La storia dell’umanità è piena di esistenze scialbe che sembrano consumarsi, monotone e inutili, fino al momento della morte. La tendenza umana al controllo, al votarsi alla coerenza a prescindere, spinge inevitabilmente a non sperimentare quasi mai il nuovo. Bisognerebbe essere pronti a mettersi in discussione, non avere paura delle proprie contraddizioni. Purtroppo, in tantissimi si lasciano imprigionare dalle abitudini ripetendo ossessivamente la routine quotidiana in un tragico loop infinito. La splendida ode alla vita della scrittrice brasiliana Martha Medeiros “lentamente muore” ci manifesta come sia destinato alla lenta morte dell’anima chi non si lascia travolgere dalle novità, dalle passioni, dall’amore. Naturalmente deviare dai binari della consuetudine può avere delle ripercussioni, a volte tragiche, sull’esperienza: le cosiddette “Conseguenze dell’amore”, magistralmente illustrate nel film omonimo del premio Oscar Paolo Sorrentino.
Tra coloro che hanno vissuto intensamente, affrontando un radicale cambiamento e lasciandosi travolgere dall’arte e dalla passione, raccontiamo del poco noto pittore secentesco Francesco Guarino. Come apprendiamo dello storico Bernardo De Dominici, nel suo prezioso ed enciclopedico Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, Francesconacque a Solofra intorno al 1611 e si formò artisticamente a Napoli; fu uno dei più talentuosi allievi di Massimo Stanzione, portando nella sua pittura un raffinato equilibrio tra classicismo e naturalismo. Il pittore fu molto apprezzato dai suoi contemporanei, soprattutto da quelli appartenenti agli ordini ecclesiastici, per il linguaggio pittorico limpido e devoto, aderente perfettamente ai dettami della Controriforma cattolica, che imponeva agli artisti di trasmettere, attraverso le loro opere, messaggi edificanti e spiritualmente elevati. Per la sua rettitudine morale e la fervida devozione, il giovane artista fu elevato al grado di abate laico, potendo godere di tutti i privilegi (legali e fiscali) riservati agli appartenenti al clero, pur rimanendo nel mondo secolare, obbligato al solo voto del celibato. Questa sua fama d’irreprensibilità non disgiunta dalla valenza artistica gli valse l’ammirazione del munifico duca di Gravina, Francesco III Orsini (padre del futuro papa Benedetto XIII), che gli volle commissionare la decorazione del palazzo avito, nonché varie pitture per il duomo e per la chiesa di famiglia, Santa Maria del Suffragio in Gravina di Puglia. Divenuto ricco grazie alla sua arte, Francesco Guarino forse immaginava per sé un futuro tranquillo fatto di arte e preghiera ma, come recita un vecchio midrash ebraico: “quando l’uomo fa progetti, Dio ride”.
La passione può essere una forza creatrice, capace di elevare lo spirito e accendere il genio, ma anche una condanna, un vortice che consuma fino all’annientamento. È questo il destino che travolse Francesco Guarino, la cui arte e vita furono stravolte da un amore tanto intenso quanto fatale.
Il pittore si innamorò perdutamente di una donna sposata, la moglie di un artigiano. Quando la donna parlò al marito di questo nobile artista invaghito di lei, l’uomo, invece di infuriarsi, vide nell’attrazione del pittore un’opportunità di guadagno. Spinse la moglie a concedersi a Guarino in cambio di vantaggi economici, ponendo come unica condizione che la relazione restasse segreta. Inizialmente la donna si diede a lui per lucro, ma col tempo fu travolta anch’essa dalla passione, ricambiando quel sentimento che aveva acceso il cuore dell’artista. Fu allora che la pittura di Guarino cambiò radicalmente. La passione lo trasformò, infondendo nei suoi dipinti un’energia nuova, sensuale, barocca, lontana dalla compostezza controriformista degli esordi. Un esempio straordinario di questa metamorfosi è la sua Sant’Agata, conservata al Museo di Capodimonte a Napoli. Qui la santa non è più solo un’icona di martirio, ma una figura profondamente umana, vibrante di emozione. Il gesto con cui si copre il seno reciso è al tempo stesso pudico e intensamente carnale, carico di una sensualità che esprime il legame tra corpo e anima, tra sofferenza e desiderio. La luce e il chiaroscuro caravaggesco accentuano questa tensione, rendendo il dipinto un capolavoro di pathos e bellezza.
Ma la felicità degli amanti durò poco. L’artigiano, resosi conto che la moglie non era più solo un mezzo per arricchirsi ma si era realmente innamorata di Guarino, si lasciò divorare dalla gelosia e dall’odio. Accecato dal rancore, la uccise con un pugnale e poi si rifugiò nella chiesa del paese per sfuggire alla giustizia. Per Guarino fu la fine. Perduto il suo amore, perse anche la voglia di vivere. Nemmeno la vendetta che il duca, suo protettore, orchestrò per lui — facendo assassinare l’artigiano con uno stratagemma — riuscì a restituirgli la forza di andare avanti. Il pittore era già un uomo finito, l’anima aveva abbandonato il suo corpo molto prima della morte. Si tentò di tutto per salvarlo: messe, preghiere, persino esorcismi, ma nulla poté riportarlo alla vita. Morì pochi giorni dopo, a soli 39 anni, consumato dal dolore. Il duca, che lo aveva sempre stimato, gli rese onoranze solenni, facendolo seppellire nella propria cappella di famiglia, nella Chiesa di Santa Maria del Suffragio. Qui, pochi mesi prima, Guarino aveva dipinto la pala d’altare, raffigurandosi tra le anime purganti che implorano pietà dalla Vergine. Il volto della Madonna, come un ultimo tributo d’amore, aveva i tratti della donna che aveva amato fino alla fine.