Riflettere, altra versione del verbo pensare, sembra essere una caratteristica peculiare del genere umano. Riflettere, argomentare, porsi domande è una caratteristica che ci distingue dalle altre creature viventi, nelle quali per lo più ciò che domina è l’istinto. È grazie alla riflessione cui menti eccezionali hanno dedicato la loro intera esistenza, che oggi disponiamo di uno sterminato bagaglio di opere filosofiche su quasi ogni aspetto della vita umana, e questo perché, anche se oggi ci serviamo di strumenti sofisticati per renderci la vita più piacevole e meno faticosa, la natura umana non è cambiata di una virgola, animata com’è dagli stessi istinti primordiali che milioni di anni fa la fecero scendere dagli alberi. Ecco perché la filosofia (amore per la conoscenza) e la riflessione costituiscono ancor oggi, per chi cerca risposte ai tanti perché che ci assillano, uno strumento indispensabile per aiutarci a capire il senso della vita, lo scopo della nostra esistenza e decine di altri argomenti di somma importanza, che tanto impatto hanno esercitato sulle vite degli uomini.
Per esempio: Perché credere o non credere in un dio? Perché le guerre, perché forme politiche così lontane l’una dall’altra, cos’è la morale? Sono uomini come Platone, Aristotele, Seneca, Kant, Spinoza, Plutarco, Croce, Hobbes, Stuart Mill, Hume e tanti, tanti altri, ai quali dobbiamo il riconoscimento del valore di pensieri e riflessioni vecchi di migliaia di anni, ma ancora attualissimi. Siamo quindi debitori agli uomini di allora (molti) e a quelli di oggi (pochi), perché con le loro riflessioni hanno aiutato noi a farci strada nel ginepraio della vita. Ed è comprensibile che sia così, perché è da decine di migliaia di anni che i primati, poi evolutisi nell’uomo moderno, si tormentano con le stesse domande: cosa accadde in principio; come venne all’esistenza tutto ciò che esiste e come tutto ciò avrà fine; se dio esiste, chi ha creato dio? Questa domanda mi fa venire in mente un brano di Perché non sono cristiano, di Bertrand Russell che, a diciotto anni, leggendo l’autobiografia di John Stuart Mill, trovò questa frase: «Mio padre mi insegnò che la domanda: “chi mi ha creato?” non può avere risposta, perché suggerisce immediatamente un nuovo interrogativo: “Chi ha creato Dio?”».
Al secondo posto per importanza nella riflessione politico/filosofica possiamo certamente collocare l’arte del governare, la politica, in quanto è da essa — oggi più che dalla religione — che dipendono le sorti degli uomini, ed è la politica l’elemento centrale della riflessione e del dibattito attuali, che così tanto impatto hanno sulla vita di tutti noi. Per quanto riguarda il sacro, invece, il trascorrere del tempo ed il crescere delle conoscenze lo hanno declassato ad una posizione inferiore, quasi marginale, se si eccettua il fanatismo religioso degli estremisti mediorientali (e di qualche setta occidentale), ma sul quale sorvoliamo perché è al nostro mondo, l’Occidente, che ci stiamo principalmente rivolgendo.
Se vogliamo essere pragmatici, penso che potremmo affermare senza esitazione che la domanda se un dio esiste oppure no, non sposta di un ette la qualità della vita di tutti noi sulla Terra. Il dibattito eterno fra teisti e deisti è ormai una sterile e noiosa diatriba da parte di chi non è disposto a riconoscere che tutto ciò che è elaborazione della mente umana, fantasticherie di fanatici religiosi, esegeti, ermeneuti, “profeti”, “salvatori”, poggia semplicemente su neuroni e sinapsi, che hanno dato vita a realtà inesistenti, così come inesistente, nel senso di non tangibile, è il pensiero. Ciò non toglie, ovviamente, che chiunque dovrebbe essere lasciato libero di pensare come a lui più piace, a meno che tale pensiero non si trasformi in un dominio coercitivo sui più deboli o imposizione sui più indifesi, situazioni che, tristemente, hanno caratterizzato lo sviluppo dei sistemi religiosi dagli Aztechi a tutte le religioni cristiane medioevali. Se la religione, o il sacro, hanno avuto una così forte influenza nello sviluppo del pensiero umano è principalmente dovuto al fatto che i “Grandi Iniziati” hanno fatto leva sulla loro superiorità intellettuale per costringere masse di esseri umani, incolti e fragili, ad aver timore di divinità che si esprimevano attraverso lo spauracchio di pene atroci per chi non si conformava a determinate credenze. Basti pensare, per non andare troppo lontano, alla figura del Diavolo, essere inesistente, se non nella teologia dei “padri” e nelle Sacre Scritture, ma che così tanta influenza ha avuto nel tenere in soggezione i popoli. Popoli che quasi sempre non hanno mai avuto voce in capitolo nel determinare se credere o no, o in cosa credere. Ed ecco perché non perdono nulla del loro valore le parole con le quali sempre Russell, in Dio e la religione, si espresse: «La religione è un insieme di credenze spacciate per dogmi che dominano la condotta di vita, che va oltre o contro ogni evidenza, e inculcata con metodi commoventi o autoritari, ma comunque irrazionali». Ed è sempre nello stesso volume che il grande filosofo inglese scrisse: «Credo che la religione si fondi soprattutto sulla paura. In parte è terrore dell’ignoto, e in parte, come ho già detto, è il desiderio di sentirsi protetti da una specie di fratello maggiore che rimane a fianco di ognuno in qualunque dubbio o problema. La paura è alla base di tutto — paura del mistero, della sconfitta, della morte. La paura genera crudeltà, e quindi non bisogna stupirsi del fatto che la crudeltà e la religione abbiano camminato mano nella mano. Ciò è accaduto perché la paura è alla base di entrambe le cose».
