Parco di Capodimonte – Belvedere umbertino
Esterno notte
Una quinta, una quinta scenica di rara bellezza, tra gli scorci più suggestivi della città lontano dal caos del centro. Poco distaccato dall’imponente mole della Reggia di Capodimonte, ci si arriva percorrendo un breve viottolo sterrato che costeggia la settecentesca facciata in piperno e mattoni rossi. Platani, lecci e palme secolari si piegano con discrezione, come a voler celare la vista di quel luogo che, immerso nel silenzio, sembra appartenere a un’altra dimensione.
Una fontana canta al chiarore della luna, i suoi zampilli come fili d’argento pallido avvolgono ghirlande fiorite, delfini e driadi scolpiti. L’acqua riflette una luce iridescente, che si mescola al riflesso della città lontana, creando un gioco di riverberi surreali. Poco distante, affacciata al parapetto, una figura femminile guarda la città addormentata, distesa ai suoi piedi come una creatura stanca. La donna irradia luce propria, un bagliore ora diafano ora accecante, che nel controluce enfatizza i lineamenti perfetti e le curve morbide della sua silhouette.
È il genius loci di Napoli, l’anima stessa della città, la custode invisibile di quel miracolo nato dall’incontro di natura e civiltà. Per millenni ha vegliato su Napoli assorbendo i suoi dolori, celebrando i suoi trionfi, incarnando tutto ciò che è stata. Ora, però, qualcosa è cambiato. Guarda quel panorama, che un tempo l’aveva riempita di orgoglio, e sente soltanto una profonda amarezza.
“Che miracolo”, sussurra, “quanta bellezza che gli dèi e gli uomini hanno plasmato insieme. Eppure, che spreco”.
La città brilla di chiarori distanti, ma è un inganno dei sensi. Quelle luci non sono altro che riflessi vuoti, incapaci di illuminare davvero. Napoli, la sua Napoli, è ferita, dimenticata, tradita dai suoi stessi figli. La donna chiude gli occhi, lasciandosi avvolgere dal canto della fontana e dal vento leggero che porta con sé l’odore del mare e del bosco. Vorrebbe trattenere quei suoni, quei profumi per sempre, ma sa che non sarebbe servito. Da troppo tempo sente la propria forza affievolirsi, l’energia che si sgretola lentamente divorata dall’indolenza del popolo, dalla fame vorace dei turisti e dall’indifferenza dei politici.
Napoli, un tempo culla di cultura e civiltà, le appare ora come una città spezzata. La sua gente, i suoi protetti sembrano aver dimenticato quanto valgono. Un popolo che ha resistito a eruzioni, invasioni, carestie, eppure ora pare piegato da un nemico invisibile: l’indolenza. Più della povertà e della delinquenza, delle ferite endemiche inferte dalla storia, quello che tormenta la donna è l’indifferenza, una ruggine invisibile che corrode dall’interno la società. Il genius loci aveva sempre ammirato l’arte di arrangiarsi, quella capacità unica di trasformare anche le difficoltà in opportunità. Ma ciò che un tempo era resilienza si è trasformato in rassegnazione: i vecchi tacciono, i giovani fuggono altrove quando non si ammazzano per strada come cani rabbiosi.
Un tempo amava passeggiare nei Decumani, abbeverarsi della voce cristallina dei bambini che giocavano a rincorrersi. Ora vede i vicoli invasi dai turisti che arrivano a frotte, affamati di emozioni superficiali, sempre pronti a fotografare un tramonto o un vicolo pittoresco. Consumano Napoli come si consuma un pasto veloce, senza fermarsi a gustarne il sapore autentico. Non cercano di capire, non si fermavano ad ascoltare le storie che ogni pietra, ogni angolo, ha da raccontare. E la città, stanca, si lascia sfruttare, come una madre troppo esausta per proteggere i propri figli. La bellezza di Napoli è come un fiore vizzo, ancora capace di incantare, ma prossimo a sfiorire del tutto. E il suo popolo? Continua a sopravvivere, senza curarsi delle radici che stanno marcendo sotto i piedi.
“Non vedono”, pensa. “Non vogliono vedere…”
Avrebbe voluto poter gridare in faccia ai potenti, scuotere chi governa, costringerli a considerare quello che stanno lasciando morire… I politici sono troppo impegnati nei loro giochi di partito, ciechi davanti al destino. Napoli, per loro, non è altro che una risorsa da sfruttare, non un luogo da custodire.
Lo spirito guardiano torna ad affacciarsi, sente sulle spalle minute il peso di secoli di speranze disilluse, di battaglie perse. Avverte la gravità della sua stessa futilità. Non c’è più posto per lei in questo mondo. La città non sente più il bisogno di un’anima, non più.
Con un ultimo sguardo al panorama, si lascia andare. La sua luce si affievolisce lentamente, dissolvendosi nella notte come una candela che si spegne. Non rimane nulla di lei, nemmeno un dolore pulsante. Solo il silenzio, il canto della fontana e il respiro di una metropoli che continua a vivere, ignara di ciò che ha appena perso. Napoli non è un luogo. Napoli è un’idea, un’emozione, un battito che non ha bisogno di un corpo per esistere. Ma senza amore, senza cura, anche le idee svaniscono prima o poi.
I nuovi barbari endogeni adorano altri dei. Gli “dei” che oggi guidano il comportamento collettivo non sono più i valori civili e culturali di una volta, ma il denaro, l’indifferenza e la spettacolarizzazione di una bellezza ormai svuotata di significato.
Grazie Raffaele per il commento sempre puntuale, concordo pienamente con te. “Come potevamo noi cantare…”
Complimenti per il bel racconto ma permettimi di fare alcune considerazioni. Napoli è una città piena di contraddizioni. Da un lato, una bellezza che ti mozza il fiato; dall’altro, problemi che sembrano insormontabili. Non è mai stata una città facile, ma il vero nodo è che spesso siamo i primi a non prenderci cura di ciò che abbiamo. È inutile puntare il dito contro i turisti o i politici: il cambiamento deve partire da noi, dai piccoli gesti quotidiani. Non basta amare Napoli a parole, bisogna dimostrarlo. Altrimenti, rischiamo di essere i primi artefici della sua rovina.
Saluti da Strato
Grazie Strato per l’onore che mi fai leggendomi, grazie per i complimenti (che giro a tutti gli amici redattori) e ancora grazie per il tuo consiglio
Io non sono napoletana e posso immaginare grazie a questo racconto, la città; posso anche piangere per le parole usate, complimenti
Laura mi permetta di ringraziarla per le bellissime parole. Continui a leggerci!