Il Rinascimento è un periodo di storia della civiltà che ebbe inizio in Italia con caratteristiche già abbastanza precise intorno alla metà del 15° secolo. Fu un tempo di rinnovamento culturale e artistico che caratterizzò molteplici aspetti della società italiana ed europea a cavallo tra l’inizio del 15° e la metà del 16° secolo. Destinato a estendersi successivamente e a differenziarsi nei diversi campi della cultura e dell’arte, ma con vaste risonanze in ogni settore della vita e dell’attività dell’uomo, il movimento rinascimentale oltrepassò presto i confini dell’Italia per diffondersi anche negli altri paesi europei.
Il termine impiegato per definirlo implica di per sé qualcosa di nuovo, che fa seguito ad un periodo oscuro, morente, decadente, i cosiddetti “secoli bui”, come fu definito il Medioevo. Infatti Ri-nascimento, vuol dire proprio “nuova nascita”, e fu grazie ad essa che il nostro vecchio continente visse uno dei periodi storici più ricco e fecondo in tutti i campi della conoscenza e del sapere umani. A stretto rigore il Rinascimento può esser fatto iniziare qualche decennio prima del XVI secolo, cioè con un evento che influì enormemente nella storia del mondo: la “scoperta” dell’America nel 1492 da parte del genovese Cristoforo Colombo. Le virgolette stanno a indicare che di scoperta si può parlare solo per gli europei d’allora, in quanto quell’enorme continente era già stato “scoperto” secoli prima ed era abitato da nativi, proprio come l’Europa era abitata dagli europei, solo che non si erano ancora incontrati. Inoltre, un’altra data è di grande significato in quel secolo, ed essa è rappresentata dalla Riforma Protestante del 1517, che spaccò in due l’Europa, a quel tempo ancora strettamente confinata sotto il giogo papale, fino a che Lutero non infranse definitivamente quel capestro ormai intollerabile che, però, poi diede inizio alla Controriforma cattolica, che segnò l’inizio delle sanguinose guerre di religione, fornendo nel contempo al Cattolicesimo l’opportunità di riformarsi esso stesso con la Riforma scaturita dal Concilio di Trento (1545-1563). [si veda Umberto Eco, Storia della civiltà europea. Il Cinquecento].
Dice bene Voltaire nel suo Osservazioni sul modo di studiare e scrivere la storia, quando afferma che il Cinquecento è il primo secolo moderno, durante il quale comincia a prendere forma il mondo come lui lo conosceva. Questo secolo, per motivi che è arduo tracciare diffusamente in questa sede, vide uno straordinario fiorire di quasi ogni aspetto dello spirito e dell’intelligenza umani, e quasi sempre in senso positivo. Si prenda, per esempio, l’arte. La Gioconda tiene a battesimo il nuovo secolo, emergono Raffaello e Michelangelo, Tiziano, Albrecht Dürer; mentre nella filosofia avanzano Montaigne, Thomas More, Campanella, Erasmo, assieme alla riscoperta e alla valorizzazione dei grandi capolavori della Grecia classica. È inoltre il secolo delle grandi scoperte scientifiche, come la rivoluzione copernicana che ribaltò del tutto la visione dei cieli, geocentrica, come si era creduto fino ad allora. Ma, a mio modo di vedere, la più grande delle innovazioni è quella in cui i più grandi degli innovatori operarono nel campo che più dovrebbe interessarci: l’arte, la scienza, la letteratura sono tutti aspetti di fondamentale importanza nella crescita e nello sviluppo del genere umano, ma quello che ne determina maggiormente la direzione è senza alcun dubbio quello della Politica e, come ha scritto Eco: «Machiavelli ci sottrae ogni illusione e ci parla di un nuovo modo, spietatamente realistico d’intendere l’arte della politica», ed è il 1500 il suo secolo con la Repubblica di Firenze il suo centro di irradiazione. In esso la figura di Machiavelli giganteggia su tutte le altre. Machiavelli, fiorentino, è stato un pensatore di prima grandezza, e anche un notevole filosofo. La sua filosofia segnò una rottura con il passato classico che fino ad allora era stato il punto di riferimento per i pensatori politici; difatti in una lettera al suo amico Francesco Vettori egli scrive: «né so quello si dica Aristotile delle repubbliche divulse (divise)». Machiavelli, infatti, non trovò nei classici la chiave degli avvenimenti e dei fenomeni politici moderni, e soprattutto non credeva nei modelli astratti. Come scrive Benedetto Croce, «Machiavelli scopre la necessità e l’autonomia della politica» (Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio) in un periodo nel quale il grande ostacolo allo sviluppo era rappresentato dalla «grande corruzione dei diversi Stati italiani e nella Chiesa». Quindi il principale problema che il grande fiorentino si poneva era la società, la res publica, a cui il cittadino è subordinato.
Vediamo grandi assonanze fra il periodo in cui visse e operò Machiavelli e il nostro, pur con tutte le inevitabili differenze dovute ai tempi e alla struttura della società di allora rispetto a quella d’oggi. Possiamo ben dire che noi oggi viviamo in un tempo di crisi e decadenza che, per intensità e vastità, non è inferiore a quello vissuto da Machiavelli e anche da Guicciardini, uomini che forse più di tutti nella loro epoca capirono che un intero mondo era finito, cercando di interrogarsi su quello che in modo faticoso e contraddittorio stava nascendo. Ma il mondo, cioè l’Europa che allora venne infine alla luce, e che è durata alcuni secoli, sta ora finendo davanti ai nostri occhi, giorno dopo giorno. Ed è proprio per questo che la gente è ormai stanca, disillusa, disorientata, annoiata, sì, annoiata: legge ogni giorno sempre le stesse cose sui giornali e vede che non cambia mai niente. Sono anni ormai che leggere un giornale è come leggerli tutti, tranne che quelli di partito, la cui principale missione è quella di presentare una realtà alterata, partigiana, e non rispondente ai fatti che vediamo accadere quotidianamente. Per tutto il resto è veramente un déjà-vu! Ed è veramente drammatico che la pubblica opinione si stia ormai assuefacendo anche alle quotidiane “guerre e notizie di guerre” che fanno ormai parte del “panorama”.
