Lasciatasi alle spalle Elìm, Mosè si addentra in uno dei luoghi più desolati della Terra, il deserto del Sin, e si dirige verso la zona del Sinai. Il viaggio prosegue tra le imponenti scarpate del Jebel Serbal e del Jebel Tarfa, per poi scendere verso il passo del Watia, dove ancora oggi sorge una roccia che i beduini chiamano Hesi el-Khattatin, la sorgente nascosta di Mosè e Aaronne.
Raggiunta una delle zone più vaste del Sinai, gli Israeliti fanno sosta nell’oasi di Refidim (oggi Wadi Feiran o El Hesweh). È qui che, secondo il libro biblico dell’Esodo, Mosè colpì una roccia facendone sgorgare, miracolosamente, acqua. L’oasi del Wadi Feiran è riportata in antiche iscrizioni dove sono descritti passaggi di carovane già nell’VIII e nel VII secolo a.C., testimonianze che ne dimostrano una fama risalente a migliaia di anni prima e che, molto probabilmente, avevano ispirato l’autore del libro dell’Esodo.
L’imponente orda di uomini e animali che prese possesso dell’oasi e dei suoi preziosissimi pozzi d’acqua non poteva, però, passare inosservata. Le tribù circostanti, infatti, preoccupate, presto misero mano alle armi per difendere quello che per loro era fonte di sostentamento. La Bibbia identifica queste tribù con gli “Amaleciti”, anche se, in effetti, i discendenti di Amalek, nipote di Esaù, non risiedevano in quel luogo, ma nel Negev meridionale o nei pressi di Qadesh-Barnea, molto più a nord.
La minaccia degli “Amaleciti” costrinse Mosè a istituire una milizia israelita con a capo un uomo di nome Giosuè. Per seguire gli eventi Mosè ed Aaronne salirono su un colle, lì vicino, e notarono un fatto abbastanza misterioso, in quanto videro che quando Mosè alzava le braccia verso il cielo, Israele prevaleva, mentre, se le abbassava, a prevalere erano i nemici. Aaronne, perciò, insieme ad un uomo di nome Cur si organizzò nel tenere in alto le braccia di Mosè fino alla completa sconfitta dell’esercito degli Amaleciti.
La clamorosa vittoria degli Israeliti giunse alle orecchie del sacerdote Ietro, il quale prese con sé la moglie di Mosè, Zippora, e i loro due figli, Gherson ed Eliezer, e decise di raggiungere l’accampamento di Refidim per incontrare Mosè. L’incontro fu emozionante e, nei giorni che seguirono, Ietro consigliò a Mosè che, visti gli eventi, e immaginando quello che da lì a poco avrebbe dovuto affrontare, era forse venuto il tempo affinché creasse una vera e propria organizzazione regolata da leggi e ordini gerarchici. Mosè comprese quanta saggezza celasse il consiglio di Ietro e lo attuò immediatamente.
Dopo qualche giorno, gli Israeliti ripresero il viaggio e cinque giorni dopo raggiunsero un luogo chiamato monte Sinai (conosciuto anche come monte Horeb). La tradizione lo identifica ancora oggi con Jebel Musa, un impervio massiccio alto circa 2300 metri, circondato a sua volta da vette ancora più alte, tra cui Jebel Katerin (monte Caterina), alto 2636 metri, e Jebel Umm Shomar, 2570 metri.
Mosè salì in cima al monte Sinai e lì “incontrò” YHWH con il quale sancì l’antico patto di alleanza che Dio a suo tempo aveva fatto con Abramo, Isacco e Giacobbe: se gli Ebrei fossero rimasti fedeli al loro Dio e avessero osservato le Sue leggi, YHWH sarebbe rimasto nella loro terra e li avrebbe protetti. Tutta l’ultima parte del libro dell’Esodo, nonché i libri che seguono – Levitico, Numeri e Deuteronomio – che insieme al primo libro della Bibbia, Genesi, compongono il Pentateuco, descrivono in maniera minuziosa queste leggi, comprese quelle che regolamentavano nei minimi particolari i riti dedicati al culto di YHWH.
Altri codici giuridici, comunque, erano ben conosciuti nell’Età del Bronzo. Il Codice di Hammurabi, ad esempio, (che abbiamo già incontrato nel corso di questo nostro cammino, nell’ottava parte del racconto, dedicato a Sodoma e Gomorra), con le sue 282 disposizioni, rappresenta uno dei più antichi documenti scritti, anteriore alla Legge mosaica di almeno cinquecento anni.
Il periodo durante il quale Mosè veniva istruito dal Signore sul Sinai, però, cominciava a dilungarsi troppo. Gli Israeliti, stremati, avevano bisogno di un supporto visibile per trovare il coraggio di proseguire l’impresa che si erano proposti di compiere. Impazienti, nell’attesa di veder ritornare Mosè, chiedono ad Aaronne di realizzare un idolo dinanzi al quale potersi inchinarsi e adorare, precisamente un vitello d’oro. Aaronne cedette alla pressione del popolo, raccolse tutto l’oro disponibile, lo fuse e creò l’idolo richiesto. Il popolo si riunì intorno ad esso, organizzò un enorme banchetto e prese a festeggiare felice.
Perché la scelta di usare un idolo cadde proprio sul realizzare un vitello? Il vitello, o il toro, erano a quel tempo simboli di forza e virilità molto comuni, associati alla divinità cananea El, elementi di una idolatria di cui si trova riscontro anche in periodi successivi, all’epoca della monarchia divisa. Nel Regno del Nord d’Israele, ad esempio, re Geroboamo ordina che siano posti due vitelli d’oro nei santuari di Betel e Dan dedicati a YHWH. Diversi studiosi, infatti, ritengono che l’intenzione degli Israeliti non sarebbe stata quella di rimpiazzare Dio con il vitello d’oro, ma che questo, realizzato attingendo ai modelli cananei, avrebbe avuto la funzione di renderlo più concreto dinanzi ai loro occhi.
Questo, comunque, non impedì a Mosè, sceso dal Sinai, di infuriarsi alla vista dell’idolo, di scagliare, dalla rabbia, a terra le tavole della Legge e condannare a morte tremila uomini. Qualche giorno dopo, riprese la scalata sul Sinai, per fare scrivere nuovamente la Legge su altre tavole di pietra.
Trascorso qualche tempo, il viaggio riprese. Gli Israeliti attraversarono prima un centro minerario egizio, Ezion-Geber, l’odierna Eilar, poi l’oasi di Hazeroth, per raggiungere in seguito quella di Qadesh-Barnea, alle porte di Canaan: la Terra Promessa, finalmente!
Il popolo, ormai stremato dopo quarant’anni di viaggio nel deserto, aveva finalmente raggiunto la tanto sospirata meta. Ma le sfide non erano ancora finite. Canaan era occupata da altri popoli e, quindi, bisognava conquistarla. Per fare questo era necessario che venisse creato un vero e proprio esercito ben armato ed addestrato, solo allora sarebbero stati in grado di combattere per la conquista di una terra che consideravano, di diritto, propria.