
Il populismo non è un movimento recente, ma solo di recente è assurto ancora una volta a nuova vita, anche se le sue radici affondano nel lontanissimo passato. Storicamente, con il termine populismo si definiscono quei movimenti politici e culturali sviluppatisi nel corso del ventesimo secolo, anche se in realtà, il fenomeno è molto antico: già in Aristotele è possibile leggere un’interpretazione del populismo come demagogia e, dunque, come degenerazione della democrazia, ovvero di quella virtù politica necessaria per consentire ai cittadini di raggiungere quella che il filosofo definiva la pienezza umana. Oggi, in questa prima parte del XXI secolo, sembra che questo movimento sia assurto a nuova vita, che la sua linfa vitale si sia risvegliata. Come mai, e perché?
In molte parti dell’Occidente il sistema democratico liberale, che ha dominato per decenni dopo la fine del secondo conflitto mondiale, sembra essere entrato in crisi e questa crisi delle moderne democrazie rappresentative viene oggi ricondotta all’incapacità della politica tradizionale di interpretare le sempre più complesse esigenze dei cittadini.
In un tale contesto, negli Stati contemporanei si è operato un vero e proprio rovesciamento di ruoli e l’economia sembra essersi ormai definitivamente imposta sulla politica, in ossequio alla logica dei mercati. Non sono più le politiche economiche degli Stati a garantire la concorrenza tra le imprese, ma quest’ultime a mettere in concorrenza gli Stati, privilegiando per i loro investimenti i paesi nei quali la possibilità di sfruttare il lavoro, di inquinare l’ambiente e di corrompere i governi è maggiore. Da ciò discende direttamente una percezione della politica come funzione parassitaria. In ogni caso, a prescindere dai diversi contesti storico–culturali di riferimento, si possono rinvenire in questi fenomeni collettivi alcuni tratti comuni e presenti anche nelle esperienze più recenti: la visione idealizzata ed astratta del popolo, ritenuto portatore di istanze e valori positivi, posto in contrapposizione con le manchevolezze e la corruzione della cosiddetta élite. Sotto il profilo politico ne consegue la tendenza a svalutare le forme di democrazia rappresentativa a favore di forme di democrazia diretta, e quella di demandare ad un unico leader carismatico il compito di farsi promotore degli interessi del popolo.
Inoltre, in conseguenza della crisi delle istituzioni democratiche, si è assistito, da un lato, alla crescita progressiva del potere della magistratura, chiamata a sopperire alle inefficienze del potere legislativo e, dall’altro, all’aumento dei cosiddettigoverni tecnici, legittimati dall’alto livello di conoscenze specialistiche seppur non dai meccanismi di democrazia rappresentativa, sia a livello nazionale che internazionale.
La nascita del fenomeno del populismo moderno è da ricondursi proprio a questa generale crisi degli Stati contemporanei, proponendo una formula politica e ideologica che valorizza il ruolo del popolo in contrapposizione al meccanismo della democrazia rappresentativa.
Il primo grande movimento populista lo abbiamo visto sorgere proprio in Italia con il ventennio di governo di Silvio Berlusconi, e adesso sembra che dall’altra parte dell’Atlantico il neoinsediato Presidente degli Stati Uniti ne stia efficacemente rappresentando il modello su scala notevolmente più grande. Volgarizzando le astruserie e le terminologie politiche, vediamo come i populisti, del tipo dei due appena menzionati, abbiano in comune una sorta di investitura dall’alto, che nel caso di Trump è apertamente dichiarata, quando attribuisce a Dio la volontà di averlo fatto assurgere alla presidenza e, per quanto possa sembrare strano, anche un personaggio che dovrebbe essergli lontano anni luce, Vladimir Putin, ha ripetutamente dichiarato, testualmente: “Dio mi ha affidato la missione di difendere la Russia”. Quindi abbiamo al comando delle due nazioni più potenti del mondo due nuovi Mosè, ai quali il Creatore ha affidato l’arduo ma ineludibile compito di guidare i loro rispettivi popoli verso la terra promessa. Trump, per esempio, lo ha dichiarato apertamente con l’acronimo MAGA, che si prefigge di “rifare grande l’America”.
Quando parliamo di governi populisti, in genere ci riferiamo a governi nei quali i loro capi si sono assunti il compito di sollevare il popolo dalle difficoltà nelle quali spesso annaspa, di ripulire il paese dai parassiti, dalle inefficienze, dalle pastoie burocratiche, di dare un lavoro a tutti e una vita di benessere che dovrebbe essere diritto di tutti. Chi di noi non ricorda le smargiassate di Berlusconi, la lotta a tutto campo contro chi voleva delegittimarlo, lui “l’unto del Signore”, in particolar modo le “toghe rosse”, la Magistratura, da lui definita un “cancro”. Con un passato da cantante sulle navi da crociera, i capelli impomatati e l’incessante vantarsi della propria fama di latin lover, Berlusconi sembrava la caricatura dell’italiano medio: uno che, pur non rappresentando l’Italia vera, andava a nozze con tutti i peggiori difetti del Paese. Di conseguenza all’estero lo archiviarono come una figura da cui era impossibile ricavare qualche insegnamento su se stessi e tantomeno presagire eventi che li avrebbero colpiti in patria. Purtroppo dal populismo berlusconiano il nostro Paese ha visto sorgere due altri movimenti populisti che quasi quasi ce lo hanno fatto rimpiangere, cioè la Lega e i Cinque Stelle, fortunatamente ora in declino.