Cosa sta accadendo in Europa e in Italia? Sembra proprio che il mondo a cui eravamo abituati stia dissolvendosi poco a poco, e non sappiamo come andrà a finire, o meglio, lo temiamo. Abbiamo schiere di politici che fanno sempre le stesse promesse, trite e ritrite, che poi puntualmente non mantengono; promettono tutti “l’età dell’oro”: chi “il sol dell’avvenire”, chi un nuovo ordine, tutto “Dio, patria e famiglia”, e così via. Ma come stanno in realtà le cose? Ciò che negli ultimi due anni costituisce la realtà è che “l’Underdog della Garbatella” ha rifondato le corporazioni, acquisendole a colpi di bonus. Invece della famosa e virtuosa “curva di Laffer” (insigne economista), ha seguito la via maestra di Arcore. Anche lei, come il cavaliere, evoca il Bengodi fiscale: proprio come “l’unto del Signore” che, spacciando “meno tasse per tutti”, vinse le elezioni del 2001, e giurando “aboliremo l’ICI” pareggiò quelle del 2006. Cos’ha prodotto di così straordinario la “cultura politica della destra”? In politica, l’occupazione manu militari della Rai e tre pseudo-riforme che rottamano la Costituzione: il premierato che umilia Quirinale e Parlamento, l’autonomia differenziata che sfascia l’unità nazionale, la magistratura che si riduce ad ancella di una politica libera da intercettazioni, abusi d’ufficio, traffici di influenze. I nostri nuovi “patrioti” dovrebbero smetterla di raccontare un’Italia che non c’è, e di vendere un paradiso che non ci sarà mai. La Sanità è allo stremo, con 4,5 milioni di cittadini che rinunciano alle cure. La previdenza è alla bancarotta, con un crollo demografico che vede 7,3 milioni di under 15 di fronte a 14,1 milioni di over 65. Non c’è un euro in cassa, ma la Sorella d’Italia si guarda bene dal fare l’unica cosa che avrebbe senso: aggredire l’evasione, ormai a quota 100 miliardi. L’ingiustizia fiscale regna sovrana e incontrastata. Il lavoro dipendente è tassato fino al 43%, il capitale al 20, la rendita al 12,5. A smantellare il principio di progressività, scappato chissà come dalla bocca di Giorgetti, provvedono 3 scaglioni e una tassa piatta cara a Salvini e usata nel mondo solo dalla Russia dell’amico Putin. Continuare con numeri e cifre da scoramento totale non serve: tutti i contribuenti sanno ciò di cui parliamo. Sappiamo anche che delle promesse mirabolanti della nuova amministrazione non si è avverato e non si avvererà niente. Ma una cosa è vera, purtroppo. Come al tempo di Machiavelli e di Guicciardini l’Italia trovò le forze, e gli uomini, capaci di operare il miracolo della rinascita, anche oggi stiamo assistendo ad un moderno “rinascimento” (in negativo, però). Stanno rinascendo cose che consideravamo ormai reliquie di un passato che credevamo non sarebbe tornato più. E invece, in buona parte dell’Europa, in primis in Italia, sentiamo nuovamente gli echi di ciò che fu, e che la Resistenza, insieme alle forze democratiche dello scorso secolo, avevano cancellato. Nelle piazze, nelle strade, perfino dai banchi dei Parlamenti risuonano antiche litanie, antichi slogan, “l’Italia agli Italiani”, “Dio, patria, famiglia”, “morte agli ebrei”, “Duce, Duce”, l’esaltazione dei ricordi “imperiali” e la ri-nascita di formazioni fascionaziste e parafasciste. Se si dà una grattatina al nostro Governo, ne emergerà in modo inequivocabile ciò che vi è sotto la superficie, e quali sono le radici in cui esso affonda, con la complicità passiva dei suoi elettori che in Germania ancora esaltano Hitler e in Italia Mussolini. Sì, possiamo dirlo, allora: stiamo assistendo ad un nuovo rinascimento: sta rinascendo ciò che era dato per definitivamente scomparso. In Europa, o in parte d’essa, la più cospicua, è in atto un secondo rinascimento, e quando il parto sarà compiuto, assisteremo alla nascita di una nuova creatura che è già vecchia, e che si chiama fascismo. È questo il rinascimento che vogliamo?
Il dottor Pollina, come sempre impeccabile e acuto, ci fa riflettere su quanto sia importante non ripetere gli errori del passato. Non possiamo permettere che questo “rinascimento negativo” ci porti a un ritorno a forme di autoritarismo e intolleranza.
Caro Antonio,
Comne sempre le sono grato per i suoi commenti che costituiscono una preziosa ricompensa per il mio lavoro. Purtroppo, non sono molto ottimista sui loro risultati, perché vedo – come anche lei – che siamo avviati su una china difficilmente reversibile. la mia età avanzata non mi consente di sperare in un futuro migliore a breve termine, ma poiché la speranza è l’ultima a morire, rimane il flebile spiraglio di un rinsavimento collettivo (?). Ancora grazie per le sue parole di incoraggiamento e le porgo i miei più cordiali saluti.