Lo avevamo accennato nel nostro ultimo articolo che sarebbe stato ineludibile parlare ancora di guerra, e i fatti, purtroppo, ci danno ragione. Uno d’essi è una recente dichiarazione del ministro della difesa di uno degli stati più importanti d’Europa, la Germania. Ci riferiamo a Boris Pistorius il quale ha fatto sapere che: “La guerra in Ucraina non è più un conflitto regionale, ha raggiunto una dimensione internazionale”. “È, questo, un chiaro segnale che l’Europa e l’intero Occidente si stanno preparando ad un salto di qualità nello scontro con la Russia. Il lancio del missile ipersonico — la scorsa settimana — da parte di Mosca è stato infatti un campanello d’allarme per tutti i sostenitori di Kiev. Al punto che lo stesso governo di Berlino sta preparando una sorta di «guida» per i suoi concittadini in cui si stila l’elenco dei bunker in cui rifugiarsi — al momento sono cinquecento — e il cui numero aumenterà … Certo, non un messaggio tranquillizzante. Anche perché nello stesso tempo esecutivi europei e Nato si stanno organizzando per affrontare la Russia sul terreno. La Francia e la Gran Bretagna, secondo il quotidiano di Parigi Le Monde, stanno valutando l’invio congiunto di soldati in Ucraina” (Claudio Tito, la Repubblica).
Che gli abitanti della vecchia Europa debbano prepararsi a sentire ancora una volta, dopo quasi ottant’anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, l’urlo lacerante delle sirene antiaeree per correre a ripararsi nei rifugi (questa volta antiatomici) è qualcosa che nemmeno la fantasia più sfrenata del più folle degli scrittori di fantascienza avrebbe potuto solo anche lontanamente immaginare. Eppure persone di alto rango ci dicono che potremmo ben presto imitare gli abitanti del Libano, di Gaza, di Tel Aviv e di tutte quelle zone del mondo dove la pace, o per lo meno la cessazione delle ostilità armate, è per il momento, e da molti anni, una chimera irraggiungibile. Ma l’Europa? Sono forse impazziti improvvisamente i ministri francesi, inglesi, tedeschi, che presentano uno scenario del genere come probabile? No, non sono né impazziti né visionari, ma soltanto pragmatici. Conoscono molto meglio di noi Putin e la sua storia, e probabilmente avranno letto e valutato sia La Russia di Putin, di Anna Politkovskaja, Le guerre di Putin, di Giorgio dell’Arti che Il conflitto Russo-Ucraino, di Eugenio di Rienzo, insieme ai molti altri libri, saggi, articoli che da anni ci parlano diffusamente ciò che è accaduto in quel grande paese dopo la dissoluzione dell’impero sovietico che lo ha quasi, per così dire “evirato”, privandolo della grandezza imperiale a cui si era ormai abituato, ma che gli è venuta a mancare e che ancora non riesce a riconquistare, tarpando così le ali ai suoi sogni di gloria e di grandezza che vedono l’Occidente, la Nato, l’Onu, l’Unione Europea come degli ostacoli posti sul suo cammino imperialista che egli deve spazzar via ad ogni costo.
Comprendere che non siamo di fronte ad un qualunque Kim Jong-Un, o ai folli terroristi di Hamas, ma a qualcosa di infinitamente peggio, ci aiuta a capirlo la Politkovskaja che nel post scriptum del suo libro, ci dice: “La Russia è un paese stabile, come no. Ma di una stabilità mostruosa nella quale nessuno chiede giustizia ai tribunali di un asservimento e di una faziosità lampanti. Chiunque abbia un po’ di cervello, non cerca protezione presso le istituzioni intese a far rispettare la legge e a mantenere l’ordine, perché sa che sono corrotte fino al midollo. Il linciaggio è all’ordine del giorno, nelle azioni e nella coscienza della gente. Occhio per occhio, dente per dente. Putin stesso ha dato l’esempio smantellando la nostra maggiore società petrolifera, la Iukos, e mandando in galera il suo presidente … Siamo solo un mezzo per lui. Un mezzo per raggiungere il potere personale. Per questo dispone di noi come vuole. Può giocare con noi, se ne ha voglia. Può distruggerci, se lo desidera. Noi non siamo niente. Lui, finito dov’è per puro caso, è il dio e il re che dobbiamo temere e venerare. La Russia ha già avuto governanti di questa risma, ed è finita in tragedia. In un bagno di sangue. In guerre civili. Io non voglio che accada di nuovo. Per questo ce l’ho con un tipico čekista sovietico che ascende al trono di Russia incedendo tronfio sul tappeto rosso del Kremlino”.
La risposta di Putin a questo ritratto inglorioso di una famosa giornalista internazionale non si fece attendere. Anna aveva 48 anni quando il 7 ottobre 2006 tornando a casa, dopo aver fatto la spesa, venne uccisa a colpi di pistola nell’ascensore del condominio, dove abitava nel centro di Mosca. La notizia della sua uccisione fece il giro del mondo e la coincidenza dell’assassinio con il giorno del compleanno del presidente Vladimir Putin, di cui era fortemente critica per i suoi metodi autoritari, fece subito pensare che i mandanti fossero vicini ai vertici dello Stato. Sulle sue orme, coraggiosamente, si incamminò anche Aleksej Anatol’evič Naval’nyj, che è stato un attivista, politico e blogger russo. È stato fra i più noti oppositori del presidente della Russia e, come c’era da attendersi, ha fatto la stessa fine della sua collega. È morto infatti il 16 febbraio 2024 nelle carceri siberiane di Putin.
