Autodistruzione

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Negli ultimi centomila anni, noi Sapiens abbiamo accumulato un enorme potere. Eppure, nonostante tutte le nostre scoperte, invenzioni e conquiste, oggi ci troviamo in una crisi esistenziale. Il mondo è sull’orlo del collasso ecologico. La disinformazione dilaga. E ci stiamo buttando a capofitto nell’era dell’intelligenza artificiale, una nuova rete di informazioni che minaccia di annientarci. Perché siamo così autodistruttivi? Ripetiamo la domanda: se noi Sapiens siamo così sapienti, perché siamo così autodistruttivi?

A un livello più profondo, anche se abbiamo accumulato una mole stupefacente di informazioni su ogni genere di cose, non sembra che tutte queste informazioni ci abbiano dato una risposta alle grandi domande della vita. Chi siamo? A che cosa dovremmo aspirare? Che cos’è una buona vita e come dovremmo viverla? Nonostante le vaste conoscenze acquisite, come i nostri antichi antenati siamo inclini alla fantasia e all’illusione. Nessuno mette in dubbio che oggi gli esseri umani abbiano molte più informazioni e potere rispetto all’età della pietra, ma non è affatto sicuro che comprendiamo meglio noi stessi e il nostro ruolo nell’universo. Quanto precede può anche essere considerato come un’astrazione filosofica, ma la realtà con la quale ogni filosofia e ogni illusione devono confrontarsi, ci dice, senza equilibrismi semantici, che è ormai già tardi per aprire gli occhi una volta per tutte e prendere atto che la “sesta estinzione”, di cui abbiamo già scritto in questa sede, è già in atto e la conferma l’abbiamo nell’ultimo libro di Jeremy Rifkin, il noto economista e sociologo, intitolato appropriatamente Pianeta d’acqua (Mondadori, 2024) nel quale egli ribadisce più volte il fatto che siamo sull’orlo, per l’appunto, di una “sesta estinzione”, ed egli vuole con il suo lavoro rappresentare un campanello d’allarme per far acquistare consapevolezza del nostro sconsiderato cammino verso l’autodistruzione che comincia proprio con le crisi idriche che stanno coinvolgendo tutto il mondo, e che è ormai improcrastinabile l’assoluta necessità di por mano a politiche di salvaguardia di questo patrimonio di enorme importanza che consente la vita sul “Pianeta blu”.

Ma, a monte delle verifiche delle condizioni precarie in cui versa il nostro pianeta, è d’obbligo porci una domanda che ritengo cruciale: perché? Ovvero, perché il genere umano, che si ritiene al culmine del suo splendore e della sua conoscenza, ha intrapreso questa china pericolosissima che molti non riescono o non vogliono vedere? La storia c’insegna che, prima della caduta degli imperi, spesso al culmine del loro splendore, vi era stato un periodo di decadenza morale, di incapacità di andare d’accordo fra gli uomini e una lenta erosione dei principi sui quali si era fondata quella civiltà. A tal riguardo non può non venire in mente la monumentale opera di Edward Gibbon, Storia della decadenza e caduta dell’impero romano, nella quale egli analizza le fasi del tramonto di quello che era stato il più potente impero del mondo antico. Scrive Gibbon: «… la decadenza di Roma fu conseguenza naturale della sua grandezza. La prosperità portò a maturazione il principio della decadenza… Invece di chiederci perché fu distrutto, dovremmo sorprenderci che abbia retto tanto a lungo. Le legioni vittoriose, che in guerre lontane avevano appreso i vizi degli stranieri e dei mercenari, … il vigore del governo militare fu indebolito e alla fine abbattuto dalle istituzioni parziali di Costantino, e il mondo romano fu sommerso da un’ondata di barbari».

Ma, secondo Gibbon, un altro elemento portò a quella rovinosa caduta: «…l’introduzione, o quanto meno l’abuso, del cristianesimo ebbe una certa influenza sulla decadenza e caduta dell’Impero romano. Il clero predicava con successo la pazienza e la pusillanimità. Venivano scoraggiate le virtù attive della società, e gli ultimi resti di spirito militare finirono sepolti nel chiostro. … la Chiesa e persino lo stato furono sconvolti dalle fazioni religiose …; il mondo romano fu oppresso da una nuova specie di tirannia, e le sette perseguitate divennero i nemici segreti del paese. … Se la decadenza dell’Impero romano fu affrettata dalla conversione di Costantino, la sua religione vittoriosa attenuò la violenza della caduta e addolcì l’indole crudele dei conquistatori». Come sempre, la religione ha giocato un ruolo di estrema importanza nelle vicende umane, e oggi essa non è da meno rispetto ai tempi di Costantino. Ciò che emerge con chiarezza dalla lettura della monumentale opera di Gibbon è che l’Impero romano cadde sotto le invasioni barbariche a causa della perdita di senso civico da parte dei suoi sudditi. Essi erano divenuti deboli, cedendo il compito di difendere i confini dell’impero a barbari mercenari che divennero così numerosi ed integrati nel tessuto della società da esser capaci di distruggere l’impero. Egli pensava che i romani fossero divenuti effeminati, incapaci di una vita virile da veri soldati. In altri termini Gibbon sostenne che il cristianesimo creò la certezza che una migliore vita sarebbe esistita dopo la morte e che questa idea portò i cittadini romani ad una indifferenza circa la vita terrena, che indebolì il loro desiderio di sacrificarsi per l’Impero. Egli credette anche che il pacifismo, così radicato nella nuova religione, contribuì a smorzare il tradizionale spirito marziale romano. Per ultimo, così come gli altri pensatori illuministi, Gibbon ebbe in disprezzo il medioevo così come il clero dei presunti secoli bui. Fu soltanto nella sua era, l’età della ragione e del pensiero razionale, che si pensò, a suo dire, che la storia umana potesse riprendere il suo progresso.