Altro grave vulnus della religione sono le sue contraddizioni che ne dimostrano chiaramente l’origine puramente umana. Per esempio, in chi legge il libro sacro dei cristiani, la Bibbia, susciterà certamente sgomento il rendersi conto che in essa sono presenti due divinità: una è quella delle Scritture Ebraiche, che ci presenta un dio assetato di sangue, che incita i suoi a sterminare interi popoli, ad impossessarsi delle loro terre, un dio della vendetta, del terrore, un dio severo, che non perdona: l’altra è quella del Nuovo Testamento nel quale egli è presentato all’opposto, in particolare a motivo della descrizione che Gesù fa di lui, presentandolo con caratteristiche del tutto contrarie a quelle che gli erano attribuite in Scritture altrettanto sacre. Per esempio quella della bontà infinita. Ed è su questa spinosa contraddizione che sono state pronunciate le famose parole: «Dov’era Dio ad Auschwitz?». E che spinse uno dei milioni di prigionieri in quell’orrendo campo a incidere sul muro della sua prigione la frase: «Se Dio esiste, dovrà chiedermi scusa». Scuse insufficienti, certamente, se si riflette su una frase attribuita allo stesso dio da Isaia (45:7): «Io sono colui che ha formato la luce e ha creato le tenebre, che ha fatto la pace e che ha creato il male. Io sono il Signore che fa tutte queste cose».
Ma non è soltanto in questa contraddizione che si riscontra la disistima che molti nutrono nella “sacralità” della Bibbia. Per esempio, i fallimenti di molte delle “profezie” attribuite al Figlio di Dio che, proprio per questo, non avrebbe mai dovuto sbagliarsi. Eppure è così. Per esempio, egli era certo che la sua seconda venuta nella gloria celeste si sarebbe compiuta prima della morte dei contemporanei, di lì a pochi anni. Infatti Gesù dice agli apostoli: «Voi non avrete visitato le città d’Israele prima che il Figliolo dell’Uomo non sia venuto». E poi: «Ci sono qui alcuni presenti che non gusteranno la morte, fino a che non abbiano veduto il Figlio dell’Uomo venire nel suo regno». Che da venti secoli ci siano ancora moltitudini di persone che attendono con ansia la realizzazione di questa promessa, il cui primo deluso fu proprio Gesù, sta a dimostrare la mancanza di razionalità di ogni forma di fede, che è disposta a credere, per così dire, “a oltranza”, e questo per la paura di vedersi crollare il mondo addosso nel momento in cui dovessero realizzare oltre ogni dubbio di aver riposto fede in una fola. Il Cristianesimo nacque proprio in base a questa mancata realizzazione. Una volta resisi conto che ciò che attendevano non si sarebbe realizzato, le prime comunità cristiane si organizzarono per sopravvivere e così nacque la Chiesa, che è tutto l’opposto dell’insegnamento di Gesù. Un insegnamento che non sempre coincideva con quanto ci è stato insegnato su di lui. Egli, per esempio, credeva nell’inferno quando disse: «Serpenti, progenie di vipere, come sfuggirete al castigo dell’inferno?» Oppure: «Chi pecca contro lo Spirito Santo non sarà perdonato né in questo mondo, né in quello futuro». E: «Il Figlio dell’Uomo invierà i suoi angeli, ed essi raduneranno tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente. Ivi sarà pianto e stridor di denti… Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno». Parole che somigliano molto di più a ciò che accadde ad Auschwitz che a ciò che ci attenderemmo dal “Padre di ogni opera buona”. Ci sono, poi, le incoerenze del comportamento di Gesù in alcune circostanze, come nell’episodio dei maiali di Gerasa: i demoni furono costretti ad entrare nel corpo dei maiali, che poi precipitarono nel mare. Perché non cacciare semplicemente i demoni invece di far morire degli animali innocenti? O anche l’episodio di cui è scritto: «Ebbe fame; e vedendo di lontano un fico fronzuto, andò a vedere se vi fosse anche frutto; ma essendosi avvicinato, non vi trovò che foglie; perché non era la stagione dei fichi. E Gesù prese a dire al fico: “Nessuno mangi più del tuo frutto”. Il fico poi seccò e l’episodio lascia sconcertati: che colpa aveva l’albero se non era la stagione dei suoi frutti?
Desideriamo chiudere citando ancora una volta Bertrand Russell: «Ricordiamo tutti il periodo dell’Inquisizione: tante povere donne bruciate perché considerate streghe, e mille altre torture inflitte in nome della religione. In ogni tempo si è manifestata una ferma opposizione da parte delle Chiese contro ogni forma di progresso in campo morale e umanitario. Dalla riforma delle leggi penali ai tentativi di evitare le guerre; dal miglior trattamento delle razze di colore all’abolizione della schiavitù. Il cristianesimo, così com’è organizzato, è stato ed è tuttora il più grande nemico del progresso morale nel mondo». Abbiamo di che riflettere. Spero.