
C’è una cosa che non riesco assolutamente a capire, nonostante faccia di tutto per tenermi informato su varie fonti di diverso orientamento politico. In questo tremendo caos che ogni giorno di più disorienta i cittadini comuni, che nulla sanno dei giochi che hanno luogo nelle “segrete stanze”, c’è una sola certezza ed è che un bel (?) giorno il dittatore della Russia, Vladimir Putin, ha deciso hic et nunc di invadere una nazione libera e indipendente, l’Ucraina, per annetterla, in tutto o almeno in parte al suo gigantesco impero. Ed ecco, quindi, la discesa in campo di eserciti agguerriti, forniti di armi sofisticate che hanno cominciato a bombardare un paese pacifico che non rappresentava la minima minaccia per la Russia.
La mia perplessità deriva dal fatto che, in un mondo normale, si dovrebbe essere schierati senza se e senza ma dalla parte dell’aggredito. Stringersi attorno a lui e sostenerlo in ogni modo possibile per non permettere a un dittatore irragionevole di pensare che può disporre dei paesi europei, compresi i baltici, come e quando gli pare. Eppure, leggendo i giornali, pieni di indagini demoscopiche fatte da diverse agenzie, che dovrebbero essere più o meno attendibili, ci viene posto davanti un quadro desolante che vede Zelensky, cioè l’Ucraina, perdere il favore popolare (parliamo dell’Italia), mentre Putin guadagna punti. Apprendiamo da un sondaggio Demos che nel 2022, dopo l’invasione russa, oltre metà degli italiani (per la precisione il 53%) esprimeva un elevato grado di fiducia nei riguardi di Zelensky, mentre ora è sceso al 27%. Siamo, quindi, lontani dal momento dell’invasione, quando gran parte degli italiani — e degli europei — si erano stretti intorno all’Ucraina e a Zelensky. Non possiamo non porci la domanda sul perché ciò accada.
Cos’è cambiato dal 2022 ad oggi? Una cosa lo è certamente, ed è quella del numero di giovani in età di leva che in entrambi i paesi hanno perso la vita a centinaia di migliaia, lasciando milioni di famiglie in lutto da entrambe le parti. E questo è il dato più agghiacciante. Ma chiediamoci adesso cosa è cambiato in questi due anni di macelleria europea per far girare il vento contro l’aggredito, l’invaso, lasciando inalterato quello nei confronti dell’aggressore, del macellaio in capo. Voglio illudermi di pensare che la mia perplessità sia condivisa da molti, perché in una visione delle cose equilibrata e imparziale i risultati di qualunque indagine demoscopica dovrebbero indicare zero gradimento per Vladimir Putin e il 100% a favore dell’Ucraina e in chi la guida in questo momento drammatico. E invece le cose non stanno così. Ammesso che Zelensky, come tutti gli esseri umani, non è perfetto e che ha fatto degli errori e continuerà a farne perché ciò fa parte della natura umana, ciò non vuol dire che le posizioni dei due avversari, lui e Putin siano cambiate. La Russia vuole annettersi parte dell’Ucraina e delle sue risorse, guardando anche a oriente verso gli Stati baltici, e l’Ucraina cerca disperatamente di resistere dinanzi a un nemico infinitamente più forte e più potente che, però, dopo due anni di guerra non è riuscito nel suo intento, e questo dovrebbe farci provare una sincera ammirazione per il popolo ucraino e per chi lo guida in questi frangenti così drammatici. In un mondo normale, all’indomani dell’invasione russa, sarebbe stato del tutto pacifico che le nazioni europee, anche quelle non facenti parte dell’Ue, si stringessero fortemente attorno alla nazione aggredita, mostrando che l’Europa esiste e che è in grado di difendersi dalle mire di avidi predatori, anche se questi predatori hanno una potenza militare seconda sola a quella degli Stati Uniti, ma inferiore a quella di un’Europa unita che, con i suoi 450 milioni di cittadini e un arsenale di armi detenuto dai vari paesi, potrebbe spazzar via, anche se non con facilità, l’orso russo, rimandandolo a casa con le pive nel sacco. Potremmo chiedere a quei cittadini che hanno cambiato orientamento circa la fiducia in Zelensky e nel suo paese aggredito, cos’è che li ha determinati al voltafaccia. Forse Zelensky, per compiacerli e far cessare la guerra dovrebbe arrendersi pur essendo dalla parte della ragione e consentire ad uno stato predone di annettersi un paese libero e democratico, come lo sono l’Italia, la Francia, la Spagna, la Germania e le altre nazioni europee?
A questi cittadini voltagabbana viene dato un forte sostegno dall’uomo che più di ogni altro, oggi, rappresenta un pericolo per la democrazia, e cioè il presidente americano Trump, secondo il quale, nel recente incontro di Washington con la sua controparte ucraina, incontro da molti definito “una trappola”, ha invitato Zelensky a “mettersi da parte”, perché “non ha le carte” per governare la situazione. Parole offensive da parte di un personaggio che ha più volte espresso chiaramente i suoi intenti, che sono quelli di “dividere” il mondo per rafforzare ulteriormente la posizione americana. Perché, e questo dev’essere chiaro a tutti, a Trump dell’Unione Europea e del resto del mondo non importa nulla. Anzi, egli sta cercando in ogni modo di esercitare una spinta alla divisione dei partner europei perché in tal modo, non trovandosi di fronte un’Unione coesa e compatta, unita nel suo proposito di rappresentare una potenza mondiale insieme a Cina, Russia e Usa, egli avrebbe buon gioco a stipulare accordi con i singoli stati che rispetto al suo Paese diventano insignificanti, mentre non lo sarebbe certamente il mezzo miliardo di europei uniti e determinati e pesantemente armati.
