Pace fra gli uomini di buona volontà

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Sembra che queste parole siano state pronunciate circa duemila anni fa in un’occasione speciale nei pressi di una cittadina chiamata Betlemme, e da allora ne aspettiamo ancora la realizzazione. Venti secoli dovrebbero rappresentare un periodo di tempo sufficiente per farci ritenere che chi le pronunciò si fosse grossolanamente sbagliato. La storia documentata mostra con chiarezza che nel corso delle vicende umane sono stati più gli anni di conflitti che quelli di pace, a dimostrazione del fatto che gli “uomini di buona volontà” hanno rappresentato, e rappresentano, una parte minima del genere umano, tale da non influire stabilmente sulle sorti del mondo. D’altra parte possiamo ben dire che la democrazia, il regime nel quale si suppone che il “popolo” abbia voce in capitolo, è una scheggia della storia: durante la corsa dei millenni i regimi dispotici costituiscono la regola, non l’eccezione.

Il XXI secolo non ha portato sostanziale cambiamenti a questa tendenza della storia, anzi possiamo dire che si sono risvegliati conflitti mai sopiti e che la guerra è ormai all’ordine del giorno in molte parti del mondo. Questo perché attualmente sul nostro pianeta giganteggiano quattro superpotenze: due di loro sono autocrazie, la Cina e la Russia, se non vere e proprie dittature. Le altre due si qualificano come democrazie, almeno sulla carta, e cioè India e Stati Uniti. Tuttavia in India governa da un decennio un premier nazionalista (Narendra Modi), artefice di politiche discriminatorie contro la minoranza musulmana, oltre che d’una stretta sul dissenso e sulla libertà di stampa. Mentre negli USA ha (ri)vinto Donald Trump, annunciando deportazioni di massa per i clandestini e una museruola per il potere giudiziario.

A proposito di Trump, vale anche per lui il vecchio detto “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”. E se diamo uno sguardo, anche superficiale, ai suoi più stretti collaboratori, ai quali affiderà funzioni cruciali di governo, non possiamo che rimanerne profondamente turbati. In primis abbiamo Elon Musk, al quale il neo presidente deve la sua vittoria, e al quale è legato mani e piedi. Musk è l’uomo più ricco del mondo, che di recente si è permesso di criticare il potere giudiziario del nostro Paese, suscitando l’indignazione del presidente Mattarella, che gli ha risposto con fermezza, rimettendolo in riga, mentre la nostra Premier ha fatto soltanto un debole e insignificante intervento. Musk è anche colui che, convinto che sulla terra stiamo troppo stretti, si propone di realizzare una colonia su Marte e sta operando in tal senso, grazie anche alle infinite risorse di cui dispone. “Se non prendo decisioni in fretta moriamo”, ha detto ad un intervistatore, perché “dobbiamo colonizzare Marte prima che la civiltà crolli”. Benché sia ancora relativamente giovane, Musk è affetto da una patologia invalidante sotto il profilo psichico, cioè il morbo di Asperger, che dovrebbe far riflettere seriamente chi, come Trump, gli ha affidato, insieme a un altro miliardario, Vivek Ramsey, la guida del D.O.G.E. (Department of Government Efficiency), un dipartimento che si occuperà di tagliare la spesa pubblica in una misura senza precedenti. Che la sindrome di Asperger diriga le sue iniziative, mantenendogli nel frattempo una mentre brillante che gli ha consentito di accumulare una fortuna senza precedenti, dovrebbe preoccupare non soltanto i cittadini americani, ma anche quelli del resto del mondo, data l’influenza che quella nazione esercita sull’intero pianeta.

Un altro dei futuri protagonisti della scena politica americana è Pete Hegseth, un ex conduttore televisivo, veterano di guerra e adesso con Trump a capo del ministero della difesa, un ruolo delicatissimo. Egli è l’autore di un libro, “Crociata americana”, in cui, nel 2020 evocava la cacciata di tutti i musulami dai ruoli guida, e tra i primi ad abbracciare l’agenda americana “America First” che prevedeva il ritorno a casa dei soldati americani dispiegati nel mondo. Hegseth è un personaggio singolare e fortemente misogino; ha infatti dichiarato che le donne “non devono partecipare ai combattimenti perché la loro presenza non rende le operazioni più efficaci ma le complica”. Questo individuo è anche chiamato il “crociato” perché fino a qualche anno fa portava sul petto un tatuaggio raffigurante un’enorme croce di Gerusalemme, simbolo associato al nazionalismo cristiano e adottato dagli insurrezionalisti del 6 gennaio 2021, quando ci fu l’assalto al Campidoglio, sede del potere americano, nel tentativo di rovesciare l’elezione di Biden alla presidenza. Oltre alla croce sul petto, sui bicipiti ha anche la scritta “Deus vult”, “Dio lo vuole”, utilizzata durante le crociate del medioevo, mentre sull’avambraccio ha una croce con spada e un passo del Nuovo Testamento che dice: “Non pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace ma una spada”. Infine, sul corpo si è fatto tatuare “We the People” con i numeri romani “1775”, l’anno di inizio della guerra di indipendenza americana, e anche “Join or Die”, unisciti o muori, con l’immagine di un serpente fatto a pezzi, legata ai coloni americani. Ogni commento è superfluo.

