In principio …

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Espressione estremamente significativa. Sta a indicare l’origine di tutte le cose; un tempo in cui ancora niente di ciò che caratterizza la vita delle società umane sulla terra era ancora venuto all’esistenza. Inoltre quest’espressione risponde anche ad una nostra impellente necessità – o forse curiosità – circa le origini dell’uomo e i primi artefici della sua civiltà, cioè chi è stato il primo (o i primi) a fare una determinata cosa, e come ci è arrivato. Per molti degli oggetti d’uso comune sappiamo più o meno la loro origine, il loro “principio”, come, per esempio, chi ha inventato la bussola o il microscopio, o il cannocchiale, o la prima delle scritture, e tutto il resto. Ma chi fu, o chi furono quegli esseri umani che per primi diedero l’avvio a ciò che con il trascorrere del tempo divenne la realtà in cui viviamo e della quale – grazie a loro – godiamo i benefici? Chi per primo imparò a padroneggiare il fuoco (che consentì ai primi uomini di acquisire uno straordinario mezzo di potenza); quali, per esempio, furono le prime idee morali e le prime concezioni religiose che l’uomo fissò con la scrittura; quali le sue prime idee politiche, sociali, persino «filosofiche», chi promulgò le prime leggi, il primo ordinamento statale, i primi eserciti, le prime canzoni, i primi poemi? Come accadde che individui con alle spalle il nulla potessero dare inizio improvvisamente a tutto quello che da millenni costituisce la civiltà umana, comprese quindi le scienze e l’arte, che sono frutto dell’ingegno esclusivamente umano, in quanto non sembra risultare che alcun altro essere vivente su questo pianeta abbia lasciato tracce di dipinti, di sculture o di composizioni poetiche?

È veramente appropriato, quindi, che la più diffusa opera letteraria della storia, vecchia di millenni, apra i suoi contenuti proprio con queste parole: Bereshit (ebraico), En arché (greco), In principio (latino). La più diffusa, ma certamente non la prima né la più antica in quanto, quando essa fu redatta, già da millenni circolavano scritti di varia natura, sacri, poetici, legislativi, contabili. Possiamo ben dire che la Bibbia è arrivata ben fra gli ultimi fra i grandi capolavori del passato, e di essi ha certamente risentito nella sua elaborazione. A Sumer, un buon millennio prima che gli Ebrei componessero i primi libri della Bibbia e i Greci l’Iliade e l’Odissea, troviamo già tutta una fiorente letteratura, comprendente miti ed epopee, inni e lamentazioni, e numerose raccolte di proverbi, favole e saggi.

Fu con grande emozione, quindi, che S.N. Kramer, studioso di assiriologia di fama mondiale, nell’esaminare un’antica tavoletta d’argilla, contenente il codice promulgato dal re sumero Ur-Nammu, «si rese conto di avere fra le mani una copia del più antico codice legislativo del mondo!» (S.N. Kramer, I Sumeri alle radici della storia, Newton Compton, 1975). E, man mano che proseguivano gli studi, ci si rese anche conto che l’antichissimo codice di Hammurabi, dal quale sono derivati, in parte, i Dieci Comandamenti dell’Esodo, e ad essi precedente di secoli, è anch’esso relativamente recente rispetto a documenti giuridici e politici, ancora più antichi. Tutto questo, ovviamente, fu possibile grazie all’invenzione di un anonimo personaggio della più remota antichità, che fece la scoperta più grande in assoluto della storia: la scrittura, di cui abbiamo già diffusamente parlato in un altro articolo.

Tutto ciò accadde perché l’essere umano, a differenza di ogni altro organismo vivente mai vissuto sulla terra, possiede all’interno della scatola cranica un organo che non ha pari nella natura: è una sua esclusiva caratteristica quella di dar forma e contenuto a pensieri astratti, frutto dei triliardi di connessioni cerebrali che prendono il nome di sinapsi. Così, mentre il resto del mondo naturale è rimasto ancorato al “in principio”, questa sua peculiare caratteristica gli ha consentito, a differenza di tutti gli altri organismi biologici, di procedere a due tipi di evoluzione: quella biologica, che condivide con tutti gli altri esseri viventi, e quella intellettuale che è una sua unica ed esclusiva caratteristica. Così, mentre l’evoluzione umana procedeva, come di consueto, a passo di lumaca, l’immaginazione umana stava erigendo sbalorditive reti di cooperazione di massa, quali non si erano mai viste sulla faccia della terra, consentendo così ai discendenti degli ominidi di assoggettare l’intero ecosistema, sia animale che vegetale.

