
I lettori appartenenti alla generazione boomer non avranno difficoltà ad associare il “Trinchetto” del titolo con il protagonista di un divertente spot del rimpianto Carosello RAI; invece per i lettori Millennials e Centennials qualche precisazione è d’obbligo. Capitan Trinchetto era il protagonista di un cartone animato creato dai fratelli Gavioli per pubblicizzare le bibite della Recoaro; si trattava di un simpatico marinaio che raccontava le sue fantastiche e fantasiose avventure per i sette mari… i suoi racconti erano conditi con molte esagerazioni, così in ogni spot interveniva una voce fuori campo che invita il marinaio a ridimensionare le sue storie, con la celebre frase: “Cala … Trinchetto!”; e lui, anche se a malincuore, era indotto a ridimensionare le sue sparate.
Perché questo riferimento a questo simpatico spaccone? Per il fatto che oggi diversi politici assomigliano al capitan Trinchetto. Prendiamo, ad esempio la premier Meloni: l’11 marzo del 2023 a Cutro, sulla costa jonica dove era avvenuto il naufragio di una nave carica di migranti con circa un centinaio di morti accertati, Giorgia Meloni aveva riunito il Consiglio dei Ministri e in quella occasione dichiarò solennemente: “Quello che vuole fare questo Governo è andare a cercare gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo perché vogliamo rompere questa tratta”. Ebbene – alla prima occasione di mettere le mani su Almasri, regista non occulto del traffico di migranti attraverso la Libia – il Governo italiano non solo ha lasciato libero Almasri, su cui pende un atto di arresto della Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aia, ma lo ha fatto rientrare in patria con un volo a lui riservato.
Il vice premier Tajani, piuttosto che rinchiudersi in un pudico silenzio sulla vicenda Almasri, si è permesso di dire che bisogna indagare sui giudici della Cpi, aggiungendo disdoro al già risibile tentativo di difesa dell’operato del Governo, compiuto in Parlamento dai ministri Nordio e Piantedosi.
Altra vicenda imbarazzante è emersa in questi giorni: la Paragon Solutions, azienda israeliana produttrice di software spia, che vende i propri prodotti esclusivamente a governi democratici e solo per consentire di effettuare indagini su terrorismo, mafia e altri gravi reati, ha chiuso i contratti in essere con l’Italia “per violazione di termini etici e condizioni d’uso”. Cos’è accaduto? Si è scoperto che, al momento, in Italia sette persone sono state spiate con l’ausilio dello spyware Graphite, prodotto dalla Paragon Solutions, e tra queste ci sono un giornalista e un operatore umanitario. Perché uno strumento in uso ad organi statali intercettava questi soggetti? Quali altre “figure da Trinchetto” dobbiamo aspettarci da questo Governo sulla questione? Soprattutto, quanto tempo occorrerà per avere un minimo di chiarezza anche su questa vicenda?
Questo Governo si vanta, ad ogni pie’ sospinto, di aver fatto crescere la credibilità e l’affidabilità dell’Italia nel mondo. Anche alla luce del quadretto poco edificante che emerge dal volume di Giacomo Salvini “Fratelli di chat” (ed. Paper First, pp. 336, € 17), il predetto vanto appare più una millanteria alla capitan Trinchetto che altro.