La ciliegina sulla torta dei nuovi collaboratori di Trump è certamente Kristi Noem, che sarà segretario alla sicurezza interna. Questa gentile fanciulla si è vantata di aver ucciso il suo cane Cricket, un cucciolo di 14 mesi, perché ”indisciplinato”. Si proponeva di far fare la stessa fine a Commander, il Pastore tedesco dell’ex presidente Biden. Kristi Noem guiderà il Dipartimento della Sicurezza Interna, ministero creato dopo l’11 settembre 2001 che supervisiona un vasto apparato di sicurezza nazionale, dal controllo delle frontiere all’antiterrorismo. La governatrice del South Dakota è stata una delle più strenui difensore delle politiche anti-Covid di Trump, rifiutando lockdown e restrizioni nel suo Stato. Si è distinta anche per posizioni estremamente conservatrici su immigrazione e diritti civili. Era salita agli onori delle cronache per l’episodio del cane, tutt’altro che edificante. E ora, come hanno riferito due fonti ben informate alla Cnn, il presidente eletto Donald Trump la sceglierà come Segretario alla sicurezza interna della sua amministrazione.

Sappiamo tutti in quali gravi condizioni versa il mondo nel quale viviamo e a nessuno passerebbe per la mente di negarle, ma non è così per Lee Zeldin, che guiderà l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (Epa). Ex leader della minoranza repubblicana al Congresso, è tra i più noti negazionisti del cambiamento climatico e ha votato sistematicamente contro le politiche ambientali di Biden. Affidare l’Agenzia per la protezione dell’ambiente a un negazionista climatico potrebbe sembrare una barzelletta, ma invece è una cosa seria, a dimostrazione di cosa potremo aspettarci dal prossimo quadriennio del nuovo presidente.

Guardando gli Stati Uniti di oggi non possiamo che rimpiangere con profondo rammarico la presidenza di J.F. Kennedy che a soli 43 anni assunse il suo incarico e, oltre agli Stati Uniti, fece sognare il mondo, sogno, purtroppo, ben presto stroncato. Fu il più giovane dei presidenti americani, mentre adesso Trump è uno dei più vecchi, come lo era anche Biden. Ma quello era un tempo di speranze, d’ottimismo, di fiducia nel progresso. Il tempo che allevò i primi movimenti ambientalisti, pacifisti, femministi. Il tempo della libertà. Sono trascorsi circa sessant’anni da allora e sia gli Stati Uniti che il mondo sono profondamente cambiati, e non in meglio. In quel tempo anche l’Italia conobbe una stagione che trasformò il nostro vivere civile. Gli anni ’70 furono gli anni dei grandi cambiamenti: vi fu l’approvazione della legge elettorale che permise di introdurre le Regioni nel 1968, lo Statuto dei lavoratori del 1970, la legge sul divorzio del 1970, confermata dal referendum del 1974, l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale e tanti, tanti altri cambiamenti che mutarono il volto della nostra nazione; e non dimentichiamo la legge Basaglia che nel 1978 chiuse i manicomi. Fu, quella, una ventata di rinnovamento che ci fece sperare che il nostro vecchio mondo avesse finalmente deciso di scrollarsi le ragnatele del passato e di guardare al futuro con speranza. Ma la nostra splendida Costituzione, che permise tutti questi cambiamenti, come diceva Pietro Calamandrei, non è che un pezzo di carta, non si muove da sola, è necessario un popolo che la sostenga. I diritti vivono sulle gambe degli uomini, e non sono mai per sempre: bisogna lottare per essi e custodirli. Ogni generazione deve impadronirsene di nuovo, riconquistarli giacché altrimenti appassiscono. Ma purtroppo sembra che noi, oggi, che viviamo in questo inizio di secolo, ne siamo dimentichi. Da troppo tempo, ormai, le ombre di un passato che credevamo morto, sepolto e dimenticato, si sono nuovamente addensate sul nostro Paese, mentre nel resto del mondo infuriano battaglie sanguinose che colpiscono indiscriminatamente tutti, militari e civili, vecchi e bambini, e non v’è l’ombra di una resipiscenza che ci faccia ben sperare. Ho di recente riletto due libri che ci aiutano a capire il mondo in cui viviamo, e dei quali mi permetto di consigliare la lettura. Uno è La pace è finita, di Lucio Caracciolo, e l’altro è La guerra infinita di Giulietto Chiesa. Entrambi questi illustri pensatori, con schiettezza, forse anche con brutalità, ci costringono a riflettere, forse anche a prepararci ad una stagione che, con le premesse americane, si presenta veramente come una preoccupante incognita!

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