Ecco, questo è lo stato dell’arte del mondo in questo momento. E non è certamente la condizione maggiormente desiderabile, quando il clangore delle armi giunge fino alle nostre orecchie e la condizione della “pace” sembra allontanarsi ogni giorno di più. La pace, quindi, è un obiettivo irraggiungibile, dato che l’intera storia umana ne ha dimostrato fino ad oggi l’impossibilità se non per brevi periodi, periodi di preparazione, possiamo ben dire, alla guerra successiva? Sembra proprio che allo stato delle cose nessuno abbia la risposta al quesito se potremo mai avere un tempo in cui la pace sarà duratura, “perpetua” per citare Kant. E allora, ancora una volta, ci affidiamo alle riflessioni di Norberto Bobbio, che ha dedicato la sua intera vita di studioso ad approfondire l’argomento. Nel suo Il problema della guerra e le vie della pace (Il Mulino 1979), egli così conclude la sua riflessione sull’idea della pace e il pacifismo: “Riassumendo: non vi sarà vera pace se non quando i popoli si saranno impadroniti del potere statale (pacifismo illuministico); non vi sarà vera pace se non quando l’organizzazione militare della società nel suo complesso non sarà venuta meno di fronte all’avanzata dell’industrialismo (pacifismo positivistico); non vi sarà vera pace se non quando la società socialista non avrà sostituito la società dominata da gruppi dominanti minoritari, che non possono conservare il potere se non esercitando la violenza fuori e dentro i confini dello stato, con una nuova forma di società (pacifismo socialista). Questi tre tipi di pacifismo si dispongono a tre diversi livelli di profondità: sul livello dell’organizzazione politica il primo, della società civile il secondo, del modo di produzione (il terzo). Ciò che hanno in comune è di considerare la pace come il risultato inevitabile del processo storico, e di considerare questo processo come progresso perché in esso è iscritta come risultato necessario la transizione a una società in cui regnerà, se pure per ragioni diverse, la pace perpetua, o in cui, più precisamente, si verrà sviluppando una forma di convivenza così diversa da quella che ha caratterizzato la storia umana sino ad oggi da rendere sempre più improbabile la guerra come mezzo per risolvere i conflitti (concezione illuministica), oppure sempre più diffusi i conflitti che non hanno bisogno della guerra per essere risolti (concezione positivistica), oppure ancora sempre più rari gli stessi conflitti che oppongono gli uni agli altri gli individui e i gruppi nelle società divise in classi antagonistiche (concezione del marxismo evoluzionistico). In contrapposizione alla realtà storica di una società umana sempre bellicosa e conflittuale, queste tre filosofie della storia perseguono l’immagine di una società rispettivamente soltanto non bellicosa, oppure conflittualistica ma non bellicosa, oppure addirittura non conflittualistica”.
In estrema sintesi, la risposta del nostro filosofo è nota ed è netta: nessuna giustificazione tradizionale della guerra può resistere, e può essere quindi impiegata, di fronte alla possibilità di una guerra nucleare; guerra dopo la quale non rimarrebbe in vita alcuna società che potrebbe porsi la domanda se la guerra fosse stata giustificata o meno. Una cosa la storia e la filosofia della storia ci hanno insegnato, e cioè che nonostante il trascorrere dei millenni l’uomo non ha ancora trovato un modo incruento per risolvere i suoi conflitti, e probabilmente non lo troverà mai. Se si vuole la pace è necessaria la guerra, e questo ce lo spiega addirittura il libro sacro dei cristiani, dove nell’Apocalisse leggiamo che, per potere eliminare la malvagità dal mondo, sarebbe stato necessario uno sterminio per mano del dio della pace, il quale radunerà tutti i re della terra per la guerra del gran giorno di Dio, l’Onnipotente in un luogo chiamato Armaghedòn (Apocalisse 16:14-16). Quindi niente pace o conversione, ma GUERRA che, anche per dio è l’unico modo per risolvere i conflitti. E questo perché? La risposta, come sempre, sta nella natura umana, irrimediabilmente condannata ad essere quella che è. Scrive infatti Giacomo, uno dei “fratellastri” di Gesù: “Donde vengono le guerre e le liti tra di voi? Non forse dalle vostre passioni, che si combattono nelle vostre membra? Bramate e non avete; uccidete, siete invidiosi eppure non potete ottenere, combattete e guerreggiate … chiedete e non ricevete perché chiedete male, cioè per scialare dietro le vostre passioni” (Giacomo 4:1-3). E, d’altra parte, anche il suo fratello maggiore non aveva forse detto che: “Non crediate ch’io sia venuto a portare pace sulla terra; non la pace sono venuto a portare, ma la spada”. Alla luce di quanto precede, il punto interrogativo del titolo di questo articolo rimarrà tale per molto, molto tempo. Purtroppo!