Ricordando che negli spot del buon Trinchetto una voce fuori campo invitava il marinaio spaccone a ridimensionare le sue storie, quale “voce” odierna si può individuare che ridimensioni le “sparate” degli odierni capitan Trinchetto? Viene spontaneo pensare alla voce del Presidente Mattarella e alla sua garbata opera di moral suasion, di cui ha dato prova anche recentemente in occasione della Cerimonia di consegna dell’onorificenza accademica di Dottore honoris causa dall’Università di Aix-Marseille; in quella circostanza il Presidente ha ricordato tra l’altro: «si riaffaccia, tuttavia, con forza … il concetto di “sfere di influenza”, all’origine dei mali del XX secolo e che la mia generazione ha combattuto. Tema cui si affianca quello di figure di neo-feudatari del Terzo millennio – novelli corsari a cui attribuire patenti – che aspirano a vedersi affidare signorie nella dimensione pubblica, per gestire parti dei beni comuni rappresentati dal cyberspazio nonché dallo spazio extra-atmosferico, quasi usurpatori delle sovranità democratiche. … Regole e strumenti ci sarebbero per affrontare questa fase e allora perché il sistema multilaterale sembra non riuscirci, con il rischio del ripetersi di quanto accaduto negli anni Trenta del secolo scorso: sfiducia nella democrazia, riemergere di unilateralismo e nazionalismi? Oggi come allora si allarga il campo di quanti, ritenendo superflue se non dannose per i propri interessi le organizzazioni internazionali, pensano di abbandonarle. Interessi di chi? Dei cittadini? Dei popoli del mondo? Non risulta che sia così. Le conseguenze di queste scelte, la storia ci insegna, sono purtroppo già scritte. È il momento di agire: ricordando le lezioni della storia e avendo a mente il fatto che l’ordine internazionale non è statico. È un’entità dinamica, che deve sapersi adattare ai cambiamenti, senza cedimenti su principi, valori e diritti che i popoli hanno conquistato e affermato. … la pace non è un dono gratuito della storia … statisti e popoli, per conseguirla, devono dispiegarvi il loro impegno. Basti pensare alla vera e propria batteria di accordi e trattati internazionali che, nei decenni, l’hanno corroborata. Cosa rimane di tutto ciò? Passo dopo passo, i principali protagonisti hanno, dapprima, iniziato a violarli e, poi, a denunciarli. Quale diventa, quindi, il prezzo della sicurezza? La minaccia dell’uso, se non la pratica, della violenza? Si tratta di interrogativi che riguardano, in primo luogo, proprio l’Unione Europea. L’Europa intende essere oggetto nella disputa internazionale, area in cui altri esercitino la loro influenza, o, invece, divenire soggetto di politica internazionale, nell’affermazione dei valori della propria civiltà? Può accettare di essere schiacciata tra oligarchie e autocrazie? Con, al massimo, la prospettiva di un “vassallaggio felice”. Bisogna scegliere: essere “protetti” oppure essere “protagonisti”? … L’Europa appare davanti a un bivio, divisa, come è, tra Stati più piccoli e Stati che non hanno ancora compreso di essere piccoli anch’essi, a fronte della nuova congiuntura mondiale. L’Unione Europea è uno degli esempi più concreti di integrazione regionale ed è, forse, il più avanzato progetto – ed esempio di successo – di pace e democrazia nella storia. Rappresenta senza dubbio una speranza di contrasto al ritorno dei conflitti provocati dai nazionalismi. Un modello di convivenza che, non a caso, ha suscitato emulazione in altri continenti, in Africa, in America Latina, in Asia. Costituisce un punto di riferimento nella vicenda internazionale, per un multilateralismo dinamico e costruttivo, con una proposta di valori e standard che abbandona concretamente la narrazione pretestuosa che vorrebbe i comportamenti dei “cattivisti” più concreti e fruttuosi rispetto a quelli dei cosiddetti “buonisti”. … Occorre che gli interlocutori internazionali sappiano di avere nell’Europa un saldo riferimento per politiche di pace e crescita comune. Una custode e una patrocinatrice dei diritti della persona, della democrazia, dello Stato di diritto. Chiunque pensi che questi valori siano sfidabili sappia che, sulla scia dei suoi precursori, l’Europa non tradirà libertà e democrazia. Le stesse alleanze si giustificano solo in base a – transeunti – convergenze di interessi e, dunque, per definizione, a geometria variabile, o riguardano anche valori? L’Europa, ricordava Simone Veil al Parlamento Europeo, nel 1979, è consapevole che “le isole di libertà sono circondate da regimi nei quali prevale la forza bruta. La nostra Europa è una di queste isole”. Restare arroccati su quest’isola non è la risposta: abbiamo bisogno di un ordine internazionale stabile e maturo per reagire all’entropia e al disordine causate dalle politiche di potenza, e per affrontare le grandi sfide transnazionali del nostro tempo. … Abbiamo dimostrato di saper agire con efficacia nelle crisi, come durante la pandemia, e di saperci opporre con unità di intenti alle inaccettabili violazioni del diritto dei popoli, come nel caso dell’aggressione russa all’Ucraina. … L’Unione Europea – e in essa Francia e Italia – deve porsi alla guida di un movimento che nel rivendicare i principi fondanti del nostro ordine internazionale sappia rinnovarlo, attenta alle istanze di quanti dall’attuale costruzione si sentano emarginati. Una strada che non è quella dell’abbandono degli organismi internazionali né quella del ripudio dei principi e delle norme che ci governano ma di una profonda e condivisa riforma del sistema multilaterale, più inclusiva ed egualitaria rispetto a quanto furono capaci di fare le potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale, cui va, tuttavia, riconosciuto il grande merito di mettere insieme vincitori e vinti per un mondo nuovo. Servono idee nuove e non l’applicazione di vecchi modelli a nuovi interessi di pochi. …».
Che i vari capitan Trinchetto oggi all’opera imparino qualcosa da questa voce “fuori campo”!