Libro e libertà

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Libro e libertà, due lemmi solo apparentemente derivanti dalla stessa radice etimologica. In realtà è da lìber, la scorza interna della corteccia degli alberi, che presero il nome i primi libri e non da lìberum, da cui deriva “libertà”. Ma se nell’etimologia non troviamo tracce di una storia comune, molto più forte è nella storia il legame tra questa straordinaria invenzione e quella che è forse la più profonda aspirazione dell’umanità. L’apparizione del libro a stampa nel Rinascimento rappresentò una rivoluzione epocale che dispiegò i suoi effetti in molte direzioni. Questo rese i libri disponibili a molti e innescò un processo di privatizzazione della conoscenza, non più veicolata attraverso le intermediazioni dei saggi. Tutto ciò affrancò lentamente gli uomini dal dominio dei pochi che potevano monopolizzare il sapere. Lo sviluppo della lettura privata, vale a dire di una forma di lettura silenziosa che dava la possibilità di interpretare da soli i testi, è stata una grande conquista di libertà. Libertà di apprendere, libertà di conoscere, libertà di dare diverse interpretazioni ad un testo, libertà di circolazione di idee diverse. Non è un caso che l’apparizione del libro a stampa diede di lì a poco il via alla nascita della scienza moderna, allo sviluppo dell’Umanesimo, a un nuovo rapporto tra uomo e libri sacri e quindi alla Riforma.

Umberto Eco, il grande semiotico, intitolò una sua breve composizione del 1991 con una affermazione provocatoria: Perché i libri allungano la vita. Scrive Eco: “Una volta Valentino Bompiani aveva fatto circolare un motto: «Un uomo che legge ne vale due». Detto da un editore potrebbe essere inteso solo come uno slogan indovinato, ma io penso significhi che la scrittura (in generale il linguaggio) allunga la vita. Sin dai tempi in cui la specie incominciava a emettere i suoi primi suoni significativi, le famiglie e le tribù hanno avuto bisogno dei vecchi. Forse prima non servivano e venivano buttati quando non erano più buoni per la caccia. Ma con il linguaggio i vecchi sono diventati la memoria della specie: si sedevano nella caverna, attorno al fuoco, e raccontavano quello che era accaduto (o si diceva fosse accaduto, ecco la funzione dei miti) prima che i giovani fossero nati. Prima che si iniziasse a coltivare questa memoria sociale, l’uomo nasceva senza esperienza, non faceva in tempo a farsela, e moriva. Dopo, un giovane di vent’anni era come se ne avesse vissuti cinquemila. I fatti accaduti prima di lui, e quello che avevano imparato gli anziani, entravano a far parte della sua memoria. Oggi i libri sono i nostri vecchi. Non ce ne rendiamo conto, ma la nostra ricchezza rispetto all’analfabeta (o chi, alfabeta, non legge) è che lui sta vivendo e vivrà solo la sua vita e noi ne abbiamo vissuto moltissime … A qualcuno tutto questo dà l’impressione che, appena nati, noi siamo già insopportabilmente anziani. Ma è più decrepito l’analfabeta (di origine o di ritorno), che patisce di arteriosclerosi sin da bambino, e non ricorda (perché non sa) che cosa sia accaduto alle Idi di Marzo. Naturalmente potremmo ricordare anche menzogne, ma leggere aiuta anche a discriminare. Non conoscendo i torti degli altri l’analfabeta non conosce neppure i propri diritti. Il libro è un’assicurazione sulla vita, una piccola anticipazione di immortalità. All’indietro (ahimè) anziché in avanti. Ma non si può avere tutto”.

Non solo il libro tipografico, quindi moltiplicabile, ma già prima il papiro manoscritto aveva mostrato i propri effetti dirompenti e lo stretto legame tra lettura, democrazia e libertà. Scriveva Karl Popper: “Il miracolo greco e quello di Atene in particolare si devono spiegare con l’invenzione del libro scritto e con il commercio librario. La scrittura esisteva già da molto, e qua e là c’era qualcosa di simile a un libro, soprattutto in Medio Oriente. Esistevano anche le Sacre scritture. Ma la scrittura fu a lungo impiegata principalmente per documenti di stato, religiosi, e dai commercianti per i loro appunti. La cultura europea vera e propria ebbe inizio con la prima pubblicazione in forma di libro delle opere di Omero, che esistevano già da circa trecento anni, ma che nella loro totalità erano note solo ai declamatori di professione, agli omeri, ai rapsodi omerici. I canti omerici furono raccolti intorno al 550 a.C. Ciò avvenne per opera del signore della città, il tiranno. Come occupazione principale, Pisistrato era signore di Atene, come occupazione secondaria egli fu certo il primo editore europeo … La fondazione non sopravvisse al suo fondatore. Ma le conseguenze culturali furono inestimabili”. E così Popper racconta di come vennero pubblicate le opere di Eraclito, Erodoto, Esiodo, Pindaro, Eschilo e altri scrittori e pensatori greci. Atene imparò a leggere e scrivere, e diventò democratica. “L’ipotesi secondo cui Pisistrato, rendendo commerciabile il libro, avrebbe inaugurato ad Atene una rivoluzione culturale simile a quella provocata duemila anni più tardi da Gutenberg in tutta l’Europa Occidentale, naturalmente non può essere verificata. I parallelismi storici non andrebbero mai presi troppo sul serio. Ma qualche volta sono stupefacenti. Come il caso di Anassagora, ad esempio, che fu accusato dopo la pubblicazione del suo libro (il De natura) di ateismo ad Atene, come duemila anni più tardi accadde a Galileo”. E, similmente accadde ai primi cristiani che non avendo statue di divinità da adorare pubblicamente, ma solo un libro – le Sacre Scritture – furono accusati di ateismo, reato gravissimo a quel tempo, e dati in pasto ai leoni.