Questo enorme e diseguale sviluppo delle due evoluzioni, la prima delle quali dal punto fisico aveva molto in comune con tutte le altre specie esistenti, a motivo dell’enorme distacco che venne a crearsi dal punto di vista mentale, radicò nell’uomo la convinzione che egli fosse di diritto il prodotto principe della “creazione” e il suo padrone (concetto che si sviluppò con l’andar del tempo, con la nascita di una delle più problematiche invenzioni umane: la religione), e al cui dio semitico furono attribuite le parole: «Il timore di voi e il terrore di voi sia in tutte le fiere della terra, in tutti i volatili del cielo. Per quanto concerne ciò che striscia sul suolo e tutti i pesci del mare, essi sono dati in vostro potere» (Genesi 9:3), e questo non poté che imprimere in lui la convinzione – ancor oggi profondamente inculcata nella specie umana – che egli potesse disporre a suo piacimento di tutto ciò che esisteva nel pianeta che gli era stato dato, sviluppando, proprio a motivo di questo suo senso di superiorità, una ferocia inaudita e assolutamente dis-umana, nei confronti di tutti gli altri esseri viventi. Se fosse portato a conoscenza della massa dei consumatori in che modo il cibo che essi consumano sulle loro tavole, viene prodotto e le condizioni di assoluta crudeltà cui sono sottoposte le specie di cui ci nutriamo, inimmaginabili per la loro efferatezza e insensibilità, forse ci penserebbero due volte prima di consumare altri esseri viventi per nutrirsene. Basti pensare che ogni anno vengono uccisi barbaramente 70 miliardi di animali dopo una breve vita di sofferenze e di dolore: quasi dieci volte l’intera popolazione mondiale. Ma la ferocia umana non si limita al mondo animale; essa si esercita ancora di più su quello vegetale e – purtroppo è così – anche su quello dei suoi simili. Possiamo quindi definire, come fa Yuval Noah Harari nel suo best seller, «l’Homo Sapiens come un serial killer ecologico», del quale i massicci incrementi della sua potenza non hanno necessariamente migliorato il benessere dei singoli Sapiens, e di solito hanno provocato immense sofferenze negli altri animali. E tutto questo, l’inimmaginabile spargimento di sangue che dal “principio” ha spinto gli esseri umani a perpetrare nefandezze inimmaginabili, è stato fatto in vista di un unico obiettivo: il profitto! Solo a un essere pensante profondamente immorale sarebbe potuto venire in mente di distruggere il luogo in cui da milioni di anni vive, solo per procurarsi un profitto! Alla luce di questo non credo che qualche genetista avrebbe validi motivi per opporsi se volessimo riclassificare l’Homo Sapiens in Homo Demens!