Questa non è certamente la situazione di oggi, poiché il mondo occidentale non è più sotto il dominio soffocante della religione, ma lo è l’altra metà del mondo, quello islamico, nel quale al grido di “Allah Akbar”, le sue milizie ritengono di seguire le istruzioni del loro profeta, Maometto, nello sterminio degli infedeli e, in particolare, degli ebrei. Non si sottolineerà mai abbastanza questo aspetto dello stato delle cose. Come spiegare altrimenti ciò che ha spinto migliaia di persone a partecipare, il 5 ottobre scorso, alla manifestazione pro Palestina (non autorizzata dal Viminale), secondo le quali il 7 ottobre 2023, data della spaventosa carneficina da parte dei seguaci di Allah, è considerata una data da celebrare e da ricordare. Il comunicato diffuso dal centro sociale Vittoria, di Milano, spiega che celebrare il 7 ottobre è celebrare un vitale atto di resistenza, la data di una rivoluzione. Stefano Cappellini, su la Repubblica, si pone diverse domande, alle quali ci associamo: Possibile che chi vuole manifestare per le ragioni del popolo palestinese debba trovarsi in piazza convocato dai fan dei pogrom di ebrei? Normale che l’agorà a disposizione di chi chiede di porre fine alla strage di civili a Gaza o invoca uno Stato di Palestina sia monopolizzato dai sodali del «fratello Nasrallah»? Definire uno spaventoso eccidio un “atto di resistenza” è veramente voler fare una insopportabile violenza alla storia e alla nostra intelligenza; come lo è il solo fatto che nel nostro Paese ci siano dei “fan” della strage. Cosa direbbero quelle “anime belle” se qualcuno volesse festeggiare l’anniversario della strage di Piazza Fontana? Che idea ci faremmo di un sit-in per inneggiare all’11 settembre?

E, poi, c’è anche un altro elemento da prendere in considerazione, cioè l’assoluta insipienza della classe politica mondiale, segnatamente di quella italiana, alla quale adesso faremo riferimento, per poter comprendere che, come al tempo dei Cesari, è in atto una decadenza morale inarrestabile che sta alla radice di tutti i mali che ci affliggono. L’elenco dei reati per i quali molti uomini politici (non solo italiani) sono indagati, è veramente impressionante. E tale decadenza è principalmente da attribuire alle masse dei populisti che ormai tracimano dappertutto, dimenticando l’esistenza dei movimenti politici “veri”, che nel mondo occidentale in passato ci hanno permesso di raggiungere le mete che oggi stanno allontanandosi sempre più. Il Populismo è il nostro peggiore nemico, ed esso deriva dal latino populus, cioè il “popolo”, che molti considerano l’unica fonte legittima di autorità politica. Secondo i populisti solo loro rappresentano veramente il popolo, ma dimenticano una cosa essenziale, in quanto parte fondamentale di questo credo populista è la convinzione che il “popolo” non sia un insieme di individui in carne e ossa con interessi e posizioni diverse, ma piuttosto un corpo mistico unificato che possiede un’unica volontà, cosa assolutamente non corrispondente alla realtà, ma che in passato generò nazismo e fascismo nel nome di “ein Volk (popolo), ein Führer”. Ecco perché il populismo rappresenta una minaccia mortale per la democrazia, e gli attuali reggitori della nostra cosa pubblica ne sono i più fanatici esponenti, anche se si attribuiscono nomi diversi, come Fratelli d’Italia, Lega, Cinque Stelle, ecc. Dovremmo essere stanchi di vedere e ascoltare quotidianamente, dai banchi del Parlamento, dalle sedi governative, dalle conferenze e dai congressi politici, la costante batracomiomachia di leopardiana memoria, che ci assorda e non porta a nulla, se non alla caduta sempre più in basso di noi stessi, delle nostre istituzioni, del nostro modello di vita. Lo vogliamo davvero?

2 commenti su “Autodistruzione”

  1. antonio nacarlo

    Stimato dottor Pollina
    la riflessione sull’attuale panorama politico italiano richiama inevitabilmente alla mente la batracomiomachia leopardiana, emblema di una lotta vana e sterile tra forze che sembrano impegnate solo nel proprio autocompiacimento. Sui grandi problemi che ci pone la situazione mondiale chi ci governa non ci da alcuna risposta, anzi nega i problemi stessi. Come ha sottolineato il presidente Mattarella “la democrazia non è una conquista scontata ma richiede impegno e responsabilità da parte di tutti.”
    distinti saluti

  2. Sergio Pollina

    É un vero piacere scrivere sapendo che ci sono persone come lei che ci leggono e che comprendono ciò che a volte alla maggioranza delle persone non è dato capire. Oltre a scrivere dei pezzi di altissima qualità, lei è un uomo di profonda intuizione e sentimenti. Ed è proprio come dice lei, citando Mattarella, che forse non ci rendiamo conto pienamente di quanto sia arduo il compito di vivere in una democrazia che si fonda sul contributo di tutti, TUTTI noi. Grazie per i suoi commenti che, come sempre, mi sono di sprone. La saluto cordialmente.

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