Una delle diverse definizioni di questo sentimento può essere quella che lo indica come un “comportamento altruistico, volto ad aiutare chi ne ha più bisogno e ad adoperarsi per il bene degli altri”. Ed è, purtroppo, anche una delle manifestazioni alle quali l’animo umano è meno incline, ma che può invece determinare la qualità della vita in molte persone, perché essa va oltre il semplice atto di dare: è un profondo sentimento di vicinanza, condivisione e supporto verso chiunque sia in situazioni di bisogno, difficoltà o vulnerabilità, indipendentemente dalle differenze di etnia, religione o status sociale. Essa riveste così tanta importanza nella vita sociale e di relazione, che il grande studioso e uno degli autori della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, Stefano Rodotà, vi ha dedicato un saggio, intitolato per l’appunto “Solidarietà. Un’utopia necessaria”, secondo il quale parlare di solidarietà significa infatti interrogarsi anche sul futuro della democrazia, sulla spaventosa crescita delle diseguaglianze, sul progressivo azzeramento del diritto di avere diritti, sulla deriva della xenofobia, sul pericolo di localismi e di nazionalismi. Rodotà, nel suo libro, ci ricorda come la vera solidarietà non sta nell’amore del prossimo e del conosciuto, ma dello straniero e dello sconosciuto.
Il professor Rodotà non era certamente un uomo di chiesa o di fede, basta leggere il suo Perché laico, per rendersene conto, insieme al profondo rispetto che egli nutriva per chi professa una fede sincera. Ciò nonostante, nel concetto di solidarietà che lui esprime non possiamo non ritrovare un principio che, sebbene espresso da un galileo di venti secoli fa, esercita ancor oggi tutta la sua carica emotiva. È a lui attribuita, infatti, una notissima espressione: “Come volete che gli altri facciano a voi, così fate loro” (Luca 6:31). Ma, molto più nota di questa espressione evangelica è un’altra, quella che, attribuita al rabbino Hillel, predecessore di mezzo secolo di Gesù, la coniò in senso negativo, che è quello più congeniale alla natura umana, in quanto non richiede nessuno sforzo, se non quello di non far niente, anche nei confronti di chi è in condizione di difficoltà. Secondo Hillel la cosiddetta “regola d’oro” era utilizzata per esprimere il sunto dell’ebraismo (Shabbat 31a): «non fare agli altri quello che non vuoi che essi facciano a te». È molto più facile vivere seguendo questa regola che, in fondo, consente di rimanere inerti e indifferenti, piuttosto che l’altra, che esige, per così dire, che “ci si rimbocchi le maniche”. Solidarietà richiede azione, l’indifferenza, invece, è inerzia, apatia.
Che la solidarietà o il solidarismo rivestano un’importanza primaria non soltanto nella vita dei singoli individui, ma anche in quella delle nazioni, è espresso magistralmente nella nostra Costituzione, l’articolo 2 della quale così recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Alla luce di queste illuminate parole e di ciò che sta loro dietro, non possiamo non chiederci, dato che l’Europa è — almeno formalmente — cristiana, a quale libro sacro fanno riferimento i suoi epigoni e, in particolare, facciamo riferimento a uno d’essi, Matteo Salvini, noto cattolico, madonnaro, esibitore di croci, crocifissi e rosari. È universalmente noto, infatti, quale sia la sua posizione nei confronti dei profughi, degli esuli, dei malnutriti, degli affamati, delle masse di gente che come bisogno primario hanno quello della solidarietà. Forse al nostro “Cazzaro verde” farebbe bene rileggere (sempre nell’ipotesi improbabile che lo abbia mai letto) il notissimo episodio evangelico nel quale si parla del samaritano. I samaritani e i giudei erano nemici, o comunque in non buoni rapporti, eppure nell’episodio evangelico, un samaritano soccorse un giudeo ferito, facendo di tutto per aiutarlo e assisterlo anche dopo che egli se ne sarebbe andato. Ed è sempre al cattolico Salvini, al “cristiano rinato” e presbiteriano Trump, al cristiano ortodosso Putin e a tanti altri “capi” di nazioni formalmente cristiane, che chiediamo di dare più che una semplice occhiata alle parole del loro “Maestro”, che promise di premiare i suoi seguaci facendo loro ereditare il suo Regno, perché “ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, ero pellegrino e mi ospitaste, nudo e mi copriste, infermo e mi visitaste, in carcere e veniste a trovarmi”.