Dicevamo prima della religione, e del suo effetto deleterio sulle società umane. Essa inizialmente nacque per un bisogno insito nel genere umano di avere risposte alle sue domande: da dove vengo, dove vado, cosa c’era prima, perché si muore, cosa c’è dopo la morte? E anche per chiedere e ottenere protezione da eventi che sfuggivano al suo controllo per il tramite della preghiera, dell’invocazione, della supplica. Ma, come le persone che si lasciano guidare dalla ragione e non dalla superstizione sanno bene, nell’universo non esistono dèi, non esistono nazioni né denaro né diritti umani né leggi, e non esiste alcuna giustizia che non sia nell’immaginazione comune degli esseri umani. Ma, tanto pervasiva è la religione, che la troviamo perfino a far parte ufficialmente di uno dei più importanti documenti politici della storia moderna: La Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti. È ben noto che l’America è un paese molto religioso, quasi bigotto, e che molte delle sue tradizioni si basano proprio su miti e leggende religiosi, come il Thanksgiving Day (il giorno del ringraziamento), Halloween e altre. Ma far entrare Dio nella Dichiarazione d’Indipendenza è stato veramente eccessivo; anche perché se non fosse per la sua intrusione la stessa “Dichiarazione” non sarebbe mai esistita. Eccone il testo: «Noi consideriamo le seguenti verità evidenti di per sé: che tutti gli uomini sono creati uguali; che essi sono stati dotati di alcuni diritti inalienabili dal loro Creatore; che tra questi diritti ci sono la vita, la libertà e il perseguimento della felicità». Alcuni termini, inequivocabilmente, fanno riferimento a un dio: “creati uguali”, “dotati di alcuni diritti inalienabili dal loro Creatore”.

Cominciamo con il dire – e ce ne dispiace per Jefferson, anche se essendo vissuto prima di Darwin possiamo giustificare la sua ignoranza – che secondo la biologia gli uomini non sono stati “creati”. Essi si sono evoluti diventando tali. E certamente non si sono evoluti per essere “uguali”. Di conseguenza, non essendo stati creati uguali, non c’è stato nessun Creatore a “dotarli” di alcunché. L’espressione “dotati dal loro Creatore” dovrebbe semplicemente essere resa con “nati”. Quindi, in estrema sintesi, un Jefferson laico così avrebbe potuto formulare la sua dichiarazione: «Noi consideriamo le seguenti verità evidenti di per sé, che tutti gli uomini si sono evoluti in modo differente, che essi sono nati con certe caratteristiche mutevoli, e che tra queste ci sono la vita e il perseguimento del piacere” (piacere, e non felicità, perché quest’ultima è di difficile individuazione dipendendo da molteplici fattori). D’altra parte la “Dichiarazione” non corrispondeva del tutto al vero. Infatti nel 1776, anno della sua promulgazione, negli Stati Uniti esisteva una rigida gerarchia classista. Solo agli uomini bianchi si applicavano quelle parole, certamente non alle donne, agli uomini di colore (i “negri”) e ai nativi americani, considerati di tipo inferiore, quindi senza pari diritti con i bianchi. Tanto è vero che la “libertà” fu concessa alle popolazioni di colore solo quasi un secolo dopo da Abraham Lincoln, dopo la guerra di secessione. Altro che “diritto inalienabile!” Se, quindi, era questo il dio che aveva guidato la “Dichiarazione”, sarebbe veramente stato vantaggioso per le classi “inferiori” che Egli non si fosse mai intromesso! Conclusione: Se vi è stato un “principio”, è inevitabile che vi sia anche una “fine”, dato che nulla è eterno, per lo meno allo stato delle nostre attuali conoscenze. Sfogliando il libro della storia siamo in grado di ricostruire con grande approssimazione ciò che è derivato da quel “principio” o dai molti “principî” che hanno avuto luogo nella notte dei tempi e trarne insegnamento in questo tempo in cui abbiamo, purtroppo, il potere di por fine a quel principio. Del “principio” noi esseri umani non siamo in alcun modo responsabili, e non lo siamo stati fino ad un certo punto della storia, cioè fino al momento in cui abbiamo cominciato ad esercitare la nostra facoltà unica ed esclusiva del ragionamento, e del ragionamento astratto. Ma possiamo esserlo della “fine”. Fortunatamente nessuno al mondo può prevedere cosa accadrà nel futuro, anche se quello che ci si presenta attualmente è di tutt’altro colore che roseo. Secondo gli scienziati competenti, la fine del sistema solare avverrà fra 5 miliardi di anni, quindi è un po’ presto per preoccuparcene. Ma per il resto, a meno che non dipenda da meteoriti, invasioni di alieni e comete distruttive, siamo noi gli artefici della “fine”. Sta a noi decidere quando e come porre termine a quel “principio”. E, ancora una volta, se vogliamo fregiarci del titolo di Sapiens, vediamo di meritarcelo!

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