha definito l’Ue «un carcere delle nazioni». Poi c’è Viktor Orbàn, che da anni sfida Bruxelles con il piglio di chi si sente un moderno Attila e che vede nell’Unione «un superstato che vuole imporre ideologie estranee ai valori tradizionali». E, infine, non dimentichiamo ciò che disse Meloni prima di sedere a Palazzo Chigi e cioè che “L’Europa è «una gabbia da cui dobbiamo liberarci e che noi vogliamo uscire dall’euro»”. Quella di questi tre personaggi (sospendiamo il giudizio su Meloni) è la serpe in seno all’Unione. Ne fanno formalmente parte, ma il loro intento segue una strategia ben precisa: sabotare dall’interno il progetto comunitario, logorandolo fino a renderlo irriconoscibile. Con alleati come questi che bisogno abbiamo di nemici? La discesa in piazza di molti di noi il prossimo 15 marzo ci farà sentire plasticamente quanto conta ancora per noi il sogno di Ventotene e quanto siamo disposti a batterci con le armi della coesione e dell’amore per l’Europa per ottenere il risultato sperato!

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