Abbiamo associato insieme il libro e la libertà, e questo perché un destino accomuna nella storia i libri: da sempre sono antidoto alle verità uniche, strumento di comprensione delle differenze, fortini di tolleranza, arma di sovversione. I libri difficilmente si sono prestati nella storia alle propagande di regime perché hanno sempre manifestato il proprio carattere libertario. Essi parlano all’intelletto, chi legge non riesce facilmente a farsi influenzare da false propagande. Non è un caso che tutti i regimi autoritari e totalitari abbiano mirato e mirino a utilizzare i grandi mezzi di comunicazione di massa (TV, cinema, radio) per veicolare la propria propaganda, ma la stessa operazione non riescano a fare con i libri. Quanto più si restringono gli spazi di libertà, tanto più lettori e scrittori si rifugiano nei libri. E ai regimi non resta altra via che quella di mettere all’indice i libri pericolosi o addirittura di dar vita a grandi roghi di libri. Di roghi di libri è costellata la storia dell’umanità. Si distruggono i libri perché non si accettano idee e visioni del mondo diverse. Si distruggono i libri per distruggere le identità degli altri popoli. Ma si distruggono i libri anche per annullare la storia e la memoria del proprio popolo se si ha la presunzione di possedere la via della verità e quindi rifondare il destino di una civiltà. Proibizione dei libri, protezionismo, limitazione della libertà, impoverimento, ancora una volta, come tante volte nella storia, andavano a braccetto.

Ma torniamo ai roghi di libri e arriviamo alla primavera del 1933 (1933, non 933, ovvero in piena epoca attuale!) quando Hitler chiamò a raccolta i suoi per celebrare la vittoria del nazionalsocialismo e non trovò modo migliore per farlo che con un solenne rogo di libri, tutti quelli che non sostenevano l’ideologia nazista, compresi testi di Bertolt Brecht e Thomas Mann, e degli autori ebraici, da Albert Einstein a Sigmund Freud, dando tra l’altro ragione alla profezia di Heinrich Heine, il grande poeta tedesco vissuto a cavaliere fra i secoli XVIII e XIX, che aveva scritto: “chi brucia i libri presto o tardi arriverà a bruciare anche gli esseri umani”. La lettura, dunque, è invisa ai nemici della libertà e a chi vuole cancellare la memoria di un popolo.

Oggi, recarsi in libreria e acquistare un libro è un’operazione semplicissima, ma non sempre è stato così, e non sempre è stato così economico. Agli inizi soltanto i ricchi signori, che volevano fare sfoggio della loro erudizione potevano permettersi il lusso di acquistare e possedere libri. Ma il tempo, che è galantuomo, estese man mano questo privilegio fino a che, nell’evo moderno, acquistare e possedere una ricca biblioteca non era più privilegio di pochi. Però, c’è un “però”. Da tempo ormai, siamo entrati in quella che è stata definita l’era digitale, ovvero del personal computer e di tanti altri aggeggi elettronici alla portata di (quasi) tutte le tasche. Ed è andata prendendo lentamente piede l’abitudine di scaricare i testi che ci interessano, conservarli per poi leggerli quando ci interessa farlo. Chi è nato “digitale” forse non ha mai assaporato l’ebrezza della lettura di un libro cartaceo, specialmente se antico, con il suo odore del tempo trascorso, il piacere di poterlo sottolineare per evidenziarne i passi che maggiormente ci preme ricordare, sentire il fruscio delle sue pagine, vederne il dorso allineato nella nostra biblioteca e sapere che in qualunque momento esso è lì, a nostra disposizione, muto e silenzioso, pronto a elargirci le ricchezze del suo contenuto. Il libro di carta non teme i malware, i bugs, gli hacker, gli sbalzi di corrente; ma non è così con quello elettronico, soggetto a tutti gli incidenti che abbiamo sopra elencato, che potrebbero in un batter d’occhio cancellare milioni di informazioni e perderle per sempre. Al nostro vecchio libro questo non accadrà mai. Avete mai visto un computer di cinque o seicento o mille anni? Certamente no, ma un libro sì. Anche se in forma di rotolo papiraceo un libro è sempre un libro, come i Rotoli del Mar Morto, che dopo più di duemila anni continuano a narrarci la loro storia. Fatelo fare a un computer!

Riconosciamo, dunque, la fondamentale importanza dei libri e della lettura. Grazie ai libri gli uomini non solo diventano più vicini gli uni agli altri, ma sono resi più pronti a comprendersi, a riconoscere i valori presenti in altre civiltà, a specchiarsi in essi e, eventualmente, a farli rinascere nel grembo della propria società. Questa è stata anche la storia del Rinascimento, questo è quello che occorrerebbe anche a noi oggi in un delicato momento di transizione e di incertezze. Questa era l’utopia di Tommaso Moro. La nostra certezza è che ancora oggi i libri possono continuare a interpretare questa straordinaria funzione!

1 commento su “Libro e libertà”

  1. Elio Mottola

    Condivido integralmente l’intero articolo, documentato ed esauriente come nelle abitudini dell’amico Sergio. Particolarmente gradita ed efficace l’esaltazione del libro cartaceo, oggetto che suscita sempre minore interesse nei giovani. Per noi lettori anziani stringere tra le mani e sfogliare un libro rimane invece uno dei piaceri più gratificanti. Nostalgia? Forse, ma comunque parlarne commuove.

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