Ciò che nessuno poteva prevedere a quel tempo era che invece degli eredi del berlusconismo avrebbe assunto la guida del Paese la rappresentante di un movimento anch’esso molto radicato, ma che credevamo ormai scomparso per sempre, ma che è invece risorto anche se con tutte le differenze inevitabili, dato il quadro politico italiano attuale rispetto a quello originario. Il quadro che presenta attualmente l’Italia è quello di una grande confusione, di indecisione, sicuramente di instabilità politica perché nessuno dei protagonisti della nostra vita politica sembra possedere lo spessore di uno statista, così necessario durante i periodi turbolenti, oggi aggravati enormemente da una guerra che sta bruciando il cuore dell’Europa. Molti potrebbero essere indotti a pensare che l’ascesa del populismo si trasformi in un organismo autocorrettivo e in questa disamina della situazione attuale i partiti populisti salgono alla ribalta perché le élite tradizionali non sono riuscite a gestire le frustrazioni popolari. Il loro ingresso in politica dovrebbe spingere i partiti consolidati a darsi una regolata. È quello che sta accadendo, per esempio, in Germania, dove il partito populista/nazista Alternative für Deutschland al suo inizio aveva convinto molti che sarebbe durato poco per il pessimo lavoro che svolgeva in Parlamento, mentre oggi è il secondo partito del Paese con il 20% dei consensi, fatto del tutto impensabile fino a pochi anni fa.
Ciò che sta accadendo sull’altra sponda dell’Atlantico dovrebbe essere per noi europei — che a parole aneliamo all’unità — un monito di ciò che potrebbe invece succedere. La rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca è stata la dimostrazione più evidente della crisi della democrazia. L’importanza della sua doppia ascesa non verrà mai sottolineata abbastanza. Per la prima volta nella sua storia, la democrazia più antica e potente del pianeta ha eletto un presidente che trascura apertamente le norme costituzionali di base. E quello che sta facendo adesso, nel suo secondo mandato, ne è la lampante dimostrazione. All’inizio ciò che era avvenuto in Italia sembrava un’aberrazione. Negli ultimi anni, via via che nuovi politici hanno conquistato potere e influenza in tutta Europa, è diventato chiaro che non era affatto così. L’ascesa dei partiti di estrema destra è stata ancora più impressionante di quella dei partiti di estrema sinistra, come Syriza e Podemos in Spagna, ma allo stato attuale non vi è alcun dubbio che l’Europa e gli Stati Uniti e l’intero Occidente hanno virato decisamente a destra.
Pur avendo una componente realmente democratica, nel lungo periodo il populismo è anche molto più contrario al rispetto della volontà popolare di quanto non sostengano i suoi fautori. Come sa bene chiunque abbia studiato il caso della Turchia, della Russia o del Venezuela, spesso l’ascesa di uomini forti e illiberali è il preludio del governo autocratico; una volta imbavagliati i media e abolite le istituzioni indipendenti, i leader illiberali possono passare facilmente dal populismo alla dittatura. Per capire la natura del populismo, dobbiamo riconoscere che è sia democratico sia illiberale, che cerca cioè di esprimere le frustrazioni della gente, da un lato, e di indebolire le istituzioni liberali, dall’altro. Una volta che i leader populisti si sono sbarazzati di tutti gli ostacoli liberali che impediscono l’espressione della volontà popolare, diventa molto facile per loro ignorare il popolo quando le sue preferenze cominciano a entrare in conflitto con le loro. La realtà è che gli elettori sono sempre più inclini a votare per chiunque prometta una soluzione semplice ai problemi complessi che affliggono i vari paesi, ed è per questo che i populisti, da Narendra Modi in India a Recep Tayyip Erdogan in Turchia, da Vixtor Orbàn in Ungheria a Marine Le Pen in Francia, sembrano incredibilmente simili tra loro, malgrado le notevoli differenze ideologiche.
Perché Trump ce l’ha fatta per la seconda volta dopo il disastroso primo quadriennio? Perché, dato un elettorato per lo più immaturo come quello americano, egli ha sfruttato la rabbia verso gli immigrati, promettendo di costruire un muro con il Messico, sfruttando l’angoscia per il declino delle città industriali promettendo — cosa che si avvia a fare — di aumentare i dazi doganali ai cinesi e agli europei. Tutte promesse irrealizzabili, eppure milioni di elettori hanno considerato la semplicità delle sue proposte come un segno della sua autenticità e determinazione. Proprio per questo le soluzioni superficiali e semplicistiche sono al centro del fascino del populismo. Gli elettori non amano pensare che il mondo sia complicato. E di certo non amano sentirsi dire che non esiste una risposta immediata ai loro problemi. Di fronte a politici che appaiono sempre meno capaci di governare e a un mondo sempre più complesso, molti sono sempre più inclini a votare per chi prometta una soluzione semplice. Ci rendiamo quindi conto che il mondo, non solo l’Occidente, è in una condizione precaria perché è difficile frenare l’avanzata dei populismi allo stato attuale delle cose. Non possiamo — ancora una volta — che affidarci alla speranza di una resipiscenza generale che apra gli occhi agli elettori e li metta di fronte alle loro responsabilità. Speriamo.