Chi sono, oggi, gli affamati, gli assetati, i pellegrini, gli infermi, se non le masse di uomini che da paesi poverissimi e inospitali fuggono cercando aiuto da parte di chi possiede molto più di loro? A questa domanda non è necessario dare una risposta che tutti già conosciamo, eppure a non conoscerla per niente, oppure a ignorarla pur conoscendola, sono persone che si spacciano per cristiane e non sanno o non vogliono ricordare che fu il loro stesso Maestro che concluse il suo racconto del premio ai “giusti” con le parole: “In verità vi dico: tutto quello che avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me”. (Matteo 25:35-40). La solidarietà, quindi, non è un termine vuoto di cui riempirsi la bocca, ma un modo d’agire, di comportarsi, di sentire dentro di sé, nel proprio cuore. In realtà, invece, gli uomini che abbiamo menzionato, insieme a innumerevoli altri, invece di occuparsi dei bisogni primari di questi “piccoli”, pensano a erigere muri invalicabili, a deportazioni in centri di detenzione, a criminalizzarli asserendo, come ha detto di recente Salvini, secondo il quale “Il 43% degli indagati per stupro nel 2023 in Italia sono stranieri”, per i quali il nostro vice premier chiede con forza la castrazione chimica. Intervento che, prima dell’inizio delle migrazioni dei disperati, non si era mai sognato di chiedere per gli stupratori nostrani.
Che la solidarietà rappresenti un elemento fondante del nostro vivere civile, a parte la fede religiosa dei nostri reggitori, e l’ampiezza della dimensione in cui muoversi, come spiega Rodotà: “è stata ben delineata dalla Corte Costituzionale in una sentenza che prendeva spunto da una questione riguardante il volontariato, considerato come «la più diretta realizzazione del principio di solidarietà sociale, per il quale la persona è chiamata ad agire non per calcolo utilitaristico o per imposizione di una autorità, ma per libera e spontanea espressione della profonda socialità che caratterizza la persona stessa. Si tratta di un principio che […] è posto dalla Costituzione tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, tanto da essere formalmente riconosciuto e garantito, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, dall’art. 2 della Carta costituzionale come base della convivenza sociale normativamente configurata dal Costituente»”. E, continua Rodotà: “l’articolo 2, peraltro, non può essere isolato nel contesto costituzionale. Non è casuale la sua collocazione tra l’articolo 1 che fonda la Repubblica sul lavoro, e l’articolo 3, dove la dignità compare con una esplicita connotazione «sociale» e il riferimento agli «ostacoli di ordine economico e sociale» rinvia letteralmente ai doveri di solidarietà «economica e sociale» dell’articolo 2. Questa non è soltanto una conferma della necessità di una lettura sempre consapevole dei legami inscindibili tra dignità, solidarietà e uguaglianza. È l’individuazione del carattere «trasformativo» che la Costituzione imprime a questi principi attraverso l’indicazione di comportamenti dinamici che devono essere tenuti da soggetti pubblici e privati: i «doveri di solidarietà dei singoli» e il «compito» di rimozione degli ostacoli da parte della Repubblica, dunque di tutti i soggetti che la costituiscono — comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato (Articolo 114)”.
La nostra Costituzione è della Repubblica Italiana, ma non è stata scritta solo per gli italiani, perché essa si estende fino a riguardare chiunque viva sul nostro suolo e vi chieda ospitalità. Per la Costituzione “non vi è distinzione tra giudeo e greco … non c’è schiavo né libero, non c’è uomo o donna … circonciso o incirconciso, barbaro o Scita”. (Romani 10:12; Galati, Colossesi). Non so se i Padri costituenti avessero anche loro sfogliato le Sacre Scritture prima di accingersi al loro lavoro di grandissima importanza, e nemmeno importa, perché certi princìpi dovrebbero essere inscritti nella natura umana, nell’animo umano, e la solidarietà è certamente uno di questi. Sono pertanto pienamente d’accordo con il sottotitolo del saggio di Rodotà che, definendo la solidarietà, la chiama “un’utopia necessaria”. Sì, è necessaria se vogliamo ancora continuare a definirci esseri umani, e quando è il tempo di farlo, ricordarlo anche a chi si presenta per assumere incarichi politici, e del quale dovremmo conoscere cosa intende lui per solidarietà, o se almeno ne conosce il significato profondo e le sue implicazioni.