Fortunatamente, ciò che è accaduto nell’incontro nell’Oval Office ha suscitato un moto di reazione in tutta Europa che ha spinto la presidente Ursula von der Leyen a rilanciare il grande riarmo europeo, con l’esortazione di “fare presto”, e ha aggiunto una frase veramente significativa a questa esortazione: “Dobbiamo trasformare l’Ucraina in un porcospino d’acciaio indigesto per i potenziali invasori”, e questo richiede, in tempi ristretti, un grande riarmo europeo, come la presidente ha sottolineato nel vertice di Londra, parlando di “un doppio binario”; innanzitutto una “Coalizione di volenterosi” per garantire la pace in Ucraina e rafforzare l’esercito di Kiev, e poi il riarmo dei paesi dell’Ue per fronteggiare gli altri eventuali attacchi della Russia.
La posta in gioco, pertanto, non è soltanto il futuro dell’Ucraina, che merita, come qualunque altra nazione, di decidere da sé il suo destino ma, ed è ciò che preoccupa maggiormente, il futuro dell’Europa che nei segreti (ma non tanto) pensieri del magnate di Washington dovrebbe essere ricondotta ad una moltitudine di staterelli con i quali trattare da una posizione di assoluto vantaggio. Ecco perché possiamo dire che, allo stato delle cose, il peggior nemico dell’Europa non è la Russia di Putin, ma gli Stati Uniti di Trump. Questa situazione attuale, nella quale sembra quasi che dalla parte del torto sia l’aggredito e non l’aggressore, mi riporta alla mente la storia dell’agnello e del lupo di Fedro, nella quale Superior stabat lupus, longeque inferior agnus. Ovvero l’agnello stava a valle e il lupo a monte di un ruscello al quale si abbeveravano, quando il lupo disse: “Cur – inquit – turbulentam fecisti mihi aquam bibenti?” In poche parole il lupo, che stava più in alto, accusava l’agnello, che stava più in basso, di inquinargli l’acqua, È chiaro che si trattava di una scusa sfacciata da usare come pretesto per aggredire l’agnello che, alla fine, uccise. Fedro spiega il perché di questo racconto: “Questa favola è scritta per quegli uomini che opprimono gli innocenti con falsi pretesti”. Nella “favola” moderna il lupo è Putin e l’agnello è Zelensky, soltanto che c’è un elemento che mancava nella favola, cioè l’Europa. Europa che, non ci stancheremo mai di dirlo, fino ad ora è venuta meno ai suoi compiti.
Appropriatamente così descrive la situazione Lucio Caracciolo su la Repubblica: “L’Unione Europea è cerebralmente defunta. Alla prova della guerra si è rivelata inutile per risolverla. Nei tre anni di conflitto non ha saputo articolare uno straccio di proposta per farlo cessare. Nata all’ombra della Nato, nella pace e per la pace, quale braccio economico del sistema euroatlantico promosso dagli Stati Uniti, si rivela ormai obsoleta. Esattamente come la Nato, la cui dipartita era stata anticipata con notevole lungimiranza da Macron nel 2019, durante il primo mandato Trump. Con parole che suonano attualissime: «Guardiamo le cose in faccia. Ci sono degli alleati che sono insieme in una stessa regione del pianeta e non c’è nessun coordinamento delle decisioni strategiche degli Stati Uniti con questi alleati». Oggi l’imperativo è salvare l’Ucraina prima che si dissangui completamente e/o l’invasione russa si sveli prodromo della terza guerra mondiale”. Vale la pena di riportare qui le parole di Corrado Augias, che ci riporta ai tempi di Calatafimi e di Garibaldi, sottoponendoci quali sono le attuali opzioni: «Dei due aggettivi di un’Europa “libera e unita” è rimasta la carica ideale ma s’è aggiunta la dimensione della necessità: un’Europa libera e unita oppure preda di una delle tre grandi potenze che si stanno spartendo il mondo. Nessuna nazione del vecchio continente, nemmeno la più grande è in grado di competere con la potenza economica e militare dei nuovi padroni del pianeta. Le nazioni europee possono davvero morire o essere asservite nel grande gioco “divide et impera” dei detentori di un potere smisurato. Può invece resistere o competere l’Europa tutta insieme, quasi mezzo miliardo di cittadini, un rilevante potere economico, una grande capacità di innovazione, una storia alle spalle piena di sangue e di gloria». Ecco perché lo slogan garibaldino modificato in “qui si fa l’Europa o si muore”, si è nuovamente riempito di senso. Ed ecco perché il 15 marzo saremo tutti idealmente a Roma a sventolare bandiere europee in risposta all’appello di Michele Serra di scendere in piazza e di mostrare il nostro attaccamento